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Mistica.Blog -
Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
La spiritualità dei Padri del
deserto
Lotta
tra belve, Tarsia
marmorea aula basilicale Giunio Basso, Roma, Musei Capitolini
Uno degli anziani chiese al Padre
Giovanni Nano: Che cos'è un monaco? Egli disse: Fatica. Poiché in ogni
azione il monaco deve sforzarsi. Questo è il monaco!
Piccola
bibliografia sul monachesimo e sui Padri del deserto, con alcune antologie
di detti:
Gregorio
Penco, Il
monachesimo, Mondadori, Milano 2000
Gregorio
Penco, ,
Jaca Book, Milano 1995
Salvatore
Pricoco, Il monachesimo,
Laterza, Bari 2003
John
Chryssavgis,
Al
cuore del deserto. La spiritualità dei padri e delle madri del
deserto, Qiqajon, Magnano (BI) 2004
Louis
Bouyer, La spiritualità dei Padri. III-VI secolo:
monachesimo antico e padri, EDB, Bologna 2000
Douglas
Burton Christie, , Qiqajon, Magnano (BI)
1998
Jean-Claude
Guy,
Vita e detti dei Padri del deserto,
(a cura di Luciana Mortari), Città Nuova, Roma 2001
I Padri del deserto. Detti,
(a cura di Marco Vannini), Leonardo-Mondadori, Milano 1997 [non più edito]
Detti
e fatti dei Padri del deserto
(a cura di C. Campo e P. Draghi), Bompiani, Milano 2000
Aforismi
dei padri del deserto, Gribaudi, Milano 2003
EVAGRIO PONTICO, Contro i
pensieri malvagi, Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI) 2005
EVAGRIO PONTICO, Trattato
pratico, Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI) 2008
Anselm
Grün, Queriniana,
Brescia 2003
Anselm
Grün, Il cielo comincia in te. L’attualità della
sapienza dei Padri del deserto, Queriniana, Brescia 2003
AA.VV.,
Nuovo Dizionario di spiritualità, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo (MI) 1989 (5')
AA.VV.,
Dizionario teologico enciclopedico, Piemme, Casale Monferrato
(AL) 2004
L'inizio del
monachesimo
Il
monachesimo è un movimento spirituale che sorge in alcune
religioni che, seppure in forme diverse, viene accomunato dalla ricerca di
una realtà che trascenda la vita presente, mediante l'ascesi, la
preghiera e la contemplazione, vivendo in solitudine o in comunità più o
meno ristrette. Grandi movimenti monastici li troviamo nell'induismo, nel
buddhismo e nel cristianesimo.
Nel
mondo cristiano, il monachesimo ebbe
origine tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, in un
periodo particolare, in cui finiva il mondo cosiddetto antico, e
l’impero romano era già diviso fra Occidente ed Oriente. In
quell’epoca,
Alcuni
cristiani, specialmente in Egitto e in Palestina, ma anche
in Siria e in Mesopotamia, iniziarono a ritirarsi nel deserto
con l’intento di voler riaffermare che "il regno di Dio non è di
questo mondo" e rivendicare i più alti valori dello spirito, insieme ad
una protesta (più o meno esplicita) contro i pericoli della mondanità.
In realtà la sua origine risale ai primi convertiti che, nelle città,
vivevano in modo radicale la propria fede alla ricerca di un'unione intima
ed esclusiva con Cristo. Il loro ideale era quello di piacere soltanto a
Dio e di anticipare in qualche modo sulla terra quella vita trascendente
in cui Dio è "tutto in tutti".
L’etimologia
del termine “monaco” (dal greco mónachos = unico, solo) ha una
lunga storia che inizia con Platone. Ha avuto diverse interpretazioni: Gerolamo
la intende con “solitario”; i padri orientali con “persona
unificata”; Agostino con persona mirante all’“unanimità” coi
fratelli; nel mondo siriaco pensando al monaco come imitatore di Cristo,
“l’unigenito”.
La
prima espressione di vita monastica è sicuramente quella eremitica
o anacoretica. Gerolamo definisce gli anacoreti quanti abitano da
soli nei deserti e prendono il loro nome dal fatto che si sono ritirati
lontano dagli uomini. Il termine originario greco anachoréo (=
ritirarsi) significa la fuga nel deserto dei debitori insolventi. Gli
anacoreti si caratterizzano per il loro isolamento pressoché totale,
l'astinenza sessuale, le penitenze, il lavoro manuale e l'assenza di un
superiore. In mancanza di fonti attendibili, non è possibile sapere
dettagli sull'istituzione di questo tipo di vita. Solo successivamente
farà seguito una vita associata o cenobitica (dal greco koínos bíos
= vita comune). Fu
Pacomio (292-347) che, dopo un'esperienza personale di vita eremitica,
diede forma al cenobitismo impostato sulla convivenza nella totale
condivisione dei beni e nella preghiera comune, nell'osservanza della
stessa regola, nel lavoro manuale e nell'obbedienza all'abate. La sua
prima comunità venne fondata nel 323 a Tabennisi, nell'alto Egitto. La
sua Regola, di 194 articoli, venne osservata in poco più di vent'anni da
nove conventi maschili e due femminili.
Anche
Antonio
il Grande (250-355), dopo un periodo di anacoretismo divenne "padre"
di alcuni piccoli monasteri che facevano capo a lui. Basilio di Cesarea
(330-379), grazie alle esperienze monastiche che lo avevano preceduto,
iniziò ad apportare modifiche e correzioni alle forme cenobitiche già in
atto. Egli impostò la convivenza comunitario su un tipo di rapporto
amicale, convinto che soltanto la vita cenobitica garantisse
l'esercizio della carità. La coabitazione costituisce infatti un campo di
prova, un continuo esercizio , un'ininterrotta meditazione dei precetti
del Signore. Basilio limitò il numero dei monaci che vivevano assieme e
inserì i monasteri all'interno della realtà sociale ed ecclesiale,
aggregando ospizi, scuole, orfanotrofi. Ridimensionò l'impegno dei lavori
manuali, dando maggior rilievo alla preghiera e allo studio. Infine, Gerolamo
(347-419) riuscì ad esportare nell'Occidente queste forme di vita
ascetica sorte nel mondo orientale.
I
Padri del deserto
Abbiamo
visto che i
Padri del deserto sono gli eremiti che, dalla fine del III secolo si
ritirarono in luoghi isolati dell’alto e basso Egitto, a volte nel
deserto (in greco, erémos) con
forme di vita solitaria (anacoretismo), ma anche comune (cenobitismo).
I secoli IV e V furono i periodi di massima vitalità, poi ci fu una
progressiva decadenza fino al secolo VII, in cui la conquista musulmana lo
interruppe.
I
Padri del deserto vivevano in quasi totale povertà, in capanne o in
grotte; vivevano grazie al lavoro delle proprie mani intrecciando foglie
di palma per farne cesti od altri oggetti utili. A volte si facevano
assumere come braccianti stagionali dagli agricoltori della valle del
Nilo.
Fra
i centro monastici più importanti troviamo Nitria (a sud di Alessandria)
con gli eremi delle Celle e la solitudine di Scete,
I
Padri del deserto non disponevano di regole scritte, per cui la loro vita
fu libera quanto soggetta ad alcuni inevitabili squilibri.
Nei
cenobi, i monaci si riunivano per la “sinassi”, ossia per la
celebrazione comunitaria dell’Eucaristia o di altri uffici divini.
In
periodi limitati, il monaco si ritirava in assoluta solitudine e in
completo eremitismo. Si alternavano sovente diversi tipi di vita sebbene
quella comunitaria prese il sopravvento.
Breve
profilo spirituale
Il
monachesimo degli inizi e quindi quello dei Padri del deserto ha un
formidabile legame con la Sacra Scrittura. Questo appare evidente in
alcune scelte precise, che richiamano il percorso compiuto dal popolo di
Dio, soprattutto nell'Antico Testamento:
1)
il deserto,
come luogo della prova, della tentazione, dell’abbandono in Dio, della
lotta contro i demoni, della precarietà e transitorietà di ogni cosa (vedi
più avanti);
2)
il
richiamo ad Abramo e al suo abbandono della patria;
3)
i luoghi
santi come il Sinai e il Carmelo;
4)
la verginità
come risposta all’invito di Cristo a seguirlo in una vita sempre
più perfetta (che ha più legame col Nuovo Testamento).
Il
percorso spirituale compiuto dal monachesimo è stato in primo luogo
quello di rettificare le posizioni dell’inizio che portarono ad alcune
degenerazioni: scarso senso ecclesiale, disordini morali, errori
teologici, forme di fanatismo. Il
cammino spirituale era visto come un passaggio dalla tristezza alla gioia.
Sulla base delle prime esperienze compiute dai Padri del deserto venne
formandosi un patrimonio comune di dottrina e di idealità. Possiamo
individuare alcune tappe dell’ideale ascetico, secondo i seguenti temi:
1) pénthos:
il tema della compunzione;
2)
apótaxis:
la rinuncia;
3)
anachóresis:
l’allontanamento nella solitudine;
4)
áskesis:
l’ascesi;
5)
agôn:
il combattimento spirituale;
6)
apátheia:
il dominio di sé;
7)
diákrisis:
il discernimento degli spiriti;
8)
parrhesía:
il riacquisto dello spirito colloquiale con Dio;
9)
theopoíesis:
la deificazione.
I
temi spirituali non consentono tuttavia di derivare una teologia dei Padri
del deserto. Secondo M. Vannini, nel testo citato, l'esperienza
specifica dei Padri presuppone un certo pelagianesimo, almeno in
quanto pone l'accento sulla necessità dell'impegno personale, e anche
sulle autonome capacità dell'uomo e sul suo sforzo, per conseguire la
salvezza. «Sta qui la durezza ascetica dei monaci egiziani, sempre alle
prese con l'insuperabile distanza che separa l'uomo da Dio: una distanza
che nessuna pratica ascetica, per quanto
Digressione sul "deserto"
La parola deserto evoca risonanze nelle varie culture etniche, nella filosofia, nelle religioni e nella spiritualità. Seguiamo liberamente quanto trattato in modo più ampio dal Nuovo Dizionario di Spiritualità (vedi citazione in Bibliografia), alla voce "deserto". A partire dalla poesia araba dei beduini pre-islamici, si canta della lotta fra il deserto che rifiuta l'uomo e questi che cerca di conquistarlo comunque. «L'uomo prende veramente coscienza del suo nulla e anche del nulla assoluto d'ogni cosa nella fuga inarrestabile del tempo. Non c'è dubbio che il deserto lamini l'uomo, come fa con tutto il resto; ma appare anche indubbia la rivincita dell'uomo, la cui lucidità mette a nudo il deserto nella sua realtà essenziale, la quale non è che il nulla... nella sua individualità, è la pietra, ossia il vuoto assoluto e irrazionale» (A. Miquel). Con argomentazioni di tipo etnologico, al deserto è attribuita la scoperta dell'unicità di Dio. L'uomo, divenendo pastore nomade, sviluppa progressivamente, con l'aiuto del deserto, l'idea del Dio unico. Questo sembra accertato sia nel pastore orientale antico che nella civiltà dell'America dopo la scoperta di Colombo. Gli stessi ebrei dovettero essere educati nel deserto al fine di pervenire all'idea del solo ed unico Dio. L'amore del deserto si trova in India, in Cina, in Asia centrale, in Africa e in America attraverso l'esperienza, simile ovunque, degli anacoreti. Non sempre si tratta del deserto come luogo geografico, con le sue rocce, le sabbie aride, le distese brulle, dove tutto muore, che impone la riflessione e la sensazione della nullità dell'uomo, sempre teso alla ricerca di oasi di verde dove la vita appaia di nuovo. Esistono infatti altri luoghi che assicurano la solitudine, il ritiro dalla mondanità, il silenzio, l'ascolto. L'attrazione del deserto venne sentita in modo originale dai mistici cristiani, non solo in quanto si sentivano stranieri e pellegrini in questo mondo, ove non hanno una città stabile, permanente (cfr. 1 Pt 2,11 ed Eb 13,14), ma anche per disporsi alla città futura, mediante l'ascesi penitenziale del deserto. Antonio il Grande è la figura emblema di questa scelta: la solitudine, il nascondimento, il deserto erano il luogo dove si scopriva meglio il conflitto delle passioni, delle forze oscure ed occulte, operanti all'interno di ogni uomo. Si credeva infatti che fosse il diavolo ad operare tale conflitto, aggirandosi da padrone nella solitudine del deserto. Pertanto, per le anime più decise e coraggiose il deserto diventava la palestra per una lotta più impegnativa e spesso risolutiva contro il nemico dello spirito. Antonio passa attraverso una prova di oscurità nel corso della quale ha l'impressione di essere abbandonato da Dio al potere diabolico: tuttavia egli persevera, pur nella fede più nuda. E solo al termine della prova, una visione luminosa del cielo lo consolo. È allora che domanda: dov'eri? perché non sei apparso fin dal principio per far cessare le mie sofferenze? Una voce risponde: io ero là, ma attendevo per vederti combattere (Atanasio, Vita di Antonio). Riassumendo, possiamo intendere il deserto come un luogo spirituale secondo le prospettive tracciate da S. Fiores, nel Dizionario citato:
I Detti dei Padri del deserto
La
raccolta dei Detti dei Padri del deserto appartiene al genere letterario
detto apoftegmatico (in greco, apophtégmata
= detti), noto alla cultura antica e in particolare a quella ellenistica.
La forma letteraria prevede normalmente un breve esempio di vita, un
dialogo essenziale fra discepolo e maestro, una risposta concisa che
riassume o condensa un profondo insegnamento morale e religioso. Era
normale che anonimi copisti raccogliessero e tramandassero gli episodi e i
detti più importanti e famosi dei Padri, che prima erano stati tramandati
solo oralmente.
Si
formò nel tempo una raccolta di materiale che successivamente venne
rielaborato e sistemato in diverse lingue (greco, siriaco, latino, copto,
armeno). La più importante raccolta è quella alfabetica (Alphabeticon),
tradotta in latino (dal greco) nel VI secolo. Si tratta della raccolta più
antica, più autorevole e diffusa.
Nella
raccolta dei Detti troviamo come un elemento basilare della preghiera,
della vita e della dottrina dei padri del deserto, sia costituito dalla
memorizzazione di molti brani della Scrittura.
I
richiami biblici fioriscono nel discorso con una certa frequenza e spontaneità parimenti ad una libertà grande nel distaccarsi
Antonio eremita
Piccola Antologia commentata
Questa che viene presentata non è un'antologia ampia dei Detti dei Padri del deserto, ma un semplice "assaggio" che permetterà di approfondire l'interesse attraverso una lettura più completa grazie alle varie antologie pubblicate. In particolare, consiglio quella edita da Città Nuova, secondo il riferimento dato in Bibliografia, che è ricca di materiale. Il breve commento personale che ho affiancato è solo un'interpretazione, che ovviamente non impedisce di cercarne e trovarne altre. Non vuole pertanto essere un commento esegetico, quanto piuttosto una riflessione spirituale del tutto personale e, in questo senso, limitata.
1. CURA DELLE ANIME
«In un cenobio, un fratello fu falsamente accusato di impurità: e si recò dal padre Antonio. Vennero allora i fratelli dal cenobio, per curarlo e portarlo via. Si misero ad accusarlo: «Tu hai fatto questo». Ed egli a difendersi: «Non ho fatto nulla del genere». Accadde per fortuna che si trovasse colà il padre Pafnuzio Kefala; egli disse questa parabola: «Sulla riva del fiume vidi un uomo immerso nella melma fino al ginocchio; e vennero alcuni per dargli una mano, ma lo fecero affondare fino al collo». E il padre Antonio, riferendosi al padre Pafnuzio, dice loro: «Ecco un vero uomo, capace di curare e di salvare le anime». Presi da compunzione per la parola degli anziani, essi si inchinarono davanti al fratello; poi, esortati i padri, lo riportarono al cenobio.» [Antonio il grande, n. 29].
2. RICOMINCIARE SEMPRE
«Un giorno i demoni assalirono Arsenio nella sua cella per tormentarlo; giunsero frattanto coloro che lo servivano e, stando fuori dalla cella, lo udirono gridare a Dio: "O Dio, non mi abbandonare; non ho fatto niente di buono ai tuoi occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare".» [Arsenio, n. 3].
3. PARLARE COL CUORE
«Il Padre Poemen disse: "Insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude".» [Poemen, n. 63].
4. IL SENSO DELLA SOLITUDINE
«Un fratello chiese al padre Matoes: "Che devo fare? La mia lingua mi è causa di afflizione: quando giungo in mezzo agli altri, non riesco a trattenerla, ma in ogni loro azione trovo da giudicarli e accusarli. Che devo dunque fare?" L'anziano gli rispose: "Fuggi nella solitudine. È debolezza infatti. Chi vive con dei fratelli, non deve essere un cubo, ma una sfera, per poter rotolare verso tutti". E disse: "Non per virtù vivo in solitudine, ma per debolezza; sono forti infatti quelli che vanno in mezzo agli uomini".» [Matoes, n. 13].
5. LA FATICA DI AVVICINARSI A DIO
«La madre Sincletica disse: "Per coloro che si avvicinano a Dio all'inizio vi è lotta e grande fatica, ma poi gioia indicibile. Come quelli che vogliono accendere il fuoco: prima sono disturbati dal fumo e lacrimano, quindi raggiungono ciò che cercano. Perché, dice, il nostro Dio è fuoco che consuma (Eb 12,29). Così anche noi dobbiamo accendere il fuoco divino con lacrime e stenti".» [Sincletica, n. 1].
6. LA SOTTIGLIEZZA DEI PENSIERI
«Il padre Poemen disse: "Molti dei nostri padri divennero valorosi nell'ascesi. Ma, quanto alla sottigliezza dei pensieri, che si raggiunge mediante la preghiera, soltanto uno o due.» [Poemen, n. 106].
7. IL VERO MAESTRO
«Il padre Poemen disse: "Un uomo che insegna, e non fa ciò che insegna, assomiglia a una sorgente; abbevera e lava tutti, ma non può purificare se stessa".» [Poemen, n. 25].
8. PARLARE E TACERE
«Un fratello chiese al padre Poemen: "È meglio parlare o tacere?" L'anziano disse: "Chi parla per amore di Dio fa bene, e chi tace per amore di Dio fa ugualmente bene".» [Poemen, n. 147].
9. VIVERE PRIMA DI PARLARE
«Un fratello venne dal padre Teodoro e cominciò a parlare e a trattare cose di cui non aveva ancora fatto esperienza. "Non hai ancora trovato la nave - gli dice l'anziano -, non hai ancora caricato il tuo bagaglio, e sei già arrivato in quella città prima di essere partito? Compi prima l'opera e poi giungerai a ciò di cui ora parli".» [Teodoro di Ferme, n. 9].
10. LA TENEREZZA DI DIO
«Alcuni anziani si recarono dal padre Poemen e gli chiesero: "Se vediamo dei fratelli che sonnecchiano durante la liturgia, vuoi che li scuotiamo, perché rimangano desti durante la veglia?" Ma egli disse loro: "Veramente, se io vedo un fratello che sonnecchia, metto la sua testa sulle mie ginocchia e lo lascio riposare".» [Poemen, n. 92].
Le madri del deserto: cenni
Come testimoniato dal volume a cura di Lucio Coco, Meterikon. I detti delle madri del deserto, Mondadori, Milano 2002, «fin dai primi secoli del cristianesimo le donne hanno sviluppato, non diversamente dagli uomini, analoghi modelli di vita solitaria. In corrispondenza infatti dei primi asceti cristiani, che hanno preceduto i monaci, esse sono dette "vergini", perché della stirpe che non viene dalla fecondità corporale e perché loro attributo specifico è la verginità che si adorna di ogni altra virtù. Non è tuttavia possibile stabilire esattamente l'epoca in cui si compie questa transizione per cui da associazioni spontanee, e per lo più domestiche, di vergini si passa a un monachesimo femminile organizzato. [...] Il modello monastico che le donne preferiscono e verso il quale si indirizzano è quello cenobitico. Questa tendenza è accertata anche tra i circoli ascetico-domestici romani. Per esempio la casa di Marcella sull'Aventino si trasformò dopo il 373 in quello che possiamo chiamare un cenacolo ascetico. Mentre in area palestinese, la nobile Paola, che pure aveva partecipato all'asceterio di Marcella, aveva fondato nel 386 a Gerusalemme un doppio convento maschile e femminile sotto la guida rispettivamente di Girolamo e, alla sua morte avvenuta nel 404, della figlia Eustochio. Meno marcata risulta invece la tendenza all'eremitismo femminile. Poche sono le donne che scelgono la vita dell'anacoresi, anche se i loro profili si inseriscono in una tradizione altamente edificante».
Florilegio di frasi
NOTA: Il termine esichia, che ricorre sovente nei testi che seguono e in tutta la raccolta citata, deriva dal greco hesychìa che significa pace interiore, quiete ed appartiene alla tradizione spirituale dell'oriente cristiano (esicasmo).
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