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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di Antonello Lotti

 

Agostino di Ippona

 

Pinturicchio (1454-1513), Sant'Agostino e San Nicola, particolare

Pinturicchio (1454-1513), Sant'Agostino e San Nicola, particolare

 

 

«Sia dunque Cristo a parlare dentro di voi, in quanto dentro di voi non può esserci nessun uomo, perché se qualcuno può mettersi al tuo fianco, nessuno può entrare nel tuo cuore. E che nessun uomo stia nel tuo cuore; nel tuo cuore stia solo Cristo!»
(Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni, Disc. III, 13)

 

 

 

Indice

 

 

Bibliografia

 

  • Agostino, Opere, Città Nuova, NBA Nuova Biblioteca Agostiniana (a cura di Agostino Trapè), Roma 1965ss. 

    Di questa traduzione sono reperibili diverse opere in versione economica nella collana PBA Piccola Biblioteca Agostiniana, mentre alcune compaiono in altre collane tutte senza testo a fronte, ma con buoni apparati (introduzione, note, indici). Di esse cito:

    • Agostino, La città di Dio, Città Nuova, Coll. Minima, Roma 1997

    • Agostino, La Trinità, Città Nuova, Coll. Minima, Roma 1998

  • Agostino, Amore assoluto e "terza navigazione", Rusconi Libri, Milano 1994. Il volume riporta (con testo a fronte) il Commento alla Prima Lettera di Giovanni (dieci discorsi) e il secondo discorso del Commento al Vangelo di Giovanni (tutti a cura di Giovanni Reale).

  • Agostino, Soliloqui, Garzanti, Milano 1998

  • Wolfgang Wieland, Agostino, sta in G.Ruhbach - J.Sudbrack, Grandi mistici. Dal 300 al 1900, EDB, Bologna 1987,2003, pagg. 65-95

  • Carlo Cremona, Agostino di Ippona. La ragione e la fede, Rusconi, Milano 1993

  • Agostino Clerici, Itinerario cristiano. Sulle orme di Agostino di Ippona, Figlie di San Paolo, Milano 1995

  • Alberto Pincherle, Vita di sant'Agostino, Laterza, Bari 2000

  • Remo Piccolomini, Agostino si racconta. Introduzione a Le Confessioni, Borla, Roma 2004

  • James J. O'Donnell, Sant'Agostino. Storia di un uomo, Mondadori, Milano 2010

 

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Nota Biografica

 

È interessante leggere la prefazione al volume Agostino, Soliloqui, Garzanti, Milano 1998, e in particolare la biografia tratteggiata da Stefano Pittaluga alle pagg. VII-XXXI, da cui ho tratto, con opportuni adattamenti, parte di quanto segue:

  • Nasce domenica 13 novembre 354 a Tagaste, in Numidia (oggi Sūq-Ahras, in Algeria), forse figlio primogenito. Il padre, Patrizio, pagano, è consigliere municipale e modesto proprietario terriero mentre la madre, Monica, cristiana fervente, avvia Agostino alla scuola elementare e poi a quella di grammatica, con la speranza di farne un grande oratore.

  • Dopo gli studi a Tagaste e nella città di Madaura, il padre ha l'ambizione di fargli frequentare la scuola di retorica di Cartagine, capitale dell'Africa romana. Dal momento che il prestigio della scuola era proporzionato al suo costo, per un anno Agostino deve interrompere gli studi, in modo da permettere al padre di mettere da parte i soldi necessari. Allora era il 370 ed Agostino ha sedici anni. Come tutti gli adolescenti vive in modo irrequieto la sua età, coi primi amori e le trasgressioni compiute con gli amici.

  • Nel 371 si trova a Cartagine per lo studio. Nella grande città, il provinciale Agostino si perde. Frequenta gli spettacoli teatrali, ha molti amici con cui si diverte anche in maniera grossolana. Ma il suo impegno nella scuola di retorica è molto elevato. È il primo della sua scuola e in questo periodo evita le compagnie degli amici, le loro bravate, i loro scherzi grossolani. Apprezza i futuri vantaggi che gli sarebbero derivati dal fatto che la società di quel tempo privilegiava le scuole di eloquenza (la retorica era la più elevata delle artes). 

  • A diciannove anni, legge per caso un'opera ora perduta di Cicerone, l'Hortensius: si trattava di una esortazione alla filosofia, un "protrettico" che impressiona in modo sostanziale il giovane Agostino. Si converte dunque alla filosofia con entusiasmo. Si avvicina per la prima volta alla Bibbia. Leggendola, si trova a disagio per lo stile che considera infantile e grezzo del testo, indegno di un seguace di Cicerone. Aderisce in questo periodo alla setta dei manichei, le cui dottrine sulla perpetua lotta fra bene e male, gli sembrano offrire una spiegazione razionale, scientifica, materialista dell'universo, più consona al suo carattere e alla sua preparazione. Nel 372 il padre muore. Ritorna a casa e nel frattempo prende con sé una donna che gli dà anche un figlio, Adeodato, nato nel 373. Qui per due anni insegna grammatica. La morte di un amico lo fa decidere a ripartire per la città, alla ricerca di una sistemazione più ambiziosa.

  • Torna a Cartagine, dove apre una scuola di retorica e dove insegna eloquenza. Qui legge Aristotele (le Categorie, probabilmente nella traduzione di Mario Vittorino) e ne rimane deluso. Nello stesso periodo rimane sempre legato al manicheismo e questo fino al 383 e quindi per nove anni. Un colloquio con il vescovo manicheo Fausto gli fa comprendere la discrepanza fra la pretesa scientificità delle tesi manichee e le scoperte astronomiche di quel tempo. All'incirca a ventisei anni scrive il suo primo libro, De pulchro et apto, un trattato di estetica, oggi perduto e si appassiona alle arti liberali. Qui, tra la delusione delle convinzioni manichee e la sua ambizione, sempre presente, prende la decisione, tenuta nascosta alla sua famiglia, di partire per Roma nel 383.

  • L'esperienza romana si rivela presto deludente: si ammala appena arrivato, gli studenti spesso non pagano la retta. Frequenta un vecchio amico, Alipio, assessore alle finanze italiche. Insieme a lui riprende a frequentare gli ambienti manichei. D'altronde, nonostante il suo scetticismo, i suoi dubbi sempre più forti, non era facile distaccarsi da quella setta così potente. Infatti, si fece raccomandare proprio da personaggi della stessa per un posto di magister rhetoricae a Milano, una delle capitali dell'Impero. Al di là della sua capacità oratoria, Quinto Aurelio Simmaco, senatore pagano, pensava di potersi servire della sua presenza a Milano per combattere l'allora vescovo Ambrogio e poter restaurare la religione romana tradizionale proprio in quella città.

  • Ambrogio lo accoglie nella sua città e lo riceve a colloquio, più per dovere di circostanza che per effettivo bisogno di incontrare un oratore ufficiale del regime, suo avversario. Qui, impegnato nei compiti istituzionali e in particolare nelle commissioni dell'imperatrice Giustina (panegirici e discorsi ufficiali) diviene sempre più oratore ufficiale e sempre più insoddisfatto, nonostante avesse raggiunto tutto ciò che fino ad allora ambiva. A Milano, lo raggiunge anche sua madre, Monica. Insieme a lei va ad ascoltare i sermoni del vescovo Ambrogio. Ne apprezza l'eloquenza, la forza trascinante, ma il suo scetticismo gli impedisce di assorbirne la lezione spirituale. Frequentando però ogni domenica i suoi sermoni, si trova ad approfondire la conoscenza della fede cattolica, accorgendosi delle false accuse manichee, viziate dal materialismo. 

  • In questo periodo spera di ottenere qualche carica pubblica, ma avrebbe dovuto contrarre un buon matrimonio e soprattutto lasciare la convivenza con la donna che amava. Su consiglio della madre, la concubina dovette lasciarlo per far posto ad una fanciulla di buona famiglia. Pur se con dolore profondo, Agostino obbedisce alla madre. 

  • Molte delle idee che Ambrogio usava nei suoi sermoni erano desunte dagli scritti dei filosofi neoplatonici, tra cui Plotino e Porfirio. Agostino, già preso dal fascino dei sermoni, comincia a frequentare circoli neoplatonici-cristiani della città, venendo a contatto con personaggi colti ed importanti come Manlio Teodoro o Simpliciano. Cominciò a leggere i capitoli iniziali del Vangelo di Giovanni e vi trovò gli stessi concetti che condivideva con gli altri filosofi. Oltre a Giovanni, legge Paolo. Era ormai arrivato a un passo dalla conversione, conoscendo anche gli esempi di Mario Vittorino (che Simpliciano aveva frequentato), le rinunce dei santi eremiti nel deserto, come il monaco Antonio. 

  • Un giorno, così racconta, si trova nel giardino di casa, ancora tormentato da tanti pensieri e dagli esempi avuti, e, in preda a questa eccitazione disperata, gli giunge d'improvviso un canto di una bambina, come di una cantilena "Prendi e leggi... Prendi e leggi...". Si sforza invano di ricordare un canto del genere e allora capisce che può essere un richiamo divino: prende il libro dell'apostolo Paolo che aveva lasciato in giardino, posato su un tavolo, e legge il brano della lettera ai Romani (13,13-14): "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri." La lettura di questo verso, il primo incontrato aprendo il libro, gli procura in quel momento una pace del cuore profonda che cancella ogni incertezza.

  • Da quel momento, a seguito della ritrovata pace e per alcuni problemi legati alla salute, pensa di lasciare Milano e il clima di contrasto politico e religioso fra Ambrogio e Giustina. Un professore milanese di grammatica, Verecondo, non ancora cristiano, gli mise a disposizione la sua villa a Cassiciaco (probabilmente Cassago nella Brianza). Parte insieme ai suoi familiari, la madre Monica, il figlio Adeodato, il fratello Navigio, i cugini e gli amici. Siamo nel 386. All'inizio dell'inverno, torna a Milano, rassegna le sue dimissioni dalla scuola di retorica, e si prepara a ricevere il battesimo. Nella notte fra il 24 e il 25 aprile del 387, alla vigilia di Pasqua, Agostino riceve insieme al figlio e all'amico Alipio il battesimo dalle mani di Ambrogio. Vuole ora ritornare al suo paese natale e si prepara alla volta di Ostia per l'imbarco. Qui la madre improvvisamente si ammala e muore.

  • Rimane a Roma per circa un anno venendo a contatto con ambienti ecclesiastici e monastici. Alla fine del 388 ritorna in Africa, da Cartagine fino a Tagaste. Qui si ferma per circa due anni, vivendo in una comunità insieme al figlio e ai due amici Alipio ed Evodio. Qui, dove pensa di ritrovare quella pace assaporata, si trova invece, a causa della sua fama, al centro di altrettante dispute politico-religiose. Nella primavera del 391 decide di cercare vicino ad Ippona un luogo dove poter fondare un monastero. Entrato nella chiesa vescovile di quella città viene riconosciuto e, secondo una prassi di allora, viene presentato al vescovo Valerio affinché fosse ordinato sacerdote. Pur non potendo condurre una vita ritirata, qui fonda un monastero presso la chiesa.

  • A Ippona, il vescovo Valerio era continuamente attaccato da eretici e pagani. Egli, conoscendo le doti di Agostino, gli attribuì la facoltà di predicare in sua presenza. Fu proprio grazie a lui che la chiesa cattolica in Africa cominciò a risorgere. Nel 395 (forse 396) Agostino fu consacrato vescovo e poco dopo Valerio morì. Tra il 396 e il 400 lottò contro il Manicheismo. Dal 400 al 411 si impegnò contro lo scisma dei donatisti. Dal 411 fino alla sua morte, polemizzò contro il Pelagianesimo. 

  • Agostino, che intanto aveva nominato nel 426 il suo successore, venne sorpreso dalla morte sabato 28 agosto 430. Continuò fino alla fine ad avere rapporti epistolari coi suoi amici, a predicare, a studiare, a scrivere. Proprio sul letto di morte il suo interesse era rivolto ai Salmi. Nello stesso tempo, la sua città era invasa dai vandali. L’ultimo scritto fu una lettera (Lettera 228 ***), dettata forse dal letto di morte, sui doveri dei sacerdoti di fronte all’invasione barbarica. Sepolto presumibilmente nella Basilica pacis – la cattedrale –, le sue ossa, in data incerta, furono trasportate in Sardegna e da qui, verso il 725, a Pavia nella Basilica di s. Pietro in Ciel d’Oro, dove riposano.


*** Il testo della lettera 228, probabilmente l'ultima scritta da Agostino, può essere scaricata in formato PDF compresso (116 Kb), cliccando:    Agostino, Lettera 228  


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Opere di dottrina mistica

 

Il primo catalogo delle opere di Agostino ci è fornito da Possidio (il quale ha anche scritto una biografia). Il suo catalogo ragionato (indiculum) ripartiva gli scritti in tre grandi sezioni: i libri propriamente detti, le epistole e le omelie (tractatus). Il suo catalogo poi distingueva le opere secondo i destinatari: ai pagani, agli ebrei, agli astrologi, ai manichei, etc. Il pubblico di Possidio era sicuramente costituito da persone interessate alle varie polemiche e alle controversie religiose. L’edizione princeps complessiva delle opere di S. Agostino fu stampata a Basilea da Giovanni Amerbach nel 1506, in 11 parti, distribuite in 9 tomi (da questa edizione sono escluse le Enarrationes in Psalmos, le Epistulae ed i Sermones, che l’Amerbach aveva pubblicato in precedenza). La seconda edizione è quella di Basilea del 1528-29 a cura di Desiderio Erasmo, in 10 tomi: le opere sono disposte secondo l’ordine sistematico. La terza edizione fu stampata ad Anversa nel 1577 a cura di diversi teologi di Lovanio. La quarta edizione, che supera tutte le precedenti e resta ancora, nel suo complesso, insuperata, fu pubblicata a Parigi tra il 1679 e il 1700 a cura dei Benedettini della Congregazione di S. Mauro. Più volte ristampata, è stata riprodotta dal J. P. Migne nella Patrologia Latina (PL) XXXII-XLVI. 

Ovviamente, qui non interessa illustrare una per una tutte le opere di Agostino, ma solo dare conto di quelle che hanno più attinenza con la dottrina mistica. Nell'Introduzione a Sant'Agostino, scritta da Agostino Trapè, sono elencate e descritte le opere che in qualche modo richiamano proprio la dottrina mistica del nostro. Cito in gran parte per la completezza dell'informazione:

  1. SOLILOQUI: opera scritta nel 386-7 da Agostino nella solitudine di Cassiciaco, mentre si preparava al battesimo. Il primo libro di quest'opera, nella quale Agostino discute con se stesso, comincia con una preghiera che è una lunga litania di amore e contiene insieme filosofia, poesia e mistica. Vi si trova la dedizione totale di Agostino a Dio ("Ormai te solo io amo, te solo seguo..."), la meditazione delle perfezioni divine riflesse nelle creature ("ti invoco, Dio verità... Dio sapienza... Dio beatitudine... Dio bene e bellezza... Dio luce intelligibile...") e infine l'aspirazione ad essere perfetto amante e possessore beato della sapienza, ad essere per sempre abitatore del regno beatissimo di Dio. Nel corpo del libro vi è inoltre la lunga descrizione dell'ascesa verso la sapienza che comprende tre momenti: la purificazione, la contemplazione, la visione. La purificazione comprende a sua volta un attento esame sulle virtù morali prudenza, temperanza, giustizia, fortezza e sull'amore della sapienza che diventa ascensione contemplativa e dispone alla visione, a patto però che l'amore sia esclusivo e ardente. Questo ardore e questa esclusività non escludono che altri lo cerchino e ne godano insieme a noi, anzi lo includono e lo fondano: gli amici ci saranno tanto più cari quanto più in ciascuno sarà grande l'amore per l'amata comune. V'è poi in questo libro il fondamento dell'ascensione contemplativa, dell'amicizia cristiana e della vita religiosa cenobitica.

  2. LA GRANDEZZA DELL'ANIMA: in questo trattato ci sono anche i gradi dell'ascesa verso la contemplazione. Infatti la grandezza dell'anima dipende appunto dai gradi della sua attività. Questi vanno dall'animazione del corpo, alla "dimora" nella contemplazione. Ma i primi tre animazione, sensazione, arte e cultura sono comuni ai buoni e ai cattivi, perché appartengono all'ordine della natura, mentre gli altri quattro appartengono solo ai buoni e costituiscono i veri gradi della vita spirituale. Questi sono chiamati: virtù o purificazione, serenità o costanza d'animo, orientamento verso la contemplazione o ingresso in essa, dimora nella stessa contemplazione. Il primo grado importa un lungo sforzo di purificazione o mortificazione che sottragga l'animo al dominio dei sensi: "Mondare l'occhio dell'anima"; il secondo indica la forza interiore o la quiete dell'anima pacificata con se stessa, e vuol dire, perciò, "custodire e irrobustire la sanità" raggiunta; il terzo contiene l'entrata nella luce della contemplazione, cioè "dirigere lo sguardo, ormai sereno e sicuro, sull'oggetto della visione"; il quarto finalmente è il soggiorno, e perciò non tanto un grado quanto una dimora (mansio) "nella visione e nella contemplazione della verità". Questi quattro gradi corrispondono ai quattro stadi o condizioni della carità, dei quali Agostino parla altrove identificando la carità con la perfezione spirituale: carità iniziata, progredita, grande, perfetta. Ecco un testo fondamentale: "Pertanto una carità iniziata è una giustizia iniziata, un carità progredita è una giustizia progredita, una carità grande è una giustizia grande, una carità perfetta è una giustizia perfetta". Inutile dire che qui giustizia equivale a perfezione, la quale, identificandosi con l'amore, si misura con esso.

  3. IL LIBERO ARBITRIO: scritta nel 387-8. Per quanto il tema centrale dell'opera sia quello dell'origine del male e i problemi relativi (libertà, legge morale, esistenza di Dio, prescienza divina), riporta alcune pagine sulla felicità che si identifica con la contemplazione della verità, che è Dio, verità sussistente e sommo bene. Della contemplazione vengono descritte la giocondità, la felicità, la libertà che produce nell'uomo. "Quando si chiede Agostino cala nel nostro spirito, senza alcun rumore, un certo, per dir così, canoro e fecondo silenzio della verità, potremmo noi cercare altra felicità e non godere di una tanto vera e interiore?". Questa descrizione si trova al termine dell'ascesa dell'anima a Dio o, come si suol dire, della prova agostiniana dell'esistenza di Dio, segno evidente che Agostino non separa mai l'ascensione dell'intelligenza da quella del cuore, la filosofia dalla mistica. E se questo atteggiamento è frutto delle sue letture neoplatoniche, è frutto anche della sua adesione al cristianesimo che comanda di amare, e quindi di cercare, Dio con tutto se stessi, perché Dio è la quiete non solo della nostra intelligenza ma di tutto il nostro essere, il termine del nostro godimento. Ne è controprova il fatto che più tardi, divenuto presbitero e poi vescovo, dovendosi occupare più intensamente dello studio e della spiegazione della Scrittura, collega la contemplazione alle beatitudini evangeliche e ai doni dello Spirito Santo.

  4. IL SERMONE DELLA MONTAGNA  e  LA DOTTRINA CRISTIANA: qui Agostino offre un programma compiuto di vita ascetico-mistica fondata sul rapporto tra le beatitudini, i doni dello Spirito Santo e le petizioni del "Padre nostro". Il Sermone della montagna è stato scritto nel 394. Le beatitudini vanno dalla povertà di spirito o, com'egli intende, dall'umiltà, che è il fondamento della vita spirituale, fino alla beatitudine della pace, che ne è la perfezione, poiché "nella pace è la perfezione" e "i pacifici... diventano regno di Dio, nel quale tutto è ordinato". Alle beatitudini rispondono i doni dello Spirito Santo, dei quali quelle sono il frutto. Anche i doni dello Spirito Santo descrivono l'ascensione dell'anima verso la perfezione. Difatti cominciano col timore, che è l'inizio della sapienza, per giungere alla sapienza stessa, che è "la contemplazione della verità che pacifica tutto l'uomo e lo rende capace della somiglianza con Dio". Alle sette beatitudini (Agostino riduce a sette le otto beatitudini di Mt 5, 3-11) e ai sette doni dello Spirito Santo (Agostino nella enumerazione dei doni segue la Vulgata ), rispondono le sette petizioni del "Padre nostro", che ottengono i doni e rendono possibili le beatitudini. Così, il cristiano, sorretto dai doni dello Spirito Santo, che la preghiera assidua gli ottiene, vive nel clima delle beatitudini, che è il clima più propizio per raggiungere "il godimento della verità"; e questo è, come si sa, la definizione agostiniana della beatitudine. Agostino riprende il discorso dei doni dello Spirito Santo in ordine alla conversione dell'uomo che cominciando dal timore di Dio deve giungere alla sapienza ne La dottrina cristiana (iniziata a scrivere nel 395 ed ultimata nel 426) e spesso altrove, come nella Santa verginità a proposito dell'imitazione di Cristo e nei Discorsi, dove torna l'insistente confronto tra beatitudini e doni, le une e gli altri indispensabili per vivere la vita mistica.

  5. CONFESSIONI: le Confessioni furono scritte fra il 397 e il 401. Sono un libro autobiografico, filosofico, teologico, poetico e mistico. Qui interessano i due ultimi aspetti. Agostino, nelle Confessioni, è anche poeta. Gli studiosi non hanno tralasciato d'illustrare quest'aspetto. È il suo senso di poesia che dà alla realtà spirituale un volto ed una voce, alla realtà sensibile un'anima ed un palpito, sicché, mentre la prima viene accostata a noi senza perdere la sua immateriale purezza, la seconda, senza che ne abbiamo la concretezza visibile, ci si fa scala per salire a Dio. La poesia è l'espressione più alta delle vibrazioni dell'anima, spesso della mistica. Così fu per Agostino. La sua fu la poesia dell'amore, dell'amicizia, della bellezza, del bisogno di Dio, della speranza; la poesia, per dirla con un sua immagine, d'un "filo d'erba assetato": "Non abbandonare i tuoi doni dice egli a Dio , non disdegnare questo tuo filo d'erba assetato". Si sa che le Confessioni sono una lettera a Dio, nella quale Agostino narra, loda, ringrazia, adora, implora, canta; canta le profondità abissali del cuore umano e le misericordie di Dio. L'uomo e Dio: ecco i due temi sui quali tesse i tredici libri delle Confessioni. Essi, scrive rileggendoli, "lodano Dio giusto e buono per i miei mali e per i miei beni, e verso di lui sollevano l'intelligenza e il cuore degli uomini". La lode si trasforma spesso in preghiera d'implorazione o in ascesa interiore fino alle vette più alte della contemplazione. Nelle Confessioni ci sono le pagine più affascinanti dell'esperienza contemplativa agostiniana, pagine che si collocano per la forza narrativa e mistica tra le più belle della spiritualità cristiana. Aveva ragione uno scrittore, che era insieme filosofo e poeta, di dire, riferendosi alla narrazione dell'estasi di Ostia, che è una pagina di "profonda poesia" e "una delle cose più vertiginose dello spirito..."; con essa "nasceva per la prima volta la poesia dell'estasi, il poema della comunicazione con Dio, la vertigine sublime dell'altezza, lo stupendo ascendere dell'anima sino all'assoluto Amore...".

  6. LA TRINITÀ: i primi dodici libri vennero scritti fra il 399 e il 412, mentre i restanti verso il 420. Si tratta di una grande opera in quindici libri. Molti la conoscono come capolavoro di teologia, ma pochi sanno che lo è anche di mistica. Lo scopo infatti che indusse Agostino a scriverlo fu duplice, teologico e mistico: voleva contribuire ad illustrare alcuni grossi problemi, contestati o insoluti, intorno al mistero trinitario e insieme approfondire la conoscenza di sé e di Dio, conoscenza non puramente teorica ma viva, sperimentale, affettiva. E ci riuscì. Egli scrisse non solo scrutando con l'intelligenza, ma salendo con il cuore verso il mistero. In realtà nella sua opera non è soltanto l'esposizione biblica del dogma, né soltanto la difesa, l'illustrazione, la formulazione, ma anche la contemplazione del dogma. Tutta la struttura dell'opera è concepita in funzione contemplativa; infatti vuole condurre il lettore dagli umili inizi della fede fino alla visione sapienziale del mistero trinitario, poiché "tutta la sua vita l'uomo deve ordinare a ricordare, a conoscere, ad amare la SS. Trinità , cioè a fare della Trinità l'oggetto del suo ricordo, della sua contemplazione, della sua compiacenza". E ciò attraverso una graduale ascesa che lo porti a riconoscere in sé e a restaurare l'immagine divina della Trinità, immagine che, pur non raggiungendo mai la perfetta somiglianza, tocca le vette più alte con la beatitudine della pace e il dono della sapienza. Questo dono non è solo, come si sa, visione, ma anche amore, godimento, possesso. Per questo scrive un intero libro (il IV) e gran parte di un altro (il XIII) sulla missione visibile del Figlio, che è il redentore del genere umano, il segno insuperabile dell'amore di Dio per l'uomo; per questo scrive pagine bellissime sulla missione dello Spirito Santo, che è quella di riformare, restaurare, rinnovare, illuminare, liberare (le espressioni sono tutte agostiniane) l'immagine della Trinità nell'uomo in modo da darle la forma deiforme; per questo proponendo nella seconda parte dell'opera (IX-XV) la spiegazione "psicologica" della Trinità, sale da un'immagine all'altra mente, notizia, amore; memoria, intelligenza, amore di sé; memoria, intelligenza, amore di Dio , per aiutare il lettore a salire egli stesso e dimostrare che con l'ultima il suo spirito si avvicina di più alla Trinità e diventa più capace di sostenerne la luce. Quasi ciò non bastasse, scrive un libro (l. VIII) come introduzione alla parte seconda della sua opera che è quella, come ho detto, più apertamente spirituale. Questo libro ha un contenuto spiccatamente mistico in quanto descrive il modo di trascendere tutte le nebbie dei sensi per raggiungere la vera nozione di Dio, di Dio che è Verità, Bene, Giustizia, Amore. Attraverso l'analisi di queste nozioni Agostino, con grande maestria, porta il lettore a farsi un'idea di Dio e accoglierne, per quanto l'ineffabilità divina lo permette, la somma natura.

  7. ESPOSIZIONE SUI SALMI: scritte nel corso degli anni che vanno dal 392 al 416 (qualcuno anche più tardi). Nelle Esposizioni sui Salmi, un opus immensum, si può trovare di tutto filosofia, teologia, morale, ascetica, spunti di vita quotidiana, eloquenza popolare, storia della Città di Dio . In quest'opera si trovano in primo luogo le forme più alte della preghiera, che sono quelle della preghiera di lode, di adorazione, di ringraziamento, di giubilo, forme che ricorrono secondo che i salmi cantano l'una o l'altra di esse. In questi casi Agostino prende il volo e raggiunge le vette più alte. La poesia dei salmi trova piena rispondenza nel suo animo, ne ridesta l'alta fantasia, ne provoca la vibrante eloquenza. Non fa meraviglia pertanto che le Esposizioni sui Salmi vibrino ancora della sua esperienza personale, che era molto alta. Un esempio: l'esposizione del salmo 41, 4, che mostra il pio fedele piangente di giorno e di notte perché gli si ripete ad ogni istante: Dov'è il tuo Dio?. Questa insistente e provocatoria domanda viene certamente dai pagani, i quali irridono all'irrealtà di un Dio affatto invisibile e scherniscono chi vi crede. La domanda offre l'opportunità ad Agostino per scrivere una delle sue pagine più belle, nella quale mostra il cristiano si sa che egli legge i salmi in chiave cristologica , che non crede solo in Dio ma vuole anche un po' vederlo, benché disperi di poterlo mostrare a chi non ha occhi per elevarsi tanto in alto. In cerca dunque del suo Dio considera la terra, ma si accorge che non basta a soddisfare la sua sete: tutto questo egli ammira, e loda, ma ha sete di Colui che ne è l'autore; torna in se stesso e considera l'anima e tutte le virtù di cui le anime, nella Chiesa, sono adornate, ma si accorge di nuovo che il suo Dio è qualcosa di superiore all'anima, per quanto ornata di virtù; sale infine sopra alla sua anima per giungere alla casa di Dio, là da dove Dio crea e governa l'universo. Ivi c'è festa eterna. "Da quella eterna e perpetua festa risuona un non so che di canoro e di dolce alle orecchie del cuore, purché non sia disturbata dai rumori del mondo". Quest'ascesa è sostenuta da "una certa dolcezza, una non so quale nascosta e interiore delizia, come se dalla casa di Dio risuonasse soavemente un organo". Non tutte le Esposizioni sui salmi hanno pagine come queste, ma in tutte o quasi si trovano sprazzi di luce così intensa da costringerci a considerare questa come un'opera ricca di dottrina spirituale e mistica, e perciò indispensabile per chi vuol conoscere, su questo argomento, Agostino e il suo pensiero.

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Dottrina mistica

 

Per la parte della dottrina mistica, sono debitore a Wolfgang Wieland per il suo contributo nel volume citato in precedenza, oltre che ad alcuni stralci di Agostino Trapè, come ulteriormente specificato. 

Non essendo principalmente un mistico (pur avendo chiara una chiamata alla vita contemplativa), Agostino non tratta organicamente di questa materia, ma ne fa cenni in diverse opere o in parti di opere. Questo è ciò che è emerso nella sezione precedente. Pertanto, ricostruire un percorso mistico da alcuni brani non è impegno facile, né corretto, poiché alcune conclusioni potrebbero non riflettere pienamente il suo pensiero. Sta di fatto che i tratti caratteristici della sua spiritualità fanno da sfondo ad ogni ulteriore discorso in questo ambito e ad essi occorre pensare per meglio intendere un qualunque disegno di percorso mistico in Agostino. 

 

Sentire Deum

Dio è il centro del pensiero e dell'esperienza di Agostino: "Toccare un po' Dio nello spirito è una grande felicità; ma comprenderlo è del tutto impossibile". Dio rimane sempre inafferrabile e incomprensibile dal pensiero umano. Dio rimane un mistero insondabile. È preferibile trovare Dio senza capire, che capire senza trovarlo (cfr. Confessioni 1,6,10). Se Dio è incomprensibile e inafferrabile, rimane pertanto indicibile. Agostino conosce la difficoltà di comunicare le proprie esperienze interiori che riguardano la verità divina. Egli preferirebbe tacere, ma sa anche che di Dio bisogna parlare, se non altro per dire a chi sbaglia come Dio non è. Ma diventa sempre più un'esigenza esistenziale, per tutti coloro che hanno fatto esperienza del Dio vivente. Chi è stato afferrato da Dio, deve parlare e non potrà mai dire abbastanza. Agostino è stato afferrato da Dio. Vive ciò sulla base di un'esperienza intensa, mistica della presenza di Dio. È un'esperienza che afferra tutto l'uomo.

 

Ardentior affectus

Agostino descrive l'esperienza mistica della presenza di Dio in molti modi: è fondamentale il "sentire Dio" suscitato nell'uomo dall'amore; infatti, chi entra in relazione con la forma di vita di Gesù Cristo, caratterizzata dalla dedizione e dall'amore, un po' alla volta viene trasformato interiormente e rinnovato nell'amore di Dio. In tal modo diventa di nuovo simile a Dio, che è l'amore. E quanto più l'uomo riacquista la sua somiglianza originaria con Dio, crescendo nell'amore, tanto più inizia a sentire, nel suo amore e attraverso il suo amore, Dio, il fondamento trascendente e intimo di esso (cfr. il brano in Antologia: L'Ineffabile in Dio). Agostino paragona ciò che l'uomo sperimenta e sente come a una dolce melodia, un dolce sapore, un piacere misterioso e profondo che riempie il suo cuore e lo conduce sulla via che porta alla casa di Dio. All'uomo è comunque richiesto un impegno: allontanarsi dal baccano di questo mondo, ridurre se stesso al silenzio e volgersi interamente e totalmente a Dio. Da qui egli può riceve passivamente ogni ulteriore dono.

 

Intentio distensio extentio

Fra i metodi per avvicinarsi a Dio, la preghiera rimane il primo e fondamentale. Dio ha disposto che nella lotta fra il bene e il male noi combattiamo più con la preghiera che con le nostre forze, perché queste stesse forze, quante ce ne sono necessarie, le somministra a chi combatte Colui che noi preghiamo. Perciò concludendo la lettera a Proba sulla preghiera (n. 130) scrive: "Combatti con la preghiera per vincere questo mondo; prega nella speranza, prega con fede e amore, prega con costanza e pazienza, prega come una vedova di Cristo". Chi dunque non si sente attratto da Cristo, preghi perché venga attratto. Per Agostino, la preghiera è un discorso fatto a Dio. E riprendendo una dottrina ormai tradizionale, afferma: "Quando leggi, Dio parla a te; quando preghi tu parli a Dio". Quali sono i dati fondamentali di questo atteggiamento? La conversione del cuore, l'intenzione, l'attenzione, la purificazione, la comunione. La conversione ci rimanda alla condizione dell'uomo allontanatosi da Dio a causa del peccato; l'intenzione rimanda al suo dinamismo interiore per cui, pur disteso o distratto nel tempo, si protende con insopprimibile anelito verso l'eterno: intentio distensio extentio; l'attenzione rimanda alla presenza dell'uomo in Dio e di Dio nell'uomo; la purificazione rimanda all'adesione disordinata dell'uomo alle creature; la comunione rimanda all'incontro a tu per tu nella fede con Dio."Nella preghiera avviene la conversione del cuore verso Colui che è sempre pronto a dare se noi siamo in grado di ricevere... Nella conversione poi avviene la purificazione dell'occhio interiore, quando si escludono le cose che si bramano temporalmente, e ciò affinché la pupilla del cuore possa sopportare la luce semplice che risplende senza tramonto o mutazione; e non solo sopportarla ma anche abitare in essa; e abitarvi non solo senza fastidio ma anche con ineffabile gaudio, nel quale consiste la vita veramente e genuinamente beata". Alla natura della preghiera e in dipendenza da essa va congiunta la sua prerogativa principale: l'interiorità. "Dobbiamo pregare col cuore, non con le labbra". Di conseguenza, egli stabilisce un legame tra desiderio e preghiera: "Il tuo stesso desiderio è la tua preghiera, e il continuo desiderio è una continua preghiera". 

 

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L'amore della verità cerca la quiete

Scrive Agostino: "L'amore della verità cerca la quiete della contemplazione, l'esigenza dell'amore accetta le occupazioni dell'apostolato. Se nessuno c'impone questo fardello, dobbiamo attendere alla ricerca e all'acquisto della verità; ma se ci è imposto, dobbiamo accettarlo per dovere della carità. Però, neppure in questo caso bisogna abbandonare il godimento della verità, perché non avvenga che, sottrattaci questa dolcezza, si resti oppressi da quella esigenza" (La città di Dio 19, 19). Citando da Agostino Trapè, si può dire che il discorso agostiniano sul primato della contemplazione si riduce: a) al primato dell'amore della verità, che è il primato dell'amore di Dio vivo e vero; b) all'eternità della vita contemplativa a differenza di quella attiva, che dura solo in questa vita, dove ci sono i miseri che hanno bisogno di misericordia; c) all'altezza dei doni che l'accompagnano: è infatti legata al dono della sapienza, che il più alto dei doni dello Spirito Santo, e alla beatitudine della pace, la più alta tra le beatitudini. Inutile dire che il vescovo d'Ippona, pur difendendo il primato della vita contemplativa, insiste sull'accettazione degli impegni della vita attiva quando i bisogni della Chiesa lo richiedono, cioè sulle esigenze dell'amore. Per questo, con felice intuizione e profonda originalità, insegna, attraverso la parola e l'esempio, a mettere insieme le scelte del monachesimo (preghiera e lavoro) e quelle del sacerdozio. Su questo tema Agostino ha toni ed accenti di commovente pietà. L'uomo di Dio "cerchi la gioia del silenzio, predichi solo secondo il bisogno...; godiamo dei beni interiori, negli esteriori sia la necessità non la volontà a guidarci". Parlando al popolo delle fatiche dell'apostolato e delle dolcezze della contemplazione, dice riferendosi a quest'ultima: "Nessuno più di me amerebbe una vita così sicura e tranquilla: niente di meglio, niente di più dolce che scrutare il divino tesoro lontano dai rumori del mondo; è cosa dolce e buona. Invece predicare, rimproverare, correggere, edificare, attendere ai bisogni di ciascuno è un gran peso, un gran carico, una grande fatica. Chi non rifuggirà da questa fatica? Ma mi spaventa il Vangelo". Ossia quello che gli comandava di pascere il gregge di Cristo, che è pur sempre un compito di amore, ma un amore che impedisce di soddisfare come si vorrebbe un altro amore. Per questo comando del Vangelo, Agostino era restato e restava sulla breccia, ma le sue preferenze erano ben altre: "Chiamo Cristo a testimonio delle mie parole, che per quanto riguarda il mio comodo preferirei molto più lavorare con le mie mani ogni giorno ad ore determinate, come si fa nei monasteri ben governati, ed avere poi le altre ore libere per leggere e pregare o per studiare la Scrittura , anziché soffrire il tormento e le perplessità delle questioni altrui, nelle quali pur bisogna intervenire o per dirimerle col giudizio o per finirle col proprio intervento... Ma siamo servi della Chiesa e servi soprattutto dei membri più deboli di essa".

 

L'ascesa verso la contemplazione

La via verso la contemplazione è lunga e faticosa, perché suppone le dure fatiche della purificazione, delle quali è il premio "altissimo e segretissimo". Il termine contemplazione è filosofico pur se è evangelico il suo contenuto. Agostino la ricollega alla beatitudine dei puri di cuore, e afferma: "Tutta la nostra opera in questa vita consiste nel purificare l'occhio del cuore allo scopo di vedere Dio". Essa comprende quella assidua opera ascetica che serve non a mortificare ma a riordinare l'amore. "Nessuno vi dice: Non amate. Non sia mai! sareste pigri, morti, detestabili, miseri se non amate. Amate, ma state attenti a che cosa amate". Riordinare dunque l'amore, riportando ordine e pace dentro di noi: a tale scopo sono necessarie le opere dell'ascetismo cristiano, nelle quali occorre insistere in particolare nei primi passi della vita spirituale. Soprattutto sono necessarie, per elevarsi progressivamente verso la contemplazione, quelle opere che Agostino chiama le "delizie" delle anime consacrate, e cioè: "la lettura che vuol dire studio, meditazione, ascolto della voce di Dio, dialogo con Dio , l'orazione, la salmodia, i buoni pensieri, l'impegno in opere di bene, l'attesa della vita futura, l'elevazione del cuore". Programma ascetico-mistico nel quale si muovono appunto le persone che sono più in alto nella vita dello spirito. Da queste opere nasce il silenzio, quel prezioso silenzio interiore, che è per Agostino e non solo per lui la condizione indispensabile per il colloquio con Dio e per la contemplazione innamorata della bellezza divina. "La nostra anima ha bisogno di solitudine. Se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio". Per questo egli chiede appassionatamente a Dio questo silenzio: "Liberami, o mio Dio scrive nella preghiera con cui chiude il suo De Trinitate , liberami dalla moltitudine di parole di cui soffro nell'interno della mia anima... Infatti non tace il pensiero anche quando tace la lingua". Frutto di questo silenzio, non vuoto ma pieno, è quello di raccogliere tutte le potenze del nostro spirito in Dio. Ancora un testo agostiniano: "Che cosa facciamo quando ci sforziamo di essere sapienti se non raccogliere, per così dire, con la maggiore alacrità possibile, tutta la nostra anima in ciò che tocchiamo con la mente, e metterla lì e fissarcela stabilmente, di maniera che non goda più del suo bene privato con il quale si è avvinta alle cose transitorie, ma, spogliatasi di tutti gli affetti temporali e spaziali, afferri l'Essere ch'è uno ed è sempre lo stesso?".

 

La contemplazione

Se l'ascesa è lunga e faticosa, la contemplazione invece, nel suo grado più alto, è rapida e folgorante, simile a un baleno, un battito del cuore, un'intuizione momentanea. Agostino la nota ogni volta che ne parla. "E pervenne (la mente) all'Essere stesso in un impeto di trepida visione". "La cogliemmo un poco (la fonte della sapienza), con tutto l'impeto del cuore, e sospirammo". "Allietati da una ineffabile dolcezza interiore, abbiamo potuto scorgere con l'occhio della mente qualcosa d'immutabile, anche se per un momento solo e di sfuggita". "Una visione da non poterla sopportare lungamente". Ma pur nella sua momentaneità, essa è insieme "conoscenza e dilezione dell'Essere eterno e immutabile, Dio". Una conoscenza non nozionale, dunque, ma sperimentale, cioè conoscenza amorosa e, pur nella sua oscurità, piena di luce. Nella contemplazione, quale Agostino la descrive, vi sono due elementi: la conoscenza e l'amore; importa infatti un "conoscere le cose divine" e insieme "toccarle" con la punta del cuore, un "raggiungerle", un "raccogliere" in esse tutte le proprie facoltà e il proprio essere. Del resto è difficile esprimere a parole questa sublime esperienza. Anche chi l'ha avuta la esprime con difficoltà. Agostino non ha saputo dirci nulla di meglio, e ha detto stupendamente che talvolta il Signore lo introduceva in un sentimento interiore affatto sconosciuto, che se fosse cresciuto un poco sì da esser pieno, questa vita non sarebbe stata più questa vita. Si avrebbe torto però d'interpretare questa dottrina come una visione immediata di Dio. Agostino lo esclude. La vita contemplativa, scrive, è vissuta qui in terra nella fede, e solo "pochissimi (la vivono) in una qualche visione della verità immutabile, come in uno specchio, in maniera confusa, imperfettamente". Né dai testi si può dedurre che egli stesso, Agostino, abbia qualche volta usufruito del privilegio della visione immediata di Dio.

 

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Breve Antologia

 

Quella che segue è una breve antologia tratta dalle opere di Agostino. Non è facile citare dalla vastissima produzione. Probabilmente non sono le scelte migliori, ma quelle con cui sono entrato in rapporto e che, leggendo, mi sono sembrate più idonee a rappresentarlo in queste pagine. Invito sempre, come altrove ho fatto in queste pagine, a leggere direttamente le opere per rendersi conto della sua immensa profondità e della sua ineguagliabile ricchezza.

 

RITORNA IN TE STESSO  (La vera religione ***, 39. 72)

C’è dunque ancora qualcosa che non possa ricordare all’anima la primitiva bellezza che ha perduto, dal momento che lo possono fare i suoi stessi vizi? La sapienza divina pervade il creato da un confine all’altro; quindi, per tramite suo, il sommo Artefice ha disposto tutte le sue opere in modo ordinato, verso l’unico fine della bellezza. Nella sua bontà pertanto a nessuna creatura, dalla più alta alla più bassa, ha negato la bellezza che da Lui soltanto può venire, così che nessuno può allontanarsi dalla verità senza portarne con sé una qualche immagine. Chiediti che cosa ti attrae nel piacere fisico e troverai che non è niente altro che l’armonia; infatti, mentre ciò che è in contrasto produce dolore, ciò che è in armonia produce piacere. Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l’anima razionale: tendi, pertanto, là dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò un’armonia insuperabile e fa’ in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l’uomo interiore potesse congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito.


*** Il testo completo de "La vera religione", in versione PDF compresso (403 Kb), può essere scaricato qui:  Agostino, La vera religione

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MAI SMETTERE DI CERCARE DIO  (La Trinità, XV, 2. 2)

Dio stesso, che cerchiamo, ci aiuterà, spero, perché il nostro sforzo non sia infruttuoso e perché comprendiamo come lo scrittore santo abbia potuto dire nel Salmo: Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate forti; cercate sempre il suo volto [Sal 104, 2-4]. Sembra, infatti, che ciò che si cerca sempre, non si trovi mai e come allora si rallegrerà e non si rattristerà invece il cuore di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ciò che cercano? Perché il Salmista non dice: “Si rallegri il cuore di coloro che trovano”, ma: di coloro che cercano il Signore [1 C 16, 10]? E che tuttavia Dio Signore si possa trovare, quando lo si cerca, lo testimonia il profeta Isaia, quando afferma: Cercate il Signore e appena lo troverete, invocatelo; e quando si sarà avvicinato a voi, l’empio abbandoni le sue vie e l’iniquo i suoi pensieri [Is 55, 6-7]. Se dunque, cercandolo, si può trovare Dio, perché è scritto: Cercate sempre il suo volto [Sal 104, 4]? Sarà forse che, anche una volta che lo si è trovato, bisogna cercarlo ancora? È così infatti che bisogna cercare le cose incomprensibili perché non ritenga di aver trovato nulla colui che abbia potuto trovare quanto è incomprensibile ciò che cercava. Perché allora cerca, se comprende che è incomprensibile ciò che cerca, se non perché non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca dell’incomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene così grande, che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo? Perché lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggiore ardore. È in questo senso che si può intendere l’affermazione che l’Ecclesiastico pone in bocca della Sapienza: Coloro che mi mangiano avranno ancora fame e coloro che mi bevono avranno ancora sete [Eccli 24, 29]. Mangiano infatti e bevono, perché trovano, e, poiché hanno fame e sete, cercano ancora. La fede cerca, l’intelligenza trova; per questo il Profeta dice: Se non crederete, non comprenderete [Is 7, 9]. E d’altra parte l’intelligenza cerca ancora Colui che ha trovato; perché Dio guarda sui figli dell’uomo, come si canta nel Salmo ispirato, per vedere se c’è chi ha intelligenza, chi cerca Dio [Sal 13, 2]. Dunque per questo l’uomo deve essere intelligente, per cercare Dio.

 

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L'INEFFABILE IN DIO  (Sul Salmo 99, Esposizione, 6)

Sii simile a Dio mediante la pietà e amalo col tuo pensiero! E, sapendo che i suoi attributi invisibili si comprendono e si vedono attraverso le cose create [cf. Rm 1, 20], osserva e ammira le creature, ricercandone il Creatore. Se gli sei dissimile, sarai respinto; se gli sei simile, gioirai. E quando nella tua somiglianza avrai cominciato ad avvicinarti a Dio e a provare la sensazione di Dio, quanto più aumenterà la carità (poiché anche la carità è Dio [cf. 1 Gv 4, 8]) tanto più sentirai un qualcosa che tu dicevi e non dicevi. Difatti, prima d’assaporare queste sensazioni, credevi di poter esprimere Dio a parole; quando cominci ad averne la sensazione, ti accorgi che non sei in grado di esprimere ciò che provi. Che se ti accorgerai di non saper esprimere quanto intendi, dovrai per questo tacere e non lodare? Te ne resterai muto, senza lodare Dio, senza ringraziare colui che ti si è voluto manifestare? Lo lodavi quando ne eri in cerca; resterai muto quando lo hai trovato? Assolutamente no. Non sarai così ingrato. A lui è dovuto l’onore, il rispetto, la lode più grande. Rifletti a cosa tu sia: sei terra e cenere. Considera cosa ha meritato di vedere uno come te. Nota gli estremi: colui che vede e l’oggetto che vede; un uomo che vede Dio. Riconosco che tutto questo non è merito d’uomo ma benevolenza di Dio. E allora loda chi ti ha usato tale misericordia! Ma come dovrò lodare?, obietterai. Non so esprimere nemmeno quel poco che ho potuto comprendere nella mia cognizione parziale, ottenuta per via d’immagini e con lo specchio [cf. 1 Cor 13, 12]! Ebbene, ascolta il salmo! Terra tutta, giubilate al Signore! Comprenderai il giubilo di tutta la terra, se tu stesso giubili al Signore. Giubila al Signore! Non disperdere il tuo giubilo su questi o sii quegli oggetti. E nota infine che le cose create più o meno possono essere tutte espresse a parole; Dio invece è l’unico ineffabile, lui che disse una parola e tutto fu creato. Disse una parola e fummo creati noi [cf. Sal 32, 9]; ma se noi proviamo a parlare di lui, ne siamo incapaci. La Parola, mediante la quale noi fummo creati, è il suo Figlio: quel Figlio il quale si rese debole come noi, affinché noi deboli riuscissimo in qualche modo a parlarne. Alla parola di Dio noi possiamo rispondere col giubilo; ma non abbiamo parola che corrisponda a quella Parola. Pertanto giubilate al Signore, o terra tutta!

 

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I GRADI DELL'ANIMA  (La grandezza dell'anima, 33.70-33.76)

Primo grado: l’animazione

33. 70. A. - Magari potessimo interpellare entrambi sull’argomento un uomo non solo dotto, ma anche eloquente, veramente saggio e perfetto. Egli potrebbe spiegarci in modo eccellente, mediante l’esposizione e il dialogo, il valore dell’anima nel corpo, in sé e in relazione a Dio, al quale, dopo la purificazione, è assai vicina e nel quale ha il bene assoluto. Ma poiché a me in questa opera manca un altro, mi faccio coraggio per non mancare io a te. Ma ho questo vantaggio che mentre senza competenza espongo il valore dell’anima, prendo sicura coscienza del mio valore. E prima di tutto limito una tua attesa troppo ampia e illimitata. Non ti mettere in testa che io ti parli di ogni anima, parlerò soltanto di quella umana. Di essa soltanto dobbiamo interessarci, se abbiamo un interesse per noi. Prima di tutto dunque, ed è un fatto che tutti possiamo agevolmente verificare, l’anima con la sua presenza vivifica questo corpo terreno e mortale. Aduna e mantiene le parti del corpo nell’uno e non permette che si disgreghino e si alterino. Attiva la distribuzione del nutrimento nelle membra secondo eguaglianza, rendendo a ciascuno il suo. Del corpo conserva la misura conveniente, non solo nella forma, ma anche nell’attuare la crescenza e la generazione. È possibile tuttavia osservare che tali proprietà sono comuni all’uomo e alle piante. Anche di esse si dice infatti che vivono, si osserva e si deve ammettere che ciascuna di esse si mantiene nella propria specie, si nutrisce, cresce e si riproduce.

 

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Secondo grado: la sensazione

33. 71. Sali dunque il secondo gradino. Osserva il potere dell’anima nei sensi, nei quali si riscontra una più evidente manifestazione di vita. Non si deve infatti prendere in considerazione non saprei quale irriverente teoria, certamente grossolana e più legnosa degli alberi, di cui si assume la difesa, perché giunge a sostenere che la vite sente dolore, quando si coglie l’uva, e che le piante non solo sentono, quando si tagliano, ma addirittura vedono e odono. Di questo errore blasfemo si parlerà altrove. Per il momento, secondo quanto ho programmato, intendi quale sia il potere dell’anima nei sensi e nel movimento dell’essere più manifestamente animato, proprietà appunto che è impossibile avere in comune con esseri che sono immobilizzati dalle radici. L’anima si esplica come movimento nel tatto e con esso percepisce distintamente il caldo e il freddo, il ruvido e il liscio, il duro e il molle, il leggero e il pesante. Inoltre col gusto, l’odorato, l’udito e la vista distingue innumerevoli differenze di sapori, odori, suoni e forme. In tutte queste funzioni cerca e appetisce le cose che sono convenienti alla natura del suo corpo, respinge e rifugge da quelle che sono contrarie. Si isola dai sensi per un determinato spazio di tempo e rinnovandone le energie durante un certo periodo di ferie, per dir così, passa in rassegna dentro di sé, a frotte innumerevoli, le immagini degli oggetti che con i sensi ha immagazzinato. Sono appunto il sonno e i sogni. Talora anche, con l’esercizio disciplinato delle braccia e delle gambe, produce l’estetica del movimento e senza stancarsi regola l’armonia delle membra. Rientra nei suoi poteri il congiungimento sessuale e mediante il legame fondato sull’amore tende a costituire l’unità fra i due sessi. Provvede non solo alla generazione, ma anche all’allevamento, difesa e nutrimento della prole. Si lega, mediante l’esperienza, alle cose, fra cui il corpo vive e con cui essa lo sostenta e malvolentieri, come se fossero membra, se ne distacca. E la vivezza dell’esperienza, in quanto non è fratturata dalla distanza delle cose e dal flusso del tempo, si chiama memoria. Ma non si può negare che le funzioni suddette sono attuate dall’anima anche nelle bestie.

 

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Terzo grado: arti e cultura

33. 72. Innalzati quindi al terzo grado, che è già esclusivamente dell’uomo. Pensa alla memoria, non fondata nell’esperienza delle cose passate, ma nella trasmissione documentata di innumerevoli fatti stabilmente conservati, alle tante tecniche artigianali, alla coltivazione dei campi, alla costruzione di città, alle svariate meraviglie di edifici e monumenti, all’invenzione di tanti segni dell’alfabeto, della parola, della mimica, della musica di vario genere, della pittura e scultura, a tanti idiomi, a tanti istituti, a tante cose nuove e rinnovate, a tanti libri e monumenti simili per trasmettere la memoria del passato e a tanta cura della posterità per conservarla, ai diversi ranghi delle cariche, dei poteri, degli onori e dignità nella famiglia, nello stato, in pace e in guerra, nei riti profani e sacri, alla dialettica del ragionare e del dedurre, ai fiumi d’eloquenza, alla varietà delle poesie, alle mille diverse finzioni dello spettacolo e della comica, alla conoscenza della musica, all’esattezza della geometria, alle leggi dell’aritmetica, alla congettura del passato e del futuro dal presente. Grandi cose ed esclusivamente umane. Ma questa è ancora capacità comune ai dotti e agli indotti, ai buoni e ai cattivi.

 

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Quarto grado: purificazione e virtù

33. 73. Lèvati quindi con lo sguardo al quarto grado, da cui iniziano la vita morale e la dignità spirituale. Da questo punto l’anima ardisce reputarsi superiore non solo al proprio corpo ma, se è vero che muove una qualche parte dell’universo, allo stesso universo visibile, a non considerare propri i beni del corpo e a disprezzarli con criterio nel raffronto col proprio potere e bellezza. E nell’atto che ne prende diletto, inizia gradualmente a separarsi dalle contaminazioni, a purificarsi totalmente e a rendersi pienamente monda e ornata, a fortificarsi contro tutte le cose, che tendono a distoglierla da un fermo proposito, a onorare l’umana convivenza e a non volere che si faccia agli altri ciò che non si vuole per sé, a seguire gli autorevoli insegnamenti dei saggi e a credere che sono per lei come parola di Dio. In tale attività eccellente dell’anima esistono ancora lo sforzo e un grande aspro conflitto contro le difficoltà e le lusinghe del mondo. Nell’esercizio della purificazione infatti rimane in sottofondo il timore della morte, il più delle volte non grande, talora fortissimo. Non è tanto grande, allorché si crede con fermezza, dato che avere visione intellettuale di tale verità è consentito all’anima soltanto al sommo grado della purificazione, che l’universo è governato con si grande provvidenza e giustizia di Dio, che a nessun individuo può sopravvenire la morte fuori dell’equità, anche se per caso fosse un iniquo a infliggerla. Si può temere invece fortemente la morte in questo grado, quando la fede nella verità suddetta è tanto meno ferma, quanto è più assillante la ricerca, e tanto meno se ne ha visione, quanto minore, a causa del timore, è la serenità indispensabile per investigare verità tanto arcane. In seguito l’anima gradualmente avverte, per il fatto stesso del suo profitto, la differenza esistente fra lo stato di purificazione e di contaminazione. Tanto più teme allora che, dopo la morte del corpo, Dio potrebbe esser meno clemente di lei nel vederla non purificata. Niente poi è più difficile della conciliazione fra il timore della. morte e la moderazione nelle soddisfazioni sensibili, come i pericoli stessi richiedono. Ma l’anima ha tanto valore che anche questo è possibile con l’aiuto della giustizia del sommo vero Dio, dalla quale è conservato e ordinato l’universo. Ad essa è dovuto non solo che il tutto esista, ma esista in maniera che meglio non sarebbe assolutamente possibile. E ad essa l’anima si affida con pietà e sicurezza per aiuto e perfezionamento nell’opera tanto difficile della propria purificazione.

 

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Quinto grado: costanza e serenità

33. 74. Quando è stato ottenuto questo risultato, cioè allorché si sarà resa libera dalla sensibilità e monda dalle contaminazioni, l’anima si raccoglie in sé con piena serenità, non teme più nulla per sé e non si angustia per un qualsiasi suo motivo. È dunque il quinto grado, poiché altro è effettuare la purificazione ed altro è il possederla, altro è l’atto con cui l’anima si riscatta dalla contaminazione e altro con cui non sopporta di tornare a contaminarsi. In questo grado ha la piena coscienza del proprio valore. In tale coscienza, con immensa e incredibile confidenza si muove verso Dio, cioè alla contemplazione della verità e a quell’altissimo arcano premio, per cui ha tanto sofferto.

 

Sesto grado: verso la contemplazione

33. 75. Ma quest’atto, cioè la tendenza ad avere intelligenza degli oggetti che sono al sommo grado della intelligibilità, è lo sguardo supremo dell’anima, perché altro più perfetto, migliore e più diretto non ne ha. È quindi il sesto grado dell’atto stesso. Altro è infatti che sia puro l’occhio dell’anima perché il suo sguardo non sia vano e presuntuoso e la sua visione erronea, altro è mantenere stabile la sanità ed altro dirigere lo sguardo, ormai sereno e sicuro, sull’oggetto della visione. Ma vi sono alcuni che pretendono di farlo prima della purificazione e guarigione. Ma saranno talmente abbacinati dalla luce ideale di verità da esser costretti a pensare che non solo in essa non v’è alcun bene ma un grande male, a negarle il nome di verità e a rifugiarsi con un certo gusto e soddisfazione degni di compatimento nelle proprie tenebre, che la loro infermità può sopportare, rinnegandone la cura. Quindi per divina ispirazione e proprio a proposito dice il Profeta: O Dio, crea in me un cuore mondo e rinnova dentro di me uno spirito ben orientato (Sal 50, 12). Lo spirito ben orientato è, credo, quello per cui l’anima non può smarrirsi per errore nella ricerca della verità. Ma esso non può essere rinnovato in noi senza la purificazione del cuore, cioè se prima il pensiero stesso non si è contenuto e disciolto dalle insozzanti brame delle cose caduche.

 

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Settimo grado: nella contemplazione

33. 76. Il settimo ed ultimo grado consiste nella contemplazione intellettuale della verità. Non è un grado, ma uno stato definitivo che si raggiunge attraverso i vari gradi. E quale sia la gioia, quale il godimento nel possesso del sommo e vero bene e di quale imperitura serenità sia il palpito, io non saprei dire. L’hanno detto, nei limiti in cui giudicarono di poterlo dire, anime grandi e incomparabili. E noi riteniamo che hanno veduto e vedono tuttora quell’oggetto. Ed ora oso dirti quanto segue. Se noi siamo perseveranti nel tenere il cammino che Dio ci ordina e che noi abbiamo intrapreso, giungeremo, con l’aiuto della divina provvidenza, alla ragione suprema o sommo fattore o sommo principio dell’universo o, se si vuole, altro nome, con cui un essere tanto grande si possa più convenientemente designare. Quando ne abbiamo puro pensiero, vedremo veramente quanto sotto il sole tutte le cose siano illusioni degli illusi (cf. Qo 1, 2). L’illusione è appunto apparenza e per illusi s’intendono tanto gli illusi dall’apparenza, quanto quelli che illudono o anche gli uni e gli altri. Si può anche giudicare la differenza esistente fra le cose apparenti e quelle intelligibili, e come tuttavia anche le prime siano state create da Dio e siano piuttosto un non-essere in confronto con le altre, sebbene considerate in sé siano mirabili e belle. Allora conosceremo quanto siano intelligibili gli oggetti, dei quali ci è stata richiesta la fede, con quanto salutare bontà siamo stati nutriti presso la madre Chiesa, quale sia il giovamento del latte, che l’Apostolo ha predicato di aver dato in bevanda ai piccoli (cf. 1 Cor 3, 2; Eb 5, 12; 1 Pt 2, 2). E prendere tale alimento è molto giovevole, finché si è nutriti dalla madre; disonorevole quando si è grandi; respingerlo, se è indispensabile, è degno di compatimento; disprezzarlo dopo averlo preso o odiarlo è delitto ed empietà; mungerlo e dispensarlo per l’uso è opera molto lodevole e caritativa. Vedremo anche l’indefinito divenire e fluire della natura nell’attuare l’ordinamento divino, con tanta evidenza che accetteremo pure, con maggiore certezza di quella, con cui al tramonto si crede che il sole tornerà a levarsi, la resurrezione dei morti, da alcuni accolta con qualche riluttanza, da altri del tutto negata. Ci sono alcuni, i quali scherniscono la dottrina che, per modello e inizio della nostra salvezza, il Figlio di Dio potentissimo eterno e immutabile ha assunto l’umanità, è nato da una vergine e gli altri aspetti misteriosi dell’avvenimento. Ma noi potremmo ribattere lo scherno, come faremmo con quei fanciulli, i quali, nell’osservare un pittore che mentre dipinge guarda dei disegni, non riuscissero a pensare che è possibile dipingere un uomo anche se il pittore non osserva un’altra pittura. V’è tanto godimento nella contemplazione della verità, nei limiti in cui è possibile contemplarla, tanta purità, tanta perfezione, tanta certezza dell’oggetto, da far pensare che non s’era mai avuta scienza di qualche cosa, quando sembrava di averne. E affinché l’anima sia meno ostacolata nell’aderire tutta al tutto della verità, la morte, che prima si temeva, è desiderata come definitiva ricompensa, in quanto fuga totale e liberazione dal corpo.

 

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