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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
FAQ sulla mistica (domande e
risposte)
Vincent van
Gogh, Notte stellata, olio su tela, 1889, New York, Museum of Modern Art
Domandare è un gesto fondamentale della nostra umanità, anche se non
sempre abbiamo
le risposte a disposizione. Ed ogni risposta trovata non è mai
assoluta o definitiva.
I fenomeni straordinari (estasi,
visioni, etc.) appartengono alla mistica?
Occorre percorrere tutti questi gradini per arrivare all'unione con
Dio?
Quali sono i tratti caratteristici dell'esperienza mistica
cristiana?
Si parla anche di "distacco" nella vita mistica. Cosa si intende?
Per vivere il distacco nella vita mistica, occorre attuarlo anche
fisicamente?
Spesso vengono proposti modelli da
imitare (santi, etc.). Può essere utile?
Come
è giudicata la mistica da parte della Chiesa cattolica?
Come
viene pensata la mistica dalla maggior parte delle persone?
In
che modo la mistica affronta il problema della sofferenza umana?
Si
può parlare di mistica in altre religioni e culture diverse rispetto
alla cristianità?
Queste domande-risposte sono essenziali e sintetiche al fine di
consentire un primo approccio alla comprensione della "mistica"
nei suoi vari aspetti. Vale la
pena di accennare al fatto che si tratta di risposte personali e
non hanno alcuna pretesa di "ortodossia". Laddove consigliato, si invita a
collegarsi alle varie pagine che trattano in modo più approfondito alcuni
temi. Sono convinto infatti che non si possa restringere la mistica a
poche ed essenziali domande-risposte e che i suoi temi vadano ampliati
attraverso un approfondimento personale.
Questa serie di domande-risposte riguardano la mistica in
generale. Se sarà il caso, questa pagina verrà aggiornata con
nuove
domande-risposte su argomenti più specifici, sempre nello spirito di
Mistica.info. Per quanto attiene ai riferimenti bibliografici,
vengono dati solo i titoli dei volumi (ed eventualmente le pagine): il
riferimento completo può essere consultato alla pagina della
BIBLIOGRAFIA.
1. Cosa si intende per mistica?
Con il termine mistica si intendono
molte cose. Se considerato come aggettivo, si parla di teologia mistica,
di stato mistico, atto mistico, esperienza mistica, orazione mistica,
fenomeno mistico, etc. Se lo consideriamo invece come sostantivo, possiamo
definire, con M. Vannini (cfr. Storia della mistica occidentale), la mistica come l'esperienza dell'Uno, ossia
dell'unità profonda – al di là delle forme e delle modalità con cui viene
vissuta ed espressa nel caso singolo – tra uomo e Dio. Nelle vecchie
definizioni si parlava di una "conoscenza sperimentale di Dio e della sua
azione".
Scrive A. Silesius (Il pellegrino
cherubico, I, 6): «Per trovar mio fine ultimo e mio primo principio /
Devo cercare a fondo me in Dio e Dio in me / Diventando quel ch'egli è:
luce nella luce, / Un Verbo nel Verbo, un Dio in Dio».
2. Qual è l'origine del termine
"mistica"?
Dal punto di vista filologico la parola mystikós
deriva da mystés: colui che è stato iniziato ai misteri.
L'aggettivo mystikós proviene dal verbo myo = chiudere la
bocca e gli occhi. Da qui deriva mysterion, mistero, che nel mondo
ellenistico riguarda il rito segreto di iniziazione che mette in contatto
l'uomo con la divinità. L'iniziazione è indicata con il termine mysteriasmós
e l'iniziato con mystés. Mystikós è adoperato in senso
generale per parlare dei "misteri" ossia i riti iniziatici delle
religioni perciò chiamate misteriche.
3. Esistono diversi tipi di
mistica?
Essenzialmente due: una mistica
dell'essenza (detta anche speculativa) e una mistica del sentimento (detta
anche nuziale).
4. Quali sono le differenze?
La mistica del sentimento riguarda
aspetti psicologici, contingenti e limitati della persona e proprio per
questo alcuni autori non la considerano una vera e propria mistica. Essa
infatti, come afferma ancora M. Vannini (op. cit.), permette di inserire al suo
interno un repertorio devozionale, estatico, visionario, tipico della
pietà religiosa (non solo cattolica). Si preoccupa del particolare più che
dell'universale. La mistica speculativa è sempre un'esperienza, ma dello
spirito, dell'Uno. Come tale è al di là di ogni contenuto e determinazione
(e quindi esula da componenti psicologiche o fenomeni individuali),
seppure in senso dialettico.
5. I fenomeni straordinari (estasi,
visioni, etc.) appartengono alla mistica?
Il discorso intorno ai c.d. fenomeni
mistici straordinari ha sempre destato un certo interesse, a volte
esclusivo, come se la mistica potesse restringersi a ciò. Secondo quanto
affermato da A. Royo Marin (cfr. Teologia della perfezione cristiana), in ambito cristiano, queste "grazie"
particolari non devono essere né desiderate né richieste a Dio. Non sono
necessarie per la salvezza né per la santificazione, in quanto possono
essere ricevute anche in peccato mortale. Tali grazie non sono poi
ordinate al bene del soggetto cui sono concesse, ma a profitto degli altri
e della comunità in cui vive. Sono indipendenti dalla santità e quindi non
occorre che i santi le abbiano.
Per un approfondimento:
6. Cosa si intende per ascesi?
Etimologicamente
il termine ascesi significa esercizio,
allenamento e si applica sia all'esercizio fisico sia alla riflessione
filosofica. Ben presto, però, questa parola è venuta a significare gli
sforzi mediante i quali si vuole riuscire a progredire nella vita morale e
religiosa. Questi sforzi spesso, ma non necessariamente, sono metodici.
Stando alla generalità dei casi, l'ascesi spirituale da un lato impone
una disciplina corporale, dall'altro suppone degli esercizi di orazione
mentale sottoposti a metodi più o meno stretti. Partendo dalla
necessità, per l'uomo, di uno sforzo per conseguire la perfezione, tutte
le spiritualità parlano di ascesi e di vita ascetica: ogni persona
spirituale deve praticare «esercizi spirituali». Anche nella vita
cristiana è necessario lo sforzo umano per cooperare alla grazia divina e
disporsi a ricevere un incremento di vita spirituale; e poiché questo
sforzo di purificazione e di cooperazione non è mai completo ed è quindi
necessariamente permanente, alcuni autori includono sotto il nome di
«ascetica» tutta la teologia spirituale.
7. C'è differenza fra ascesi e
mistica?
Ci sono opinioni differenti al
riguardo. La prima afferma che la via della vita spirituale è unica e
quindi l'ascetica e la mistica rappresentano due tappe dello stesso
cammino: la tappa ascetica serve da preparazione a quella mistica. La
seconda opinione afferma l'esistenza di due vie, ognuna delle quali è in
grado di condurre alla perfezione. La via ascetica costituisce il cammino
normale e comune riservato alla maggior parte delle persone. La via
mistica rappresenta un mezzo straordinario, proprio di alcune anime
privilegiate.
8. Ci sono delle tappe da
percorrere nella vita spirituale?
In molti autori si ha una divisione
della vita spirituale in vari gradi o tappe da percorrere. Normalmente
sono tre: 1) via purgativa (o delle anime incipienti); 2) via illuminativa
(delle anime proficienti); 3) via unitiva (delle anime perfette).
9. In che consiste la via
purgativa?
Gli incipienti
nella vita spirituale sono quelli che, vivendo abitualmente nello stato di
grazia, hanno un certo desiderio di perfezione, ma conservano un
attaccamento al
peccato veniale e sono esposti a ricadere di tanto in tanto in alcune
colpe gravi. La purificazione dell'anima è il lavoro per queste anime che
consiste nell'espiazione del passato e nel distacco dal peccato e dalle
sue occasioni per l'avvenire. Tale pratica consiste essenzialmente nella
preghiera, nella penitenza per riparare il passato, nella mortificazione
per assicurare l'avvenire, nella lotta contro i vizi capitali e contro le
tentazioni.
10. E la via illuminativa?
È chiamata
così perché consiste principalmente nell'imitare Nostro Signore con la
pratica positiva delle virtù cristiane; ora Gesù è la luce del mondo e
chi lo segue non cammina nelle tenebre. Poiché la via illuminativa
consiste nell'imitazione di Nostro Signore, per entrarvi bisogna adempiere
queste tre condizioni, che ci rendono capaci di seguirlo con la pratica della virtù di cui ci ha dato l'esempio: 1) bisogna aver
già acquistato una certa purezza di cuore; 2) bisogna che l'anima abbia
mortificato le sue passioni; 3) infine è necessario avere, con la
meditazione, acquistato convinzioni profonde su tutte le grandi verità,
al fine di poter dare nell'orazione maggior tempo agli affetti e alla
preghiera propriamente detta. I mezzi impiegati sono: a) applicarsi
diligentemente
all'orazione affettiva per attingervi la conoscenza, l'amore e
l'imitazione del divino modello; b) praticare pure, in modo speciale ma
non esclusivo, quelle virtù morali che, liberandole dagli ostacoli che si
oppongono all'unione con Dio, cominceranno ad unirle a Colui che è
l'esemplare d'ogni perfezione; c) praticare quindi le virtù teologali,
che avevano già praticate nella via purgativa di conserva con le virtù
morali, in modo che si sviluppino in loro e diventino il principale motore
della loro vita.
Scrive
A. Silesius (Il pellegrino cherubico, V, 282): «È come il sole
Dio: chi verso lui si volge è illuminato e subito confortato dal suo
volto».
11. Ed infine, quella
unitiva?
Si ha quando si è maturi per l'unione abituale ed intima con Dio. Il fine è quello di
vivere unicamente per Dio, che abita
in noi. Vivere in modo
intenso, con tutto il fervore che viene dall'amore; e quindi
dimenticare se stessi per non pensare più che a quel Dio che vive in noi, ad amarlo con tutta l'anima, a concentrare in lui tutti i
pensieri, i desideri, le azioni. I caratteri distintivi della via
unitiva si compendiano in uno solo: il bisogno di semplificare tutto, di
ridurre tutto all'unità, vale a dire all'intima unione con Dio per mezzo
della divina carità. L'anima vive quasi costantemente alla presenza di
Dio, e si diletta di contemplarlo vivente nel suo cuore, diligentemente
distaccandosi dalle creature. Onde cerca la solitudine e il silenzio;
costruisce a poco a poco nel cuore una celletta in cui trova Dio e gli
parla cuore a cuore. Si forma allora tra Dio e lei una dolce intimità.
12. Quindi la via mistica è quella
propriamente unitiva?
La
mistica, scrive M. Vannini (op. cit.), è esperienza di unità (ablatio omnis
alteritatis, come la definisce il Cusano), pur
in modo dialettico e con le limitazioni espresse più avanti (v.
Domanda
22). Il Catechismo della Chiesa
cattolica afferma al n. 2014: «Il
progresso spirituale tende all'unione sempre più intima con Cristo.
Questa unione si chiama "mistica", perché partecipa al
mistero di Cristo mediante i sacramenti - "i santi misteri" -
e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio ci chiama tutti a
questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse
grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo
di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti». Come già fatto
notare nelle pagine di questo sito (Concetti
fondamentali), la Chiesa restringe l'esperienza mistica ai soli
sacramenti. Ed in quella occasione è già stato detto che non si può
"regolare" la mistica attraverso il solo esercizio di
determinate liturgie o apparati ritualistici. Accettare il rischio di un
"al di là" del modo consueta di rapportarsi a Dio è
aprirsi ad un mondo di bellezza infinita e di verità sublime,
nell'umiltà di chi accetta quello che Dio ha preparato per sé e per la
vita di tutti. Aprirsi
al mistero vero di Dio significa cercare di non limitare la sua
azione a piccoli o grandi atti umani codificati, ma accettare di essere
condotti in spazi inesplorati, sostenuti da Dio stesso che è Bene
assoluto, Amore infinito, Verità che non delude.
Scrive
A. Silesius (Il pellegrino cherubico, IV, 181): «Più nulla
l'anima beata sa dell'alterità: è solo una luce e una gloria con Dio».
13. Occorre percorrere tutti questi
gradini per arrivare all'unione con Dio?
Scrive Teresa d'Avila, rivolgendosi
alle sue consorelle: «è molto importante rendersi conto che Dio non conduce tutti per la
stessa strada; infatti può accadere che colui che si crede più
indietro sia invece più avanti agli occhi del Signore. Pertanto, non
perché tutte in questa casa pratichino l'orazione devono essere tutte
contemplative. È impossibile, e sarebbe triste per quella che non lo
è, non capire questa verità, che cioè la contemplazione è solo un
dono di Dio, e poiché non è necessaria alla nostra salvezza né la si
esige da noi, non tema di esserne mai richiesta; per questo non cesserà
di essere perfetta in sommo grado».
14. In che consiste la
contemplazione?
Il
termine "contemplare", cioè guardare a lungo con stupore e
ammirazione, è composto di due parole cum e templum; cum
= con indica simultaneità e contemporaneità, comunanza e unione; templum
= spazio celeste, spazio circoscritto dal cielo abbracciato dallo sguardo,
o tempio consacrato a una divinità. Insieme, le due parole assumono il
significato di "abitare questo spazio celeste o tempio divino".
Nella filosofia greca antica il termine è sinonimo di intuizione
razionale. A partire da Plotino, questa attività risulta essere distinta
dall'intuizione, attraverso cui si conosce l'oggetto. Successivamente, i
Padri della chiesa presero a considerare la contemplazione come riflessione
dell'anima su se stessa e della sua graduale purificazione per accostarsi
a Dio. Nel corso del tempo, si vanno delineando due correnti: l'intellettualismo,
di derivazione tomista, che considera la contemplazione come un'azione
dell'intelletto che genera l'amore; l'altra, detta volontarismo,
rappresentato da Bonaventura e Duns Scoto che invece considera la
contemplazione come amore e frutto di amore. La
contemplazione viene ad indicare una forma superiore di conoscenza
caratterizzata dalla semplicità dell'atto, di conseguenza essa si
realizza in un atto di semplice intuizione della verità (simplex
intuitus veritatis) o di riposo tranquillo sull'oggetto conosciuto: contuitus,
fruitio, possessio veritatis. Allora la contemplazione è lo stupore
che genera il silenzio quasi abbagliato che segue l'ascolto
dell'ineffabile Dio. È il silenzio contemplativo, che non è assenza di
parole o di suoni, ma pienezza della Parola e dell'armonia suprema (M.Herraiz, in Dizionario di mistica, p.
338-339).
15. La contemplazione è la stessa
cosa di mistica?
Scrive A.Tanquerey che a
forza di pensare a Dio, uno fissa amorosamente lo sguardo su di lui, e si
ha così la contemplazione,
che è una delle note caratteristiche della via unitiva.
La parola contemplazione indica, in senso proprio, un atto di semplice
vista intellettuale, astraendo dai vari elementi affettivi o immaginativi
che l'accompagnano; ma, quando l'oggetto contemplato è bello ed amabile,
l'atto si associa ad ammirazione e amore. Per estensione si chiama
contemplazione un'orazione che ha per qualità speciale il predominio di
questo semplice sguardo; onde non è necessario che questo atto duri tutto
il tempo dell'orazione, basta che sia frequente e accompagnato da affetti.
L'orazione contemplativa si distingue quindi dall'orazione discorsiva,
perché esclude i lunghi ragionamenti; e dall'orazione affettiva, perché
esclude la molteplicità degli atti che qualificano quest'ultima. Pertanto,
la contemplazione è all'interno del percorso mistico e, come dice Teresa
d'Avila, non occorre essere contemplativi per vivere un'unione con Dio.
16. Quali sono i tratti
caratteristici dell'esperienza mistica?
I
tratti caratteristici dell'esperienza mistica (non solo cristiana) sono i seguenti: 1) Presenza di Dio, intimo e trascendente;
2) Sentimento
di oggettività e di certezza; 3) Gratuità; 4) Transitorietà; 5) Passività
attiva o recettiva; 6) Ineffabilità; 7) Linguaggio
simbolico e paradossale.
Per un approfondimento di tutti questi temi:
17. Si parla anche di "distacco" nella vita
mistica. Cosa si intende?
Il distacco non è un
concetto teologico. Secondo
una formulazione da dizionario,
«è l'atteggiamento interiore di uno spirito libero da qualsiasi legame
equivoco ed egoistico verso persone e cose. Anche se in senso più ampio
esso può coincidere, e di fatto coincide, con altri termini come:
mortificazione, rinuncia, spogliamento, abnegazione, ecc., non va
confuso, da una parte, né con l'insensibilità e la durezza, e dall'altra,
con l'egoistica indifferenza verso tutto e verso tutti oppure con il
disprezzo delle cose create, oppure con la falsa tranquillità di chi si
gode beatamente la propria pace e il proprio benessere. Il suo significato
specifico è precisamente questo: libertà interiore di fronte alle persone
e alle cose» (B.Zomparelli, in Dizionario di mistica).
Il distacco è il tema principale di tutta la teologia mistica di Eckhart,
che la considera come «la
più alta e migliore virtù attraverso cui l'uomo possa unirsi nel modo più
intenso e stretto a Dio, e per grazia diventare ciò che Dio è per natura,
e attraverso cui l'uomo sia maggiormente simile all'immagine che egli era
in Dio, nella quale non vi era differenza tra lui e Dio, prima che Dio
creasse le creature» (Trattato
"Del distacco").
Per un approfondimento sulle tematiche di
Eckhart:
18. Per vivere
il distacco nella vita mistica, occorre attuarlo anche fisicamente?
Nel corso della storia della
spiritualità si sono avute molte esperienze tra cui spicca quella del
monachesimo, costituita da un vero e proprio allontanamento dalla comunità
delle persone per vivere nel deserto (= privazione) una vita di
purificazione a più stretto contatto con Dio. Purtuttavia, ritengo valido
quanto scritto da Meister Eckhart (Istruzioni spirituali, n.6): «Mi è stata posta la seguente
domanda: alcuni vorrebbero separarsi completamente dagli altri e stare
soli – e in ciò troverebbero la pace, e nello stare in chiesa: è questa la
cosa migliore? Io ho risposto di no ed ecco perché. Chi è come deve
essere, in verità, si trova bene in ogni luogo e con chiunque, ma chi non
è come deve essere non si trova bene in nessun luogo e con nessuno. Colui
che è come deve essere, ha Dio vicino a sé in verità, e chi possiede Dio
in verità, lo possiede ovunque: per la strada e accanto a qualsiasi
persona, così come in chiesa, in solitudine o nella cella. Se un tale uomo
lo possiede veramente, e possiede lui soltanto, nessuno gli può essere di
ostacolo. Questo perché egli ha Dio solo e a Dio solo va la sua
intenzione, e tutte le cose divengono per lui Dio solo. Un tale uomo porta
Dio in tutte le sue opere e in ogni luogo, ed è Dio soltanto a compiere
tutte le opere di un tale uomo. L'uomo deve cogliere Dio in ogni cosa, e
abituare il proprio spirito ad avere Dio sempre presente in sé, nella
propria intenzione e nel proprio amore».
Scrive A. Silesius (op. cit, II, 117): «È necessaria
la solitudine; ma se non sei volgare puoi essere dovunque come in un
deserto».
19. Tutti possono vivere una
vita mistica?
A detta degli autori spirituali,
tutti sono chiamati (= vocazione) agli stati mistici. La chiamata alla
perfezione è infatti universale e la perfezione è impossibile fuori degli
stati mistici. Ma, come afferma D.Mongillo nel Dizionario di mistica, «l'unione
con Dio, nella tradizione cristiana, è il nucleo più sublime della
rivelazione della vocazione umana e, nello stesso tempo, la condizione più
ardua ad essere descritta, la più delicata ad essere educata: la gloria
della meta è la croce della via».
20. Spesso vengono proposti
modelli da imitare (santi, etc.). Si tratta di una cosa utile?
Scrive Eckhart a questo proposito
(cfr. Istruzioni spirituali, n. 17): «Ciascuno mantenga il proprio modo di agire
e faccia entrare in esso tutti gli altri e vi accolga ogni bene e ogni
modo di agire. Gli uomini non possono seguire tutti una sola strada. Lo
stesso avviene per l'imitazione dell'austerità dei santi. Tu puoi amare un
tale modo di agire, esso ti può piacere, senza che per questo tu debba
imitarlo. Nostro Signore ha digiunato quaranta giorni, ma in ciò nessuno
deve mettersi a imitarlo. Egli ha compiuto molte opere affinché noi lo
imitiamo spiritualmente, non materialmente; perciò bisogna impegnarsi a
seguirlo nello spirito, giacché egli guarda più al nostro amore che alle
nostre opere. Noi dobbiamo imitarlo nel modo che ci è proprio».
21. La mistica è una forma di gnosi?
Secondo H.Vorgrimler (cfr. Nuovo
Dizionario Teologico, p.326), la "gnosi" (dal greco =
conoscenza) ha un senso cristiano. Egli afferma: «In questo caso significa la conoscenza
carismatica facente parte della fede, avvolta dall'amore, che nel Nuovo
Testamento è attribuita al perfetto uomo "spirituale", che è nello
Pneuma;
con essa l'uomo "comprende" a fondo, in maniera sempre più credente,
l'incomprensibile amore di Dio, e di conseguenza si fa afferrare sempre
più da questo amore in quanto verace e definitivo». Pertanto, la mistica,
secondo quanto affermato, può intendersi una forma di gnosi, forse la più
perfetta.
22. L'unione mistica è stabile e
duratura?
In realtà, nel percorso spirituale,
non si raggiunge lo stato unitivo rimanendovi sempre. Anzi, proprio a quel
punto, compare un'esperienza fondamentale, che Giovanni della Croce
definisce come "notte oscura" o notte dello spirito. Si tratta di
«un'esperienza
spirituale profonda e prolungata,
caratterizzata
dalla sensazione di aridità, oscurità, vuoto, vissuta e interpretata come
assenza ed abbandono di Dio. Ciò che al soggetto sembra abbandono e magari
castigo è, in realtà, un gesto manifesto dell'amore e del potere divino:
"Dio ammaestra l'anima e la istruisce nella perfezione dell'amore senza
che essa faccia alcunché né intenda come". La illumina e purifica in
forma passiva per mezzo della "contemplazione infusa", luce divina che
illumina e abbaglia, irrita per la sua immensa chiarezza e per
l'indisposizione dell'anima; la fa vivere e agire con nuovi criteri e
motivi che non comprende. Qualifica come "passivo" tanto l'intervento di
Dio come l'atteggiamento del soggetto. È fondamentale il riferimento
teologale: prossimità ombrosa, assenza desolante di Dio, che con la sua
santità e infinitezza impone modalità violente e dolorose al rapporto con
l'uomo» (F.Ruiz Salvador,
Dizionario di mistica).
23.
Che ruolo svolge la meditazione all'interno della mistica?
Le
radici della parola “meditazione” risalgono al greco meléte
che vuol dire «cura, studio, esercizio». Le sue radici latine (meditari)
esprimono più propriamente il senso di preparazione e di pratica. La
radice indoeuropea med-
si ritrova in molte parole, tra cui medicina. All'inizio serviva per
indicare ogni specie di esercizio fisico o intellettuale, ogni pratica
destinata a preparare e ad affinare l'esercitante. In seguito si è
distinto exercere (riservato agli esercizi fisici) da meditari
(per gli esercizi dello spirito). L'esercizio della meditazione è una
delle forme della preghiera contemplativa. Nella spiritualità cristiana,
la meditazione indica comunemente «la forma di contemplazione in cui si
succedono atti distinti dell'intelligenza e della volontà, mentre nella
contemplazione propriamente detta l'attività spirituale è molto più
semplice» (cfr. Nuovo dizionario di spiritualità, Edizioni
Paoline). Dal XVI secolo fino ai tempi moderni, la meditazione è stata
considerata anzitutto una preghiera mentale che coinvolge la riflessione
più approfondita su un'idea religiosa o della Bibbia, usando le capacità
mentali come stimolo all'affetto e alla buona determinazione (cfr. Nuovo
dizionario di spiritualità, Libreria Editrice Vaticana). La
meditazione pertanto non appartiene in modo precipuo alla vita mistica,
ossia può essere considerata una specie di introduzione, ma non la caratterizza.
Per
un approfondimento:
24.
Qual è il senso della preghiera nella mistica?
Ovviamente, non per tutti i mistici può valere un discorso unitario ed
un unico modo di concepire la preghiera. Ma credo che quello che afferma
Meister Eckhart sia particolarmente pregnante. Nel Sermone 65, Dio
è amore, egli infatti dice: «Quando chiedo qualcosa pregando, non
sto pregando. Quando sono unito, là dove sono presenti tutte le cose –
quelle passate, quelle di ora e quelle future –, allora sono tutte
ugualmente vicine e una sola cosa; tutte sono in Dio e tutte in me. Chi
domanda qualcosa di diverso da Dio soltanto, lo si può chiamare idolatra
e ingiusto. Quelli che pregano in spirito e verità (Gv
4,23) pregano bene. Quando io prego per qualcuno, prego nel modo più
meschino. Quando non prego per nessuno e non chiedo niente, prego nel modo
più vero, perché in Dio non c’è una o l’altra persona. Quando
preghiamo Dio per qualcosa di diverso da lui è ingiustizia, mancanza di
fede e superstizione, perché così si vuole aggiungere qualcosa a Dio.
Chi fa così vuole fare di Dio un nulla e del nulla Dio».
E
Augustin Guillerand, autore certosino, su che cosa domandare quando si
prega, scrive: «A Dio non si può domandare altro che Dio; Egli è tutto;
donandosi, Egli dona tutto; chiedendo Lui, si chiede tutto; quando lo si
ha, non si può più nulla chiedere né desiderare» (cfr. La preghiera).
25.
Quali sono i rapporti fra mistica e poesia?
Scrive
Massimo Baldini (Il
linguaggio dei mistici, pagg.44-45) che: «il linguaggio della
poesia, come quello della mistica, è un linguaggio intessuto di
paradossi. La paradossia risveglia l'attenzione della mente dalla letargia
delle comode abitudini linguistiche, crea stupore, sorpresa, pone in nuova
luce ciò che il linguaggio ordinario (o quello teologico) avevano
opacizzato. Tanto il mistico quanto il poeta tendono ad essere dei sovversivi
sul piano della lingua, creano il loro linguaggio via via che
procedono. Anche il mistico compie a livello linguistico ciò che Eliot
diceva essere tipico del poeta, e cioè “deviare il linguaggio
rendendolo significativo”, e per entrambi vale ciò che Paul Valéry
affermava essere proprio del “vero scrittore”, e cioè l'essere “un
uomo che non trova le parole”. Il mistico ha bisogno di una lingua
giovane, per questo è vittima di una crisi linguistica che lo può
spingere sino a cercare di uccidere il linguaggio. Il mistico ama le
antitesi, i paradossi, gli ossimori, i termini superlativi. Egli non
ascolta il consiglio di Cicerone per il quale la metafora doveva essere
riservata (pudens) e non ardita, infatti mostra di prediligere le
metafore assolute, audaci, vive. La sua è una metaforicità tanto ardita
da essere talora ebbra».
Per
un approfondimento:
26.
Qual
è il rapporto fra la mistica e il mondo d'oggi?
In altre pagine si diceva che tra la mistica e il mondo – inteso come
la realtà o il sentire comune, anche religioso – esiste un rapporto
conflittuale. E per citare alcuni esempi di contrapposizione, si diceva
che la mistica ama il silenzio
carico di significato, quanto il mondo
ama la chiacchiera vana e prolissa. La mistica ama l’essenziale, il semplice, l’Uno, quanto il mondo
ama il complesso e ricerca il sensazionale. La mistica ama l’ordinario
quanto il mondo lo straordinario e l’esperienza irripetibile. La mistica
ama l’attesa mentre il mondo
è impaziente di giungere, di arrivare ad un risultato concreto. La
mistica ama l’umiltà quanto il mondo
il potere. La mistica serve,
mentre il mondo comanda.
La mistica desidera, mentre
il mondo pretende. La
mistica prega, mentre il mondo
esige. La mistica si nutre di speranza,
mentre il mondo la supera,
illudendosi.
27.
Esiste
un conflitto fra mistica e religione?
A
questo proposito, Marco Vannini (Storia
della mistica occidentale, p. 30) scrive: «Nella nostra storia […]
la mistica è stata accaparrata dalla Chiesa che ha preteso di gestire
il “soprannaturale” all’interno di una istituzione, dei libri
sacri, dei sacramenti, e così via. In questo modo ha bloccato la via
del distacco, cioè quella via della conoscenza che, come notava
Eckhart, è superiore all’amore proprio perché distacca, ossia vede
sempre la finitezza, riporta sempre all’umano e con ciò elimina le
pretese di appropriazione e genera spirito. Perciò nel nostro mondo
la mistica ha sempre un aspetto clericale, chiuso, riduttivo, che la
rende giustamente sospetta alle menti oneste».
28.
Come
è giudicata la mistica da parte della Chiesa cattolica?
Per molti
- non per tutti - potrebbe valere quanto scritto dal domenicano Giovanni
Cavalcoli: «La pretesa di “andare oltre Dio”, di superare il
Dio della rivelazione biblica, per raggiungere una migliore conoscenza, al
di là di quella che ci è assicurata dalla stessa Parola di Dio e dalla
dottrina cristiana, è chiaramente gnostica e assurda, in quanto è la
pretesa di poter avere dell'Assoluto una conoscenza più alta di quella
che ci è assicurata da Cristo e dalla sua Chiesa. [...] Per il cristiano
non c'è nessuna "mistica" al di sopra del dogma e della Sacra
Scrittura, perché la mistica non è altro che una interpretazione e una
esplicitazione personale del dato rivelato» (Il silenzio della parola.
Le mistiche a confronto, in Sacra Doctrina, n.3-4 (2002)
271-272). La mistica, a parte alcune eccezioni, è dunque considerata una
pretesa o un’interpretazione personale (per ciò stesso inammissibile). In realtà la mistica non è
“andare oltre Dio”, ma oltre se stessi, superando il proprio ego per
raggiungere intenzionalmente Dio stesso mediante un’unione che non ammette intermediari.
Per
un approfondimento:
29.
Come
viene pensata la mistica dalla maggior parte delle persone?
Scrive sempre M. Vannini (op. cit.): «Essa viene intesa
prevalentemente in senso psicologico, emozionale, come esperienza di
“stati” eccezionali – e da questo viene il discredito che la
colpisce. La mistica è divenuta così un fatto prevalentemente femminile,
visionario, estatico, e con ciò è scaduta a una dimensione del
patologico (alla lettera, come dimensione del páthos,
della sofferenza). È infatti chiaro che si cercano “stati”
eccezionali per l’inadeguatezza del presente, per la miseria della vita
attuale, mentre l’esperienza dello spirito è proprio esperienza di
pienezza, ricchezza, gioia nel presente. Gli “stati” appartengono allo
psicologico, al particolare, alla regione infera e oscura dell’anima,
ove regna comunque l’alterità di Dio. Ma là dove Dio è altro, la
mistica diventa una tecnica, e il suo fine è l’utilizzazione di
“doni”».
30.
Il
mondo è pieno di problemi: guerre, fame, distruzioni e povertà di ogni
genere. Che senso può avere parlare di mistica in questa realtà?
Parlare di mistica significa parlare dello spirito. Ma ciò
non riguarda questioni lontane, nel tempo e nello spazio, dalla nostra
vita reale. Anzi, attiene al nucleo stesso della nostra esistenza terrena.
L’esperienza dello spirito non annulla infatti la nostra realtà
concreta, ma la nobilita, ossia la riempie di significato, proprio perché
la vita nello spirito non è alternativa alla vita materiale. Per quanto
riguarda il “fare del bene”, ossia avere attenzione nei confronti dei
bisogni materiali, vale, secondo il mio parere, quanto affermato da Meister Eckhart: «Anche se
fossi rapito in spirito come san Paolo e sapessi che un malato aspetta da
me un po’ di minestra, riterrei preferibile, per amore, uscire da tale
rapimento e soccorrere l’indigente in un amore più grande» (Istruzioni
spirituali, n.10). L’esperienza spirituale permette non solo di
comprendere e soddisfare, per quanto possibile, i bisogni materiali, ma di
dare un significato più profondo ad ogni realtà concreta, permette di
vedere con gli stessi occhi di Dio l’umanità bisognosa d’amore.
I
bisogni non sono poi soltanto quelli più strettamente materiali, come
si potrebbe in un primo momento pensare. A tal proposito, Henri de Lubac
scrive:
«L’uomo non vive di solo pane. Lo spirito non
attende, non può attendere. La fame dell’anima è brutale quanto la
fame del corpo. Anch’essa è mortale. Ma, se si fa poca attenzione a
quelli che muoiono per la fame corporale, quelli che muoiono per la fame
dell’anima non attirano attenzione alcuna…».
31.
In
che modo la mistica affronta il problema della sofferenza umana?
Il
tema della sofferenza (del dolore e del male del mondo) è il tema per eccellenza della vita ed ovviamente
nel corso dei secoli sono state date molte risposte a questa domanda, ma quasi
sempre parlare della sofferenza e del male significa farlo attraverso
domande più che con affermazioni, anche nell'ambito della mistica.
Il
Catechismo della Chiesa Cattolica (309-314) parla proprio della
Provvidenza e dello scandalo del male. Afferma:
«Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende
cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? Ma
perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi
essere alcun male? A
questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso
quanto misterioso, nessuna rapida risposta potrà bastare. È l’insieme
della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione. Non
c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto,
una risposta al problema del male». Quali sono le
risposte che possono essere trovate? «Dio
onnipotente, essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un
qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente
potente e buono da trarre dal male stesso il bene», scrive
Agostino.
Spesso
la sofferenza è legata al sentimento della mancanza di Dio: Dio è come
se si nascondesse, non ci
fosse nei momenti di dolore della vita. A questo proposito risponde M.
Eckhart: «La buona volontà non
può essere privata di Dio, anche se è vero che, talvolta, ne è privato
il sentimento, il quale si immagina che Dio ne sia andato. Dunque cosa
devi fare? Proprio ciò che faresti se tu fossi nella più grande
consolazione. Non vi è miglior consiglio per trovare Dio, che trovarlo
là dove si è disposti a perderlo. La buona volontà non perde mai Dio e
mai ne sente la mancanza» (Istruzioni spirituali,
n. 11). Scrive
Simone Weil: «Quando si ama Dio attraverso
il male in quanto tale, l'oggetto dell'amore è veramente Dio» (L'ombra e la grazia).
32.
Che
concetto ha la mistica del peccato?
Secondo
una definizione teologica (cfr. H. Vorgrimler, Nuovo Dizionario
Teologico) il peccato «designa la decisione libera e consapevole,
quindi pienamente responsabile ed esistenzialmente radicale, contro la
volontà di Dio chiaramente riconosciuta». Tutta la mistica è orientata
ad una unione sempre più immediata con Dio e quindi con la sua volontà,
un'adeguazione della propria volontà a quella di Dio. Pertanto, la vita
mistica rifiuta il peccato come tentativo dell'uomo di costituirsi
indipendentemente da Dio. Il fine della vita mistica è la perfezione che
non ammette il peccato, inteso come decisione libera e responsabile di
rifiutare Dio. Il mistico sa che adeguarsi alla volontà divina non
significa rinnegare la propria natura, ma vivere in pienezza la vita che
gli è stata donata. Scrive Jean-Pierre de Caussade ne L'abbandono alla
Provvidenza divina: «L'ordine di Dio, il beneplacito di Dio, la
volontà di Dio, l'azione di Dio, la grazia, tutto questo è una sola e
stessa cosa. Il fine di questa cosa divina in questa vita è la
perfezione. L'ordine di Dio è la pienezza di tutti i nostri momenti; esso
fluisce sotto mille apparenze diverse che diventando, momento per momento,
il nostro dovere presente, formano, fanno crescere e perfezionano in noi
l'uomo nuovo fino alla pienezza che la divina Sapienza ha ordinato che
sarebbe stata in noi».
Scrive
Meister Eckhart: «La ragione per cui la natura e il fondo dell'uomo, dai
quali traggono la loro bontà le opere dell'uomo, sono del tutto buoni, è
che lo spirito dell'uomo è completamente rivolto a Dio. Impegna ogni tuo
sforzo perché Dio divenga grande per te, sì che tutta la tua attenzione
e il tuo impegno siano per lui in ogni tuo agire. In verità, più fai
così, migliori sono le tue opere, quali che siano. Se tu ti stringi a
Dio, lui ti coprirà di ogni suo bene. Cerca Dio, e troverai Dio e ogni
bene» (cfr. Istruzioni spirituali, n. 5).
33.
Si
può parlare di mistica in altre religioni e culture diverse rispetto alla
cristianità?
In
realtà il discorso è alquanto complesso e non si può rispondere con un
sì o un no. È vero che il termine mistica deriva dal mondo greco in
relazione ai "misteri" celebrati a partire dal VII sec. a.C. ma
il legame appare piuttosto debole. M. Vannini (op. cit.) traccia un
percorso della mistica occidentale, citando alcuni filosofi (a partire da
Eraclito, Platone e altri) e accennando, nell'introduzione, ai vari
rapporti che la mistica ha nei confronti di alcune religioni. Egli afferma
che in ambito ebraico, in cui la mistica prende il nome di qabbālāh,
essa è ridotta ad un'interpretazione esoterica della Scrittura condotta
coi più vari criteri, anche fantasiosi e che dà adito ad una sapienza
segreta. In ambito islamico, i mistici sufi non hanno avuto grande
fortuna, essendo stati malvisti ed accusati
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