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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di Antonello Lotti

 

Meister Eckhart

 

Cella di S.Romualdo, Eremo di Camaldoli (AR), foto personale

Cella di S.Romualdo, Eremo di Camaldoli (AR), foto personale

 

 

«Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso.»
(Meister Eckhart, Sermone Haec est vita aeterna)

 

 

 

 

Indice

 

 

Bibliografia

 

Opere di Meister Eckhart:

  • Commento all'Esodo, Città Nuova, Roma 2004

  • I Sermoni, Paoline Editoriale Libri, Milano 2002

  • Dell'uomo nobile. Trattati, Adelphi, Milano 1999

  • Commento alla Sapienza, Nardini Editore, Firenze 1994

  • Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, Roma 1992

  • Commento all'Ecclesiastico, Nardini Editore, Firenze 1990

  • Commento alla Genesi, Marietti, Genova 1989

  • I Sermoni Latini, Città Nuova, Roma 1989 (ora Le Lettere, Firenze, 2019)

  • Sermoni tedeschi, Adelphi, Milano 1985

  • Trattati e Prediche, Rusconi, Milano 1982

Saggi su Meister Eckhart:

  • Vladimir Lossky, Teologia negativa e conoscenza di Dio in Meister Eckhart, La Vita Felice, 2016

  • Alain de Libera, Meister Eckhart e la mistica renana, Jaca Book, Milano 1998

  • Giorgio Penzo, Invito al pensiero di Eckhart, Mursia, 1997

  • Marco Vannini, Meister Eckhart e "il fondo dell'anima", Città Nuova, Roma 1991

  • Jeanne Ancelet Hustache, Maestro Eckhart e la mistica renana, Paoline Editoriale Libri, 1992

  • Kurt Ruh, Meister Eckhart. Teologo, Predicatore, Mistico, Morcelliana, Brescia 1989 (nuova edizione: Morcelliana, Brescia, 2024)

 

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Nota Biografica

 

Kurt Ruh (op.cit.) inizia il libro sulla vita di Eckhart citando il domenicano Taulero che, nel sermone Clarifica me, pater charitate, si riferiva quasi sicuramente a lui:

«Su ciò vi ha istruito un amabile maestro e voi non avete compreso. Egli parlava dal punto di vista dell'eterno, e voi avete inteso secondo il tempo». Kurt Ruh prosegue: «È una formulazione semplice per indicare un modo di predicazione che non si eleva verso il divino a partire dal basso, dal creaturale, ma che è certa della verità e della promessa dall'alto, dal fondo di Dio. Gli uditori però non comprendono tale discorso dato che sono affetti dal tempo e da ciò che al tempo è soggetto».

  • Non si sa molto della vita di Eckhart e la sua data di nascita, come quella di morte, è frutto di alcune deduzioni. Si pensa che nasca intorno al 1260 a Tambach, a sud di di Gotha, nella regione di Turingia. Alcuni pensano, forse a torto, che il suo primo nome non sia Eckhart, ma Johannes. Il primo dato certo della sua esistenza è il 18 aprile 1294, giorno di Pasqua, in cui risulta essere a Parigi come lector sententiarum, ossia baccelliere, incaricato di commentare i quattro Libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. In quel giorno egli doveva tenere il sermone festivo. Il lector sententiarum costituiva un elevato incarico nella carriera universitaria giacché presupponeva il baccalaureato nella facoltà di Teologia, preceduto dallo studio delle Arti, ossia Grammatica, Dialettica e Retorica, insegnamenti impartiti dalla Facoltà delle Arti. Il suo compito era quello di spiegare il manuale accademico di teologia, i Libri quatuor Sententiarum (1150-1152) di Pietro Lombardo. Ne risultavano i Commenti alle Sentenze, che costituivano la prima opera importante di un professore di teologia. Si discute riguardo all'autenticità di un manoscritto anonimo della biblioteca civica di Bruges come del testo del commento alle sentenze di Eckhart. Si ha però certezza riguardo alla "prolusione" di Eckhart che tematizzava l'oggetto del corso. Eckhart presenta i quattro libri delle Sentenze con una esposizione tratta dal Siracide (38, 4): Altissimus creavit de terra medicinam [Il Signore ha creato medicamenti dalla terra]; Altissimus indica il primo libro, ossia la teologia; creavit il secondo sulla creazione e sulle creature; de terra il terzo sull'incarnazione di Cristo; medicinam il quarto, con la dottrina dei sacramenti.

  • Entra giovanissimo nel convento dei Domenicani di Erfurt, sempre in Turingia. Il convento era uno dei più illustri ed antichi dell'Ordine nel nord della Germania, fondato nel 1229 e raggiungerà il suo massimo fulgore proprio con Eckhart.

  • Nel 1285 è inviato a Colonia per gli studi superiori. Qui esisteva lo Studio Generale dei Domenicani in cui venivano inviati i giovani domenicani tedeschi più dotati intellettualmente. Qui dunque si sarebbe perfezionato in teologia. Nel 1293-94 a Parigi, come abbiamo precisato sopra, legge le Sentenze di Pietro Lombardo, il manuale accademico della teologia di allora. Tra il 1294 e il 1298 è priore a Erfurt e vicario dei Domenicani per la Turingia. Dato che nel 1298, al capitolo generale, fu decretata l'incompatibilità di questi due uffici, anche per un motivo pratico (il primo doveva rimanere nella casa, il secondo viaggiare) sicuramente Eckhart avrà rimesso uno dei due incarichi, con buona probabilità quello del priorato. 

  • Nel 1302 è rimandato a Parigi dove ottiene il titolo di Magister (Meister) actu regens, ossia di "professore ordinario" in sacra teologia. Tale titolo diviene quasi una sorta di nome proprio. Qui tenne la cattedra che era di Tommaso d'Aquino trent'anni prima. Egli aveva il compito di spiegare la Bibbia e di partecipare alle dispute teologiche. 

  • Quando Eckhart ritorna in patria nel 1303, il capitolo generale di Besançon aveva deciso di dividere le province ormai troppo ampie. La Teutonia viene scorporata dalla Sassonia ed Eckhart fu il primo provinciale di questa con 47 conventi (senza contare quelli femminili) e un territorio composto da undici province. In circa otto anni, Eckhart è costretto a continui viaggi al fine di visitare tutte le case dell'Ordine e di fondarne di nuove. Nel Capitolo Generale tenuto a Strasburgo nel 1307, viene nominato vicario generale per la Boemia.

  • Nel 1310 il capitolo provinciale di Spira lo elegge provinciale della Teutonia, cioè della Germania meridionale. Nell'anno successivo, un altro capitolo tenuto a Napoli, gli toglie l'incarico e lo rimanda a Parigi ad insegnare. Nel biennio 1311-1313 insegna a Parigi per la seconda volta, cosa eccezionale per un domenicano. Soltanto per Tommaso d'Aquino si era verificata la stessa situazione. Ciò permette di comprendere quale prestigio intellettuale avesse all'interno dell'Ordine. Nel 1314 viene incaricato dell'assistenza spirituale ai conventi domenicani femminili della Germania del Sud.

  • Nel 1323 è a Colonia come docente. Nel 1326 l'arcivescovo di Colonia Heinrich von Virneburg apre un processo di inquisizione contro Eckhart. Heinrich si era segnalato come persecutore dei Begardi e dei Fratelli del libero spirito. La denuncia viene fatta da alcuni domenicani, in particolare da tale Ermanno de Summo e Guglielmo di Nidecken, testimoni e accusatori. Tutto ciò sembrerebbe spiegabile con la tradizionale rivalità esistente all'epoca fra domenicani e francescani. Nel 1328, prima della sentenza definitiva, muore probabilmente ad Avignone.

  • Il 27 marzo 1329 il papa Giovanni XXII pubblica la bolla In agro dominico, con cui condanna ventotto proposizioni eretiche o sospette di eresia (vedi il testo della bolla di condanna, nell'apposita sezione).

 

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Ritratto di Meister Eckhart 

 

Dottrina mistica: cenni

 

La bellissima introduzione che Marco Vannini scrive nel libro: Meister Eckhart, Dell'uomo nobile. Trattati, Adelphi Edizioni, Milano 1999 ci guida in parte nel delineare brevemente l'itinerario mistico dell'insegnamento eckhartiano. Egli afferma che tale è il punto di arrivo di un "uomo nobile" che si è mosso per cercare la verità. Questa esigenza lo conduce subito all'umiltà, ossia al riconoscimento della sottomissione di tutto alla necessità in forza della quale non esistono valori di cui ci si possa appropriare: il bene esce dall'ambito delle cose create e tutto quello che costituisce l'io in quanto determinato diventa inconsistente. Anzi, è l'ìio stesso a scomparire in quanto centro di volontà, di forza e di appropriazione (eigenshaft), quando ci si accorge della sua impermanenza: la parola "io", in quanto esprime una realtà sostanziale, solo Dio può pronunciarla. Ma l'uomo umile, fattosi nulla in se stesso, ossia assolutamente distaccatosi da se stesso, non trova più separazione fra se stesso e tutte le cose, tra Dio e tutte le cose, e così, nella misura in cui non è separato dalle cose, è Dio e tutte le cose.

Cancellando l'io psicologico, ciò che la mistica chiama morte dell'anima, si cancella infatti l'alterità dell'essere, si entra nell'Uno e nella pace. L'umiltà così intesa è anche distacco (abegescheidenheit) grazie al quale si rescinde il legame con il particolare, che ci si libera della volontà, cioè del condizionamento per eccellenza, di ciò che ci fa davvero servi, e solo così si accede all'universale, al tutto (op.cit., pp. 13-14).

Al venir meno della volontà propria, alla scomparsa di ogni legame, corrisponde l'emergenza della realtà, che è proprio nel distacco stesso, poiché il distacco non è un atto dello spirito, ma lo spirito medesimo. Tutto ciò non ha un senso panteistico, poiché Eckhart intende l'essere con lo spirito vivente e non con il mondo fatto di enti (io, gli altri, Dio, le cose). Lo spirito e la vita nello spirito è la realtà vera in cui non esistono alterità, strumentalità, banalità; ma lo spirito che è la vita stessa, e in cui noi siamo, non un ente fra gli altri enti, ma un soffio tra il soffiare, e-vento tra gli e-venti, sommamente reale (Marco Vannini, Introduzione a "I Sermoni", Paoline, Milano 2002, p. 35-36).

L'insegnamento essenziale di Eckhart — continua Vannini — non è, dunque, altro che la scoperta della realtà dello spirito. Senza comprendere questo i suoi scritti possono apparire assurdi e addirittura blasfemi, essendo così lontani da un cristianesimo comune; eppure si tratta del più puro insegnamento evangelico: Dio è spirito e chi si unisce al Signore è con lui un solo spirito (1 Cor 6,17). La parola "spirito" indica ciò che è in quanto si muove, ovvero ciò che si muove e il muoversi stesso, sintesi di amore che su tutto si stende e di intelligenza che tutto comprende. Non dunque il piccolo io opposto agli altri, che sono sempre per lui oggetti, e opposto, eventualmente anche a un supremo Altro, che è Dio, ma non un non-io identificato con il tutto, per il quale il bene degli altri è caro assolutamente come il suo, in niente di meno, e il cui cuore non si turba neppure se vedesse uccidere suo padre davanti a sé (come scrive in un Sermone). Lo spirito è quel "fondo dell'anima" di cui Eckhart parla spesso in diversi modi, avendo però cura di distinguerlo sempre da tutte le altre potenze dell'anima, e che identifica col "fondo" stesso di Dio.

 

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Condanna per eresia: introduzione

 

In questa sezione, non intendo commentare, ma proporre soltanto le tesi "eretiche" di Meister Eckhart, lasciando ad ognuno il compito di approfondire i suoi scritti e cogliere più nel profondo il senso delle sue affermazioni.

Tutto ciò serve unicamente a dimostrare quanto la tensione mistica sia foriera di particolari problemi di interpretazione, trattandosi di un'esperienza atipica, ricca di sottigliezze ed ambiguità non sempre decifrabili da un punto di vista profano. Ciò la rende "politicamente non corretta" in quanto, nel tentativo di rapportarsi alla divinità in maniera sempre più im-mediata, si perdono di vista regole e contenuti ortodossi, istituzioni ed autorità, riconoscendo in Dio, che è Verità, l'unico oggetto di desiderio e di attenzione dell'esistenza.

Fra le proposizioni che seguono, alcune potrebbero sembrare sovversive, ma altre, colte nella giusta luce di conoscenza, sono sicuramente cariche di un significato di bellezza infinita, di bene assoluto, che è quello che Eckhart ha cercato per tutta la vita, predicando a tutti - incolti e sapienti - con un grande amore per la Verità.

Lo stesso papa Giovanni XXII, dopo aver esaminato le proposizioni contestate, afferma che l'espressione di alcune di esse è "alquanto temeraria", probabilmente per quei tempi e per la cosiddetta "gente semplice" di cui la Chiesa si faceva garante dell'ortodossia e della giusta fede, e a cui molte prediche di Meister Eckhart erano indirizzate; anche se - continua il papa - "mediante molti chiarimenti e spiegazioni, possano ricevere o avere un senso cattolico".

Nel libro di Kurt Ruh, Meister Eckhart. Teologo - Predicatore - Mistico, Morcelliana, Brescia 1989, alle pagine 253-283 si può leggere un resoconto della genesi e dello svolgimento del processo per eresia.

 

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Testo della Bolla di condanna

 

Questo è il testo della bolla In agro dominico (cfr. Meister Eckhart, I sermoni latini, Città Nuova, Roma 1989, a cura di Marco Vannini):

  • Giovanni, vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria dell'avvenimento.

    Nel campo del Signore, di cui, per disposizione divina, anche se immeritatamente, Noi siamo guardiano ed operaio, dobbiamo esercitare la cura spirituale così vigilmente e prudentemente che, se un nemico vi sparge zizzania sopra il seme della verità, essa sia soffocata sul nascere, prima che germogli con una germinazione nociva, e così - distrutto il seme dei vizi e strappate le spine degli errori - la messe della cattolica verità possa crescere abbondantemente.

    Con grande dolore annunciamo che, in questi tempi, un certo Eckhart, dei paesi tedeschi e, secondo quanto si dice, Dottore e Professore di Sacra Scrittura, dell'ordine dei Predicatori, ha voluto saperne più del necessario, in modo imprudente e non conforme alla misura della fede, allontanando l'orecchio dalla verità e rivolgendosi a delle invenzioni. Sedotto, infatti, da quel padre della menzogna, che spesso assume le forme dell'angelo della luce per diffondere la tenebrosa e odiosa oscurità dei sensi al posto della luce della verità, quest'uomo, condotto in errore contro la splendente verità della fede, ha fatto crescere nel campo della Chiesa spine e zizzania, sforzandosi di produrre cardi nocivi e velenosi rovi. Ha così insegnato numerose dottrine che oscurano la vera fede in molti cuori, esponendole specialmente nelle sue prediche di fronte al popolo incolto ed anche ponendole per iscritto.

    Dall'indagine svolta in proposito contro di lui, prima per ordine del nostro venerabile fratello Enrico, Arcivescovo di Colonia, e poi ripresa per nostro ordine dalla Curia romana, abbiamo appreso in modo evidente, per confessione del medesimo Eckhart, che egli ha predicato, insegnato e scritto ventisei proposizioni, che suonano così:

    I - Essendo stato interrogato una volta sul perché Dio non abbia creato prima il mondo, rispose che Dio non poté creare il mondo prima, perché una cosa non può agire prima di essere; perciò, appena Dio fu, subito creò il mondo.

    II - Similmente si può concedere che il mondo sia esistito dall'eterno.

    III - Similmente, nel medesimo tempo e nel medesimo istante in cui Dio fu e generò il Figlio, Dio a lui coeterno e in tutto uguale, creò anche il mondo.

    IV - Similmente in ogni opera, anche cattiva - e dico cattiva sia in ordine alla pena che alla colpa -, si manifesta e riluce ugualmente la gloria di Dio.

    V - Similmente, chi ingiuria qualcuno loda Dio con quello stesso peccato di ingiuria e, quanto più ingiuria e più gravemente pecca, tanto più loda Dio.

    VI - Similmente, chi bestemmia Dio stesso, loda Dio.

    VII - Similmente, chi chiede questa o quella cosa, chiede il male e chiede male, in quanto chiede la negazione del bene e la negazione di Dio, e prega che Dio gli si neghi.

    VIII - Chi non ha di mira beni, né onori, né utilità, né devozione interna, né santità, né premio, né regno dei cieli, ma ha rinunciato a tutto ciò, e anche a quel che è suo proprio, in tali uomini Dio viene onorato.

    IX - Di recente mi sono chiesto se volevo ricevere o desiderare qualcosa da Dio: voglio riflettere molto su questo punto, perché se ricevessi qualcosa da Dio, sarei sotto di lui o suo inferiore, come un servo o uno schiavo, ed egli come un padrone, nel dare - e così non dobbiamo essere nella vita eterna.

    X - Noi siamo trasformati totalmente in Dio e mutati in lui; come nel sacramento il pane viene mutato nel corpo di Cristo, così sono cambiato in lui, giacché egli mi rende uno col suo essere, non simile; per il Dio vivente è vero che non c'è più alcuna distinzione qui.

    XI - Tutto quello che Dio Padre ha dato al Figlio suo unigenito nella natura umana, lo ha dato anche a me, senza alcuna eccezione, né dell'unione né della santità: lo ha dato tutto a me come a lui.

    XII - Tutto quello che la Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino.

    XIII - Tutto quello che è proprio della natura divina, è proprio anche dell'uomo giusto e divino: perciò quest'uomo opera tutto quello che Dio opera, e ha creato insieme a Dio il cielo e la terra, e genera il Verbo eterno, e Dio non saprebbe cosa fare senza un tale uomo.

    XIV - L'uomo buono deve conformare la propria volontà a quella di Dio in modo tale da volere tutto quel che Dio vuole. Dal momento che Dio in qualche modo vuole che abbia peccato, io non devo voler non aver commesso peccati, e questa è la vera penitenza.

    XV - Se un uomo avesse commesso mille peccati mortali e fosse in buona disposizione, non dovrebbe voler non averli commessi.

    XVI - Dio non comanda propriamente alcuna azione esteriore.

    XVII - L'azione esteriore non è propriamente buona né divina, né Dio la opera propriamente, né la genera.

    XVIII - Dobbiamo portare il frutto non delle azioni esteriori, che non ci rendono buoni, ma di quelle interiori, che il Padre, che abita in noi, fa ed opera.

    XIX - Dio ama le anime, non l'opera esteriore.

    XX - L'uomo buono è l'unigenito Figlio di Dio.

    XXI - L'uomo nobile è quel Figlio di Dio unigenito che il Padre ha generato dall'eternità.

    XXII - Il Padre genera me come suo Figlio e come suo stesso Figlio. Tutto quel che Dio opera, è uno; perciò genera me come suo Figlio senza alcuna distinzione.

    XXIII - Dio è uno secondo tutti i modi e sotto ogni aspetto, per cui non è possibile trovare in lui alcuna molteplicità, né ideale né reale; infatti chi vede la dualità o la distinzione, non vede Dio, perché Dio è uno al di fuori e al di sopra del numero, e non si somma con niente altro nell'uno. Ne consegue che in Dio stesso non può esserci né essere pensata alcuna distinzione.

    XXIV - Ogni distinzione è estranea a Dio, sia alla natura che alle persone; giacché la natura stessa è una e questo stesso uno, ed ogni persona è una e lo stesso uno che è la natura.

    XXV - Quando si dice: "Simone, mi ami più di costoro?" (Giovanni 21,15), il senso di questo "più di costoro" indica il bene, ma non la perfezione. Infatti dove c'è un primo e un secondo c'è un più e un meno, una gradazione e un ordine, ma nell'uno non c'è né grado né ordine. Perciò chi ama Dio più del prossimo agisce bene, ma non perfettamente.

    XXVI - Tutte le creature sono un puro nulla; non dico che siano poca cosa o qualcosa, ma che sono un puro nulla.

     

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  • Si è poi rimproverato al suddetto Eckhart di aver predicato due altre proposizioni con le seguenti parole:

    XXVII - C'è nell'anima qualcosa di increato e increabile; se tutta l'anima fosse tale, sarebbe increata e increabile; e questo qualcosa è l'intelletto.

    XXVIII - Dio non è né buono, né migliore, né ottimo; perciò dico male, quando dico che Dio è buono, come se chiamassi nero il bianco.

  • Noi abbiamo fatto esaminare le proposizioni sopra addotte da numerosi dottori in Sacra Teologia e le abbiamo esaminate con cura noi stessi, insieme con i nostri fratelli. In conclusione, sulla base del giudizio di quei dottori, come del Nostro stesso esame, abbiamo constatato che i primi quindici dei suddetti articoli, ed anche gli ultimi due, sia per i termini adoperati, sia per la connessione dei loro contenuti, contengono errori e la macchia dell'eresia. Invece, gli altri undici, il primo dei quali comincia: "Dio non comanda, ecc.", li abbiamo trovati pericolosi nella espressione, molto temerari e sospetti di eresia, benché, mediante molti chiarimenti e spiegazioni, possano ricevere o avere un senso cattolico.

    Perché simili proposizioni o il loro contenuto non corrompano il cuore della gente semplice, alla quale sono stati predicati, né guadagnare credito presso altri, Noi, su consiglio dei nostri suddetti fratelli, condanniamo e riproviamo espressamente come eretici i primi quindici articoli e i due ultimi; come pericolosi nella espressione, temerari e sospetti di eresia gli altri undici sopra citati, e similmente tutti i libri e gli opuscoli di questo Eckhart, che contengono i suddetti articoli o uno di essi. Se poi qualcuno osasse sostenere ostinatamente o approvare questi articoli, vogliamo e ordiniamo che, contro chi difendesse o approvasse i quindici sopra citati e i due ultimi, o uno di essi, si proceda come contro eretico; mentre contro chi difendesse o approvasse gli altri undici, quanto al loro testo, si proceda come sospetto di eresia.

    Vogliamo inoltre far sapere, sia a coloro davanti ai quali furono predicati o insegnati gli articoli suddetti, sia a tutti gli altri che ne sono venuti a conoscenza, che - come risulta da un pubblico atto in seguito redatto - il sunnominato Eckhart, confessando alla fine della sua vita la fede cattolica, revocò, quanto al loro senso, ed anche ripudiò i ventisei articoli suddetti, che riconobbe di aver predicato, ed insieme sconfessò tutto quello che, da lui predicato o scritto o insegnato nelle scuole, potesse indurre nell'animo dei fedeli un senso ereticale, o erroneo e contrario alla vera fede. Tutto ciò egli volle che fosse ritenuto assolutamente e completamente revocato, come se avesse sconfessato questi articoli ed il resto uno per uno e separatamente, sottomettendo se stesso e tutti i suoi scritti e tutte le sue parole alla decisione Nostra e della Sede Apostolica.

    Dato in Avignone, il 6° giorno delle calende di aprile, l'anno 13° del Nostro pontificato.

 

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Nota all'antologia tematica

 

Non è facile raggruppare per argomenti, a muovere dalle opere di Eckhart e in particolare dai Sermoni, le tematiche affrontate dal nostro Autore. Lo precisa Marco Vannini nella nota all'Indice analitico di Meister Eckhart, I sermoni, op.cit., p. 681: 

«Il genere letterario "sermoni" e le caratteristiche della predicazione di Eckhart, che ripete con sublime monotonia il suo insegnamento, ma anche continuamente ne intreccia gli elementi essenziali, rendono praticamente impossibile un indice analitico distinto ed esauriente».

Da ciò si ricava una breve e per nulla esauriente antologia dei temi più importanti affrontati da Eckhart. Spero che risulti, come d'altronde è nell'intenzione di tutte queste pagine, un invito alla lettura più approfondita delle sue opere. Nella pagina dei riferimenti bibliografici si trovano indicazioni delle sue opere, facilmente rintracciabili. 

Per Eckhart si è preferito lasciare spazio alle sue parole, con questa piccola antologia tematica, piuttosto che affrontare in linea teorica i temi della sua dottrina. Vale infatti quanto scrive Cyprian Smith nel suo "La via del paradosso. La vita spirituale secondo Maestro Eckhart", Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p.29):

«Se si legge Eckhart per qualche tempo, subito ci si accorge dell'immensa energia e calore cha da lui promanano e immediatamente afferrano, trascinano e affascinano. In Eckhart non v'è nulla di freddo e morto, e tuttavia quel suo calore, con la straordinaria energia spirituale che l'anima, non suona affatto flaccido o sentimentale. È, invece, fresco, radioso e aperto, dotato della chiara purezza di un ruscello montano. La visione spirituale che intende comunicarci suggerisce l'aria aperta e il libero soffio del vento».

I temi trattati si riepilogano nei seguenti:

1. Conoscenza

2. Distacco

3. Fede e vita cristiana

4. Libertà

5. Opere

6. Turbamento

7. Volontà

8. Unità

 

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CONOSCENZA

1. Dio opera maggiormente in un cuore umile, perché è là che trova la maggiore possibilità di operare, trovandovi la maggiore somiglianza con se stesso. In tal modo ci insegna come dobbiamo penetrare nel nostro fondo di vera umiltà e di vero spogliamento, perché deponiamo tutto quello che non abbiamo per natura, che è peccato e mancanza, e anche ciò che abbiamo per natura, ovvero tutto ciò che appartiene all'io proprio. Infatti, chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, poiché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso. L'uomo, che è al di sopra delle altre creature, conosce in una luce vera, in cui non è né tempo né spazio, senza "qui" né "ora". L'anima, che è una luce, racchiude in sé molto di Dio. (Sermone "Haec est vita aeterna, ut cognoscat te solum")

2. L'intelletto è servo in senso più proprio della volontà o dell'amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione. Invece l'intelletto si spinge in alto, verso l'essere, senza far caso alla bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale. Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si immerge nell'essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In ciò l'intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini sono il fuoco. L'intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in sé. Insieme a questi angeli, l'intelletto prende Dio nel suo guardaroba, nudo, in quanto è Uno, senza distinzione. (Sermone 37, Mio marito, tuo servo, è morto)

 

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DISTACCO

1. Chi è come deve essere si trova bene in ogni luogo e con chiunque, ma chi non è come deve essere non si trova bene in nessun luogo e con nessuno. Colui che è come deve essere ha Dio vicino a sé in verità, e chi possiede Dio in verità, lo possiede ovunque: per la strada e accanto a qualsiasi persona, così come in chiesa, in solitudine o nella cella. Se un uomo siffatto lo possiede veramente, e possiede lui soltanto, nessuno gli può essere di ostacolo. Questo perché egli ha Dio solo e a Dio solo va la sua intenzione, e tutte le cose divengono per lui Dio solo. Un tale uomo porta Dio in tutte le sue opere e in ogni luogo, ed è Dio soltanto a compiere tutte le opere di un tale uomo. L'uomo deve cogliere Dio in ogni cosa, e abituare il proprio spirito ad aver Dio sempre presente in sé, nella propria intenzione e nel proprio amore. Considera dunque in che modo sei rivolto a Dio quando sei in chiesa o nella tua cella, e mantieni un'identica disposizione dello spirito anche in mezzo alla folla, nel tumulto, fra le cose disuguali. Chi possiede Dio nella sua essenza, coglie Dio nella sua divinità; per quest'uomo Dio risplende in tutte le cose: per lui infatti tutte le cose sanno di Dio e in esse egli vede la sua immagine. (Istruzioni spirituali, n.6)

2. Dice nostro Signore: "A chi rinuncia a qualcosa per amor mio e per amore del mio nome, io renderò il centuplo me la vita eterna" (Mt 19,29). Ma se tu ti distacchi da qualcosa per il centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla, e, neppure per una ricompensa mille volte più grande, ti sei distaccato da nulla. Tu devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei veramente distaccato. L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo non può sopportarlo. Chi ama la giustizia, di lui la giustizia si prende cura, ed egli viene preso dalla giustizia, ed è una sola cosa con la giustizia. L'uomo giusto non serve né Dio né le creature, perché è libero; e quanto più è vicino alla giustizia, tanto più è vicino alla libertà, e tanto più è la stessa libertà. Tutto quel che è creato non è libero. Finché è sopra di me qualcosa che non è Dio stesso, ciò mi opprime, per quanto piccolo o comunque sia; fosse anche lo stesso intelletto e l'amore; in quanto è creato e non Dio stesso, mi opprime, perché non è libero. L'uomo ingiusto serve la verità, gli sia gioia o dolore, e serve l'intero mondo e tutte le creature, ed è un servo del peccato. (Sermone "Ego elegi vos de mundo)

3. L'uomo che è così saldo nell'amore di Dio deve essere morto a se stesso e a tutte le cose create, in modo tale da non fare attenzione a se stesso più che a chi è lontano oltre mille miglia. Quest'uomo permane nell'uguaglianza, permane nell'unità sempre completamente uguale: non entra in lui alcuna disuguaglianza. Quest'uomo deve avere rinunciato a se stesso e a tutto il mondo. Se ci fosse un uomo a cui il mondo intero appartenesse, e se egli lo abbandonasse, per Dio, ritrovandosi nudo così come lo ha avuto, Nostro Signore gli restituirebbe questo mondo tutto intero, e in più la vita eterna. Un altro uomo, che non avesse assolutamente nulla di corporeo o di spirituale cui rinunciare, né da donare, rinuncerebbe di più dell'altro. Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante. Ma se un uomo fosse stato nel distacco per vent'anni, e riprendesse se stesso anche per un solo attimo, non sarebbe ancora distaccato. L'uomo che ha abbandonato, che si è distaccato, che non guarda più assolutamente a ciò che ha abbandonato e permane costante, immutabile e impassibile in se stesso, soltanto quest'uomo è distaccato. (Sermone "Qui audit me non confundetur")

4. È un uomo povero quello che niente vuole, niente sa, niente ha. a) Niente vuole: fintanto che l'uomo ha ancora in sé la volontà di compiere la dolcissima volontà divina, non ha ancora la povertà di cui parliamo. Infatti, egli ha ancora in sé una volontà, con cui vuole soddisfare la volontà di Dio, e questa non è la vera povertà. Perché l'uomo sia davvero povero deve essere privo della propria volontà come lo era quando non esisteva. Ve lo dico nell'eterna verità: finché avete la volontà di compiere la volontà di Dio e avete desiderio dell'eternità e di Dio, non siete ancora poveri; infatti vero uomo povero è solo colui che niente vuole e niente desidera. b) Niente sa: l'uomo dovrebbe vivere in modo da non vivere né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Ma aggiungiamo: l'uomo che deve avere questa povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se stesso, né per la verità, né per Dio. Egli deve essere così vuoto di ogni sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui. Inoltre, deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui. c) Niente ha: l'uomo deve essere così povero da non avere, e non essere, alcun luogo in cui Dio possa operare. Quando l'uomo mantiene un luogo, mantiene anche una differenza. Perciò prego Dio che mi liberi da Dio, perché il mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio come inizio delle creature. In quell'essere di Dio in cui Egli è al di sopra di ogni essere e di ogni differenza, là ero io stesso, volevo me stesso e conoscevo me stesso per creare quest'uomo che io sono. Perciò io sono causa originaria del mio essere, che è eterno, e non secondo il mio divenire, che è temporale. (Sermone "Beati pauperus spiritu")

 

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FEDE e VITA CRISTIANA

1. Chi vuole iniziare una nuova vita o una nuova opera, deve rivolgersi al suo Dio e chiedergli con grande forza e con tutta la sua devozione di disporre per lui le cose nel modo che egli giudica migliore e più degno, non volendo e non cercando costui il proprio bene, ma soltanto la volontà di Dio. Qualsiasi cosa Dio gli mandi, deve accettarla come derivante immediatamente da lui, considerarla la cosa migliore, ed esserne totalmente soddisfatto. Se poi gli piace di più un altro modo di agire, pensi allora che Dio gli ha assegnato quello, e che pertanto deve essere per lui il migliore. Egli deve avere fiducia in Dio, facendo rientrare in quel modo tutti i buoni modi di agire, e accettando in quello e secondo quello tutte le cose, di qualunque natura siano. (Istruzioni spirituali, n.22)

2. Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v'è in noi l'amore di Dio. L'anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare e insegnare: che l'uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L'uomo non deve pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l'avere maggiore amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L'uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così. (Sermone "Gott hat die Armen")

 

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LIBERTÀ

1. Lo spirito libero è quello non turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo. E la più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e l'opera fra tutte superiore, è quella che proviene da uno spirito libero. (Istruzioni spirituali, n.2)

2. Sappi per vero che lo spirito libero, quando permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo essere, e, se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno, assumerebbe l'essere proprio di Dio. (Del distacco)

 

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OPERE

1. L'uomo deve essere libero e signore delle proprie opere, senza essere distrutto né costretto. (Istruzioni spirituali, n. 22)

2. I maestri sono d'accordo nel dire che finché l'uomo è nella grazia, tutte le opere che egli compie sono degne del premio eterno. E questo è vero, perché nella grazia è Dio che opera le opere. E dicono: se l'uomo cade in peccato mortale, sono morte anche tutte le opere che egli compie mentre si trova in peccato mortale, come egli stesso è morto, e non sono degne del premio eterno. E dicono poi: se Dio restituisce la grazia all'uomo cui dispiacciono le proprie colpe, allora tutte le opere che egli compì nella grazia risorgono e vivono come prima, e le opere compiute in peccato mortale sono perdute per sempre, il tempo e le opere insieme. E a questo contraddico io e dico: di tutte le buone opere che l'uomo ha compiuto mentre si trovava in peccato mortale, nessuna è perduta, e neppure il tempo in cui avvennero, dal momento che l'uomo riconquista la grazia. Se avviene un'opera buona attraverso un uomo, l'uomo si libera con questa opera e diviene più vicino al suo principio di quanto lo fosse prima e pertanto è migliore e più beato. Ma l'opera non è né buona né santa, né beata, ma è beato l'uomo in cui permane il frutto dell'opera. In questo senso non è mai andato perduto l'agire buono e neppure il tempo in cui avvenne, non perché esso permanga in quanto opera e tempo, ma perché, sciolto dall'opera e dal tempo, è eterno con la sua qualità nello spirito, come lo spirito è eterno in se stesso. Quando l'uomo compie buone opere mentre si trova in peccato mortale, non le compie a partire dal peccato mortale, ma piuttosto a partire dal fondo del suo spirito, che è buono in se stesso per natura, anche se egli non si trova nella grazia. Questo non nuoce allo spirito, perché il frutto dell'opera, sciolto dall'opera e dal tempo, permane nello spirito ed è spirito con lo spirito, e non viene annullato, così come non viene annullato l'essere dello spirito. (Sermone "Mortus erat et revivixit")

3. Come mai spesso Dio permette che uomini buoni, veramente buoni, siano sovente impediti nelle loro buone opere. Il fedele Dio permette che i suoi amici cedano spesso alla propria debolezza, affinché venga loro a mancare qualsiasi sostegno cui potersi volgere o appoggiare. Per una persona che ama sarebbe infatti grande gioia riuscire a fare grandi cose: veglie, digiuni, e altri esercizi, e compiere imprese particolari, grandi e difficili; persone così trovano in ciò grande gioia, sostegno, speranza, in maniera che le loro opere sono un appoggio, un sostegno, una ragione di fiducia. Nostro Signore vuole privarle di ciò per essere il loro unico sostegno, la loro unica ragione di fiducia. Dio fa questo per pura bontà e misericordia: niente altro, infatti, che la sua pura bontà lo determina ad operare. Le nostre opere non servono in alcun modo a che Dio ci dia o compia qualcosa per noi. Nostro Signore vuole che i suoi amici si distacchino da ciò, e per questo toglie loro ogni sostegno: per essere il loro unico sostegno. Dio vuol dare loro molto, e lo vuole nella sua libera bontà; lui solo deve essere loro appoggio e loro consolazione: perciò essi devono stimarsi un puro nulla in mezzo ai grandi doni di Dio. Infatti, più è spogliato e nudo lo spirito che si rivolge a Dio ed è sorretto da lui stesso, più l'uomo è profondamente fissato in Dio, e più è capace di ricevere i suoi preziosissimi doni. L'uomo, infatti, deve costruire unicamente su Dio. (Istruzioni spirituali, n. 19)

4. Tu dici: Dio opera cose tanto grandi in molte persone; il loro essere è riplasmato dall'essere di Dio, e così a operare in esse è Dio, non loro. Ringrazia Dio dei doni che fa loro e, se li fa a te, accettali, in nome di Dio. Se poi non te li accorda, fanne volentieri a meno; abbi soltanto lui nel tuo pensiero, e non curarti di sapere se a compiere le tue opere è Dio o sei tu stesso. Bisogna infatti che sia Dio a compierle, se hai soltanto lui nel tuo pensiero - che egli lo voglia o meno. (Istruzioni spirituali, n. 23)

 

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TURBAMENTO

1. Io lodo il distacco ancor più di ogni misericordia, giacché la misericordia in null'altro consiste se non nel fatto che l'uomo esce da se stesso per andare verso le miserie del prossimo, e così il cuore ne ricava turbamento. Di tutto ciò il distacco resta scevro, permane in se stesso, e da nulla si lascia turbare. Infatti, finché qualcosa è in grado di turbare l'uomo, egli non è tale quale dovrebbe essere. (Del distacco)

2. In Dio non c'è tristezza né sofferenza né tribolazione. Se vuoi essere liberato da ogni sofferenza e tribolazione, volgiti a Dio e unisciti in purezza a lui soltanto. Di certo, ogni sofferenza proviene dal fatto che tu non ti volgi unicamente in Dio e a Dio. Nulla che sia ineguale o ingiusto, nessuna cosa del mondo creato può far soffrire il giusto, perché, essendo tutto ciò che è creato così tanto al di sotto di lui quanto lo è al di sotto di Dio, non può influenzarlo né contaminarlo, né generarsi in lui, che ha Dio soltanto come Padre. Perciò bisogna che l'uomo molto si adoperi nello spogliarsi di se stesso e di tutte le cose create, e non riconosca altro padre che Dio soltanto. Così, nulla potrà farlo soffrire, né Dio né creatura, nulla di creato o di increato, giacché tutto il suo essere, vita, conoscenza, sapere e amare, è da Dio, in Dio, è Dio stesso. (Il libro della consolazione divina)

 

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VOLONTÀ

1. L'uomo non deve spaventarsi di nulla, finché la sua volontà è buona, né deve affliggersi se non può metterla in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano dalle virtù, se ha in sé una vera buona volontà giacché la virtù e ogni bene risiedono nella buona volontà. Se tu possiedi una volontà giusta, nulla ti mancherà: né amore, né umiltà, né virtù alcuna. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire "Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece: "Voglio che ora sia così". In verità, con la volontà io posso tutto. Posso sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i poveri, compiere le opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa immaginare. Se non è la volontà che ti manca, ma solo la possibilità di agire, in verità tu hai compiuto, davanti a Dio, tutto questo. E nessuno te lo può togliere o contestare un solo istante, giacché voler fare, se se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono davanti a Dio la stessa cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà quanta ne ha il mondo intero, e se tale desiderio fosse grande e totale, davvero io avrei questa volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà è piena e retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e formata sulla volontà di Dio. (Istruzioni spirituali, n. 10)

 

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UNITÀ

1. Ho letto una parola espressa da san Paolo nell'epistola [Ef 4,6]: Un solo Dio e padre di tutti, che è benedetto al di sopra di tutti, da tutti e in noi tutti. Quando dice: Un solo Dio, egli intende con ciò che Dio è Uno in se stesso e separato da tutto. Dio non appartiene ad alcuno, e nessuno gli appartiene; Dio è Uno. Boezio dice: Dio è Uno e non muta [Consolazione 3,9]. Tutto quel che Dio ha creato, lo ha creato soggetto al mutamento. Tutte le cose in quanto create, portano su di sé il mutamento. Questo significa che noi dobbiamo essere Uno in noi stessi, separati da tutto, sempre immutabili, Uno con Dio. Al di fuori di Dio non vi è che il nulla. Perciò è impossibile che in Dio abbia luogo qualche mutamento o cambiamento. Chi cerca un luogo fuori di sé, si muta. Ma Dio possiede in sé tutte le cose in pienezza; perciò non cerca niente fuori di sé, ma solo nella pienezza che è Dio. L'Uno è qualcosa di più puro della bontà e della verità. Bontà e verità non aggiungono niente, ma aggiungono nel pensiero: quando qualcosa viene pensato, si aggiunge. Invece l'Uno non aggiunge niente, là, dove egli è in se stesso, prima di effondersi nel Figlio e nello Spirito santo. Un maestro dice: L'Uno è la negazione della negazione. Se dico che Dio è buono, gli aggiungo qualcosa. Invece l'Uno è negazione della privazione. Che significa l'Uno? L'Uno significa ciò cui niente è aggiunto. L'anima coglie la Divinità come essa è pura in se stessa, dove niente le è aggiunto, neppure col pensiero. L'Uno è negazione della negazione. Tutte le creature portano in sé una negazione: ciascuna nega di essere l'altra. Un angelo nega di essere l'altro. Ma Dio ha una negazione della negazione; egli è l'Uno e nega ogni altra cosa, giacché niente è al di fuori di Dio. Tutte le creature sono in Dio e sono la sua propria divinità, e questo significa la pienezza. (Sermone "Un solo Dio e padre di tutti")

 

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