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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Meister Eckhart
Cella
di S.Romualdo, Eremo di Camaldoli (AR), foto personale
«Chi
vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve
prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché
nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso.»
LA
CONDANNA PER "ERESIA" DI ECKHART:
ANTOLOGIA
TEMATICA:
Opere di Meister Eckhart:
Commento all'Esodo, Città Nuova, Roma 2004
I Sermoni, Paoline Editoriale Libri, Milano 2002
Dell'uomo nobile. Trattati, Adelphi, Milano 1999
Commento alla Sapienza, Nardini Editore, Firenze 1994
Commento al Vangelo di Giovanni, Città Nuova, Roma 1992
Commento all'Ecclesiastico, Nardini Editore, Firenze 1990
Commento alla Genesi, Marietti, Genova 1989
I Sermoni Latini, Città Nuova, Roma 1989
(ora Le Lettere, Firenze, 2019)
Sermoni tedeschi, Adelphi, Milano 1985
Trattati e Prediche, Rusconi, Milano 1982
Saggi su Meister Eckhart:
Vladimir Lossky,
Teologia negativa e conoscenza di Dio in Meister Eckhart, La
Vita Felice, 2016
Alain
de Libera, Meister Eckhart e la mistica renana, Jaca
Book, Milano 1998
Giorgio
Penzo, Invito al pensiero di Eckhart, Mursia, 1997
Marco
Vannini, Meister Eckhart e "il fondo
dell'anima", Città Nuova, Roma 1991
Jeanne
Ancelet Hustache, Maestro Eckhart e la mistica renana,
Paoline Editoriale Libri, 1992
Kurt
Ruh, Meister Eckhart.
Teologo, Predicatore, Mistico, Morcelliana, Brescia 1989 (nuova
edizione: Morcelliana, Brescia, 2024)
Nota
Biografica
Kurt Ruh (op.cit.) inizia il libro
sulla vita di Eckhart citando il domenicano Taulero che, nel sermone
Clarifica me, pater charitate, si riferiva quasi sicuramente a lui:
«Su ciò vi ha istruito un amabile maestro e voi non avete compreso. Egli
parlava dal punto di vista dell'eterno, e voi avete inteso secondo il
tempo». Kurt Ruh prosegue: «È
una formulazione semplice per indicare un modo di predicazione che non si
eleva verso il divino a partire dal basso, dal creaturale, ma che è certa
della verità e della promessa dall'alto, dal fondo di Dio. Gli uditori
però non comprendono tale discorso dato che sono affetti dal tempo e da
ciò che al tempo è soggetto».
Non
si sa molto della vita di Eckhart e la sua data di nascita, come
quella di morte, è frutto di alcune deduzioni. Si pensa che nasca
intorno al 1260 a Tambach, a sud di di Gotha, nella
regione di Turingia. Alcuni pensano, forse a torto, che il suo primo
nome non sia Eckhart, ma Johannes. Il primo dato certo della sua
esistenza è il 18 aprile 1294, giorno di Pasqua, in cui risulta essere a Parigi
come lector sententiarum, ossia baccelliere, incaricato di
commentare i quattro Libri delle Sentenze di Pietro Lombardo.
In quel giorno egli doveva tenere il sermone festivo. Il lector
sententiarum costituiva un elevato incarico nella carriera
universitaria giacché presupponeva il baccalaureato nella facoltà di
Teologia, preceduto dallo studio delle Arti, ossia Grammatica, Dialettica
e Retorica, insegnamenti impartiti dalla Facoltà delle Arti. Il suo
compito era quello di spiegare il manuale accademico di teologia, i Libri
quatuor Sententiarum (1150-1152) di Pietro Lombardo. Ne risultavano i
Commenti alle Sentenze, che costituivano la prima opera importante di un
professore di teologia. Si discute riguardo all'autenticità di un
manoscritto anonimo della biblioteca civica di Bruges come del testo del
commento alle sentenze di Eckhart. Si ha però certezza riguardo alla
"prolusione" di Eckhart che tematizzava l'oggetto del corso.
Eckhart presenta i quattro libri delle Sentenze con una esposizione tratta
dal Siracide (38, 4): Altissimus creavit de terra
medicinam [Il Signore ha creato medicamenti dalla terra]; Altissimus
indica il primo libro, ossia la teologia; creavit il secondo sulla
creazione e sulle creature; de terra il terzo sull'incarnazione di
Cristo; medicinam il quarto, con la dottrina dei sacramenti.
Entra
giovanissimo nel convento dei Domenicani di Erfurt, sempre in Turingia.
Il convento era uno dei più illustri ed antichi dell'Ordine nel nord
della Germania, fondato nel 1229 e raggiungerà il suo massimo
fulgore proprio con Eckhart.
Nel
1285 è inviato a Colonia per gli studi superiori.
Qui esisteva lo Studio Generale dei Domenicani in cui venivano inviati
i giovani domenicani tedeschi più dotati intellettualmente. Qui
dunque si sarebbe perfezionato in teologia. Nel
1293-94 a Parigi, come abbiamo precisato sopra, legge le Sentenze di Pietro
Lombardo, il manuale accademico della teologia di allora. Tra
il 1294 e il 1298 è priore a Erfurt
e vicario dei Domenicani per la Turingia. Dato che nel 1298, al
capitolo generale, fu decretata l'incompatibilità di questi due uffici,
anche per un motivo pratico (il primo doveva rimanere nella casa, il
secondo viaggiare) sicuramente Eckhart avrà rimesso uno dei due
incarichi, con buona probabilità quello del priorato.
Nel
1302 è rimandato a Parigi dove ottiene il titolo di Magister
(Meister) actu regens, ossia di "professore ordinario" in sacra teologia. Tale titolo
diviene quasi una sorta di nome proprio. Qui tenne la cattedra che era
di Tommaso d'Aquino trent'anni prima. Egli aveva il compito di
spiegare la Bibbia e di partecipare alle dispute teologiche.
Quando
Eckhart ritorna in patria nel
1303, il capitolo generale di Besançon aveva deciso
di dividere le province ormai troppo ampie. La Teutonia viene
scorporata dalla Sassonia ed Eckhart fu il primo provinciale di questa
con 47 conventi (senza contare quelli femminili) e un territorio
composto da undici province. In circa otto anni, Eckhart è costretto a continui viaggi
al fine di visitare tutte le case dell'Ordine e di fondarne di nuove.
Nel Capitolo Generale tenuto a Strasburgo nel 1307,
viene nominato vicario generale per la Boemia.
Nel
1310 il capitolo provinciale di Spira lo elegge
provinciale della Teutonia, cioè della Germania meridionale.
Nell'anno successivo, un altro capitolo tenuto a Napoli, gli toglie
l'incarico e lo rimanda a Parigi ad insegnare. Nel
biennio 1311-1313 insegna a Parigi per la seconda volta, cosa
eccezionale per un domenicano. Soltanto per Tommaso d'Aquino si era
verificata la stessa situazione. Ciò permette di comprendere quale
prestigio intellettuale avesse all'interno dell'Ordine. Nel
1314 viene incaricato dell'assistenza spirituale ai
conventi domenicani femminili della Germania del Sud.
Nel
1323 è a Colonia come docente. Nel
1326 l'arcivescovo di Colonia Heinrich von Virneburg
apre un processo di inquisizione contro Eckhart. Heinrich si era
segnalato come persecutore dei Begardi e dei Fratelli del libero
spirito. La denuncia viene fatta da alcuni domenicani, in particolare
da tale Ermanno de Summo e Guglielmo di Nidecken, testimoni e
accusatori. Tutto ciò sembrerebbe spiegabile con la tradizionale
rivalità esistente all'epoca fra domenicani e francescani. Nel
1328, prima della sentenza definitiva, muore
probabilmente ad Avignone.
Il 27 marzo 1329 il papa Giovanni XXII pubblica la
bolla In agro dominico, con cui condanna ventotto proposizioni
eretiche o sospette di eresia (vedi il testo della bolla di condanna,
nell'apposita sezione).
Ritratto di Meister Eckhart
Dottrina
mistica: cenni
La bellissima introduzione che
Marco Vannini scrive nel libro: Meister Eckhart,
Dell'uomo nobile. Trattati, Adelphi Edizioni, Milano 1999 ci
guida in parte nel delineare brevemente l'itinerario mistico
dell'insegnamento eckhartiano. Egli
afferma che tale è il punto di arrivo di un
"uomo nobile" che si è mosso per cercare la verità. Questa esigenza
lo conduce subito all'umiltà, ossia al riconoscimento della
sottomissione di tutto alla necessità in forza della quale non
esistono valori di cui ci si possa appropriare: il bene esce
dall'ambito delle cose create e tutto quello che costituisce l'io in
quanto determinato diventa inconsistente. Anzi, è l'ìio stesso a
scomparire in quanto centro di volontà, di forza e di appropriazione
(eigenshaft), quando ci si accorge della sua impermanenza: la
parola "io", in quanto esprime una realtà sostanziale, solo Dio può
pronunciarla. Ma l'uomo umile, fattosi nulla in se stesso, ossia
assolutamente distaccatosi da se stesso, non trova più separazione
fra se stesso e tutte le cose, tra Dio e tutte le cose, e così,
nella misura in cui non è separato dalle cose, è Dio e tutte le
cose.
Cancellando l'io psicologico, ciò
che la mistica chiama morte dell'anima, si cancella infatti
l'alterità dell'essere, si entra nell'Uno e nella pace. L'umiltà
così intesa è anche distacco (abegescheidenheit) grazie al
quale si rescinde il legame con il particolare, che ci si libera
della volontà, cioè del condizionamento per eccellenza, di ciò che
ci fa davvero servi, e solo così si accede all'universale, al tutto
(op.cit., pp. 13-14).
Al venir meno della volontà
propria, alla scomparsa di ogni legame, corrisponde l'emergenza
della realtà, che è proprio nel distacco stesso, poiché il distacco
non è un atto dello spirito, ma lo spirito medesimo. Tutto ciò non
ha un senso panteistico, poiché Eckhart intende l'essere con lo
spirito vivente e non con il mondo fatto di enti (io, gli altri,
Dio, le cose). Lo spirito e la vita nello spirito è la realtà vera
in cui non esistono alterità, strumentalità, banalità; ma lo spirito
che è la vita stessa, e in cui noi siamo, non un ente fra gli altri
enti, ma un soffio tra il soffiare, e-vento tra gli e-venti,
sommamente reale (Marco Vannini, Introduzione a "I
Sermoni", Paoline, Milano 2002, p. 35-36).
L'insegnamento essenziale di
Eckhart — continua Vannini — non è, dunque, altro che la scoperta
della realtà dello spirito. Senza comprendere questo i suoi scritti
possono apparire assurdi e addirittura blasfemi, essendo così
lontani da un cristianesimo comune; eppure si tratta del più puro
insegnamento evangelico: Dio è spirito e chi si unisce al Signore è
con lui un solo spirito (1 Cor 6,17). La parola "spirito" indica ciò
che è in quanto si muove, ovvero ciò che si muove e il muoversi
stesso, sintesi di amore che su tutto si stende e di intelligenza
che tutto comprende. Non dunque il piccolo io opposto agli altri,
che sono sempre per lui oggetti, e opposto, eventualmente anche a un
supremo Altro, che è Dio, ma non un non-io identificato con il
tutto, per il quale il bene degli altri è caro assolutamente come il
suo, in niente di meno, e il cui cuore non si turba neppure se
vedesse uccidere suo padre davanti a sé (come scrive in un Sermone).
Lo spirito è quel "fondo dell'anima" di cui Eckhart parla spesso in
diversi modi, avendo però cura di distinguerlo sempre da tutte le
altre potenze dell'anima, e che identifica col "fondo" stesso di
Dio.
Condanna per
eresia: introduzione
In
questa sezione, non intendo commentare, ma proporre soltanto le tesi
"eretiche" di Meister Eckhart, lasciando ad ognuno il compito di
approfondire i suoi scritti e cogliere più nel profondo il senso delle
sue affermazioni.
Tutto
ciò serve unicamente a dimostrare quanto la tensione mistica
sia foriera di particolari problemi di interpretazione, trattandosi di
un'esperienza atipica, ricca di sottigliezze ed ambiguità non sempre
decifrabili da un punto di vista profano. Ciò la rende
"politicamente non corretta" in quanto, nel tentativo di rapportarsi alla divinità
in maniera sempre più im-mediata, si perdono di vista regole e
contenuti ortodossi, istituzioni ed autorità, riconoscendo in Dio, che è
Verità, l'unico oggetto di desiderio e di attenzione dell'esistenza.
Fra
le proposizioni che seguono, alcune potrebbero sembrare sovversive, ma
altre, colte nella giusta luce di conoscenza, sono sicuramente cariche di
un significato di bellezza infinita, di bene assoluto, che è quello che
Eckhart ha cercato per tutta la vita, predicando a tutti - incolti e
sapienti - con un grande amore per la Verità.
Testo della Bolla
di condanna
Questo
è il testo della bolla In agro dominico (cfr. Meister Eckhart,
I sermoni latini, Città Nuova, Roma 1989, a cura di Marco
Vannini):
Giovanni,
vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria dell'avvenimento.
I - Essendo stato interrogato una volta
sul perché Dio non abbia creato prima il mondo, rispose che Dio non
poté creare il mondo prima, perché una cosa non può agire prima di
essere; perciò, appena Dio fu, subito creò il mondo.
II - Similmente si può concedere che il
mondo sia esistito dall'eterno.
III - Similmente, nel medesimo tempo e nel
medesimo istante in cui Dio fu e generò il Figlio, Dio a lui coeterno
e in tutto uguale, creò anche il mondo.
IV - Similmente in ogni opera, anche
cattiva - e dico cattiva sia in ordine alla pena che alla colpa -, si
manifesta e riluce ugualmente la gloria di Dio.
V - Similmente, chi ingiuria qualcuno loda
Dio con quello stesso peccato di ingiuria e, quanto più ingiuria e
più gravemente pecca, tanto più loda Dio.
VI - Similmente, chi bestemmia Dio stesso,
loda Dio.
VII - Similmente, chi chiede questa o quella
cosa, chiede il male e chiede male, in quanto chiede la negazione del
bene e la negazione di Dio, e prega che Dio gli si neghi.
VIII - Chi non ha di mira beni, né onori,
né utilità, né devozione interna, né santità, né premio, né
regno dei cieli, ma ha rinunciato a tutto ciò, e anche a quel che è
suo proprio, in tali uomini Dio viene onorato.
IX - Di recente mi sono chiesto se volevo
ricevere o desiderare qualcosa da Dio: voglio riflettere molto su
questo punto, perché se ricevessi qualcosa da Dio, sarei sotto di lui
o suo inferiore, come un servo o uno schiavo, ed egli come un padrone,
nel dare - e così non dobbiamo essere nella vita eterna.
X - Noi siamo trasformati totalmente in
Dio e mutati in lui; come nel sacramento il pane viene mutato nel
corpo di Cristo, così sono cambiato in lui, giacché egli mi rende
uno col suo essere, non simile; per il Dio vivente è vero che non
c'è più alcuna distinzione qui.
XI - Tutto quello che Dio Padre ha dato al
Figlio suo unigenito nella natura umana, lo ha dato anche a me, senza
alcuna eccezione, né dell'unione né della santità: lo ha dato tutto
a me come a lui.
XII - Tutto quello che la Sacra Scrittura
dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e
divino.
XIII - Tutto quello che è proprio della
natura divina, è proprio anche dell'uomo giusto e divino: perciò
quest'uomo opera tutto quello che Dio opera, e ha creato insieme a Dio
il cielo e la terra, e genera il Verbo eterno, e Dio non saprebbe cosa
fare senza un tale uomo.
XIV - L'uomo buono deve conformare la
propria volontà a quella di Dio in modo tale da volere tutto quel che
Dio vuole. Dal momento che Dio in qualche modo vuole che abbia
peccato, io non devo voler non aver commesso peccati, e questa è la
vera penitenza.
XV - Se un uomo avesse commesso mille
peccati mortali e fosse in buona disposizione, non dovrebbe voler non
averli commessi.
XVI - Dio non comanda propriamente alcuna
azione esteriore.
XVII - L'azione esteriore non è propriamente
buona né divina, né Dio la opera propriamente, né la genera.
XVIII - Dobbiamo portare il frutto non delle
azioni esteriori, che non ci rendono buoni, ma di quelle interiori,
che il Padre, che abita in noi, fa ed opera.
XIX - Dio ama le anime, non l'opera
esteriore.
XX - L'uomo buono è l'unigenito Figlio di
Dio.
XXI - L'uomo nobile è quel Figlio di Dio
unigenito che il Padre ha generato dall'eternità.
XXII - Il Padre genera me come suo Figlio e
come suo stesso Figlio. Tutto quel che Dio opera, è uno; perciò
genera me come suo Figlio senza alcuna distinzione.
XXIII - Dio è uno secondo tutti i modi e
sotto ogni aspetto, per cui non è possibile trovare in lui alcuna
molteplicità, né ideale né reale; infatti chi vede la dualità o la
distinzione, non vede Dio, perché Dio è uno al di fuori e al di
sopra del numero, e non si somma con niente altro nell'uno. Ne
consegue che in Dio stesso non può esserci né essere pensata alcuna
distinzione.
XXIV - Ogni distinzione è estranea a Dio,
sia alla natura che alle persone; giacché la natura stessa è una e
questo stesso uno, ed ogni persona è una e lo stesso uno che è la
natura.
XXV - Quando si dice: "Simone, mi
ami più di costoro?" (Giovanni 21,15), il senso di questo
"più di costoro" indica il bene, ma non la perfezione.
Infatti dove c'è un primo e un secondo c'è un più e un meno, una
gradazione e un ordine, ma nell'uno non c'è né grado né ordine.
Perciò chi ama Dio più del prossimo agisce bene, ma non
perfettamente.
XXVI
- Tutte le creature sono un
puro nulla; non dico che siano poca cosa o qualcosa, ma che sono un
puro nulla.
Si
è poi rimproverato al suddetto Eckhart di aver predicato due altre
proposizioni con le seguenti parole:
XXVIII - Dio non è né buono, né migliore,
né ottimo; perciò dico male, quando dico che Dio è buono, come se
chiamassi nero il bianco.
Noi
abbiamo fatto esaminare le proposizioni sopra addotte da numerosi
dottori in Sacra Teologia e le abbiamo esaminate con cura noi stessi,
insieme con i nostri fratelli. In conclusione, sulla base del giudizio
di quei dottori, come del Nostro stesso esame, abbiamo constatato che
i primi quindici dei suddetti articoli, ed anche gli ultimi due, sia
per i termini adoperati, sia per la connessione dei loro contenuti,
contengono errori e la macchia dell'eresia. Invece, gli altri undici,
il primo dei quali comincia: "Dio non comanda, ecc.", li
abbiamo trovati pericolosi nella espressione, molto temerari e
sospetti di eresia, benché, mediante molti chiarimenti e spiegazioni,
possano ricevere o avere un senso cattolico.
Nota all'antologia
tematica
Non
è facile raggruppare per argomenti, a muovere dalle opere di Eckhart e in
particolare dai Sermoni, le tematiche affrontate dal nostro Autore. Lo
precisa Marco Vannini nella nota all'Indice analitico di Meister
Eckhart, I sermoni, op.cit., p. 681:
«Il
genere letterario "sermoni" e le caratteristiche della
predicazione di Eckhart, che ripete con sublime monotonia il suo
insegnamento, ma anche continuamente ne intreccia gli elementi
essenziali, rendono praticamente impossibile un indice analitico
distinto ed esauriente».
Da
ciò si ricava una breve e per nulla esauriente antologia dei temi più
importanti affrontati da Eckhart. Spero che risulti, come d'altronde è
nell'intenzione di tutte queste pagine, un invito alla lettura più
approfondita delle sue opere. Nella
pagina
dei riferimenti bibliografici si trovano indicazioni delle sue opere,
facilmente rintracciabili.
Per
Eckhart si è preferito lasciare spazio alle sue parole, con questa
piccola antologia tematica, piuttosto che affrontare in linea teorica i
temi della sua dottrina. Vale infatti quanto scrive Cyprian Smith nel
suo "La via del paradosso. La vita spirituale secondo Maestro
Eckhart", Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p.29):
«Se
si legge Eckhart per qualche tempo, subito ci si accorge dell'immensa
energia e calore cha da lui promanano e immediatamente afferrano,
trascinano e affascinano. In Eckhart non v'è nulla di freddo e morto, e
tuttavia quel suo calore, con la straordinaria energia spirituale che
l'anima, non suona affatto flaccido o sentimentale. È, invece, fresco,
radioso e aperto, dotato della chiara purezza di un ruscello montano. La
visione spirituale che intende comunicarci suggerisce l'aria aperta e il
libero soffio del vento».
I
temi trattati si riepilogano nei seguenti:
1.
Conoscenza
2.
Distacco
4.
Libertà
5.
Opere
6.
Turbamento
7.
Volontà
8.
Unità
1. Dio opera maggiormente in un cuore umile,
perché è là che trova la maggiore possibilità di operare, trovandovi
la maggiore somiglianza con se stesso. In tal modo ci insegna come
dobbiamo penetrare nel nostro fondo di vera umiltà e di vero
spogliamento, perché deponiamo tutto quello che non abbiamo per natura,
che è peccato e mancanza, e anche ciò che abbiamo per natura, ovvero
tutto ciò che appartiene all'io proprio. Infatti, chi vuole penetrare nel
fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel
fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, poiché nessuno conosce Dio
se prima non conosce se stesso. L'uomo, che è al di sopra delle altre
creature, conosce in una luce vera, in cui non è né tempo né spazio,
senza "qui" né "ora". L'anima, che è una luce,
racchiude in sé molto di Dio. (Sermone "Haec est vita aeterna, ut
cognoscat te solum")
2. L'intelletto è servo in senso più proprio
della volontà o dell'amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in
quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione.
Invece l'intelletto si spinge in alto, verso l'essere, senza far caso alla
bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale.
Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si
immerge nell'essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse
sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In
ciò l'intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che
comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e
Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini
sono il fuoco. L'intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in
sé. Insieme a questi angeli, l'intelletto prende Dio nel suo guardaroba,
nudo, in quanto è Uno, senza distinzione. (Sermone 37, Mio marito, tuo
servo, è morto)
1. Chi è come deve essere si trova bene in
ogni luogo e con chiunque, ma chi non è come deve essere non si trova
bene in nessun luogo e con nessuno. Colui che è come deve essere ha Dio
vicino a sé in verità, e chi possiede Dio in verità, lo possiede
ovunque: per la strada e accanto a qualsiasi persona, così come in
chiesa, in solitudine o nella cella. Se un uomo siffatto lo possiede
veramente, e possiede lui soltanto, nessuno gli può essere di ostacolo.
Questo perché egli ha Dio solo e a Dio solo va la sua intenzione, e tutte
le cose divengono per lui Dio solo. Un tale uomo porta Dio in tutte le sue
opere e in ogni luogo, ed è Dio soltanto a compiere tutte le opere di un
tale uomo. L'uomo deve cogliere Dio in ogni cosa, e abituare il proprio
spirito ad aver Dio sempre presente in sé, nella propria intenzione e nel
proprio amore. Considera dunque in che modo sei rivolto a Dio quando sei
in chiesa o nella tua cella, e mantieni un'identica disposizione dello
spirito anche in mezzo alla folla, nel tumulto, fra le cose disuguali. Chi
possiede Dio nella sua essenza, coglie Dio nella sua divinità; per quest'uomo
Dio risplende in tutte le cose: per lui infatti tutte le cose sanno di Dio
e in esse egli vede la sua immagine. (Istruzioni spirituali, n.6)
2. Dice nostro Signore: "A chi rinuncia a
qualcosa per amor mio e per amore del mio nome, io renderò il centuplo me
la vita eterna" (Mt 19,29). Ma se tu ti distacchi da qualcosa per il
centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla, e, neppure
per una ricompensa mille volte più grande, ti sei distaccato da nulla. Tu
devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei veramente
distaccato. L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il
mondo non può sopportarlo. Chi ama la giustizia, di lui la giustizia si
prende cura, ed egli viene preso dalla giustizia, ed è una sola cosa con
la giustizia. L'uomo giusto non serve né Dio né le creature, perché è
libero; e quanto più è vicino alla giustizia, tanto più è vicino alla
libertà, e tanto più è la stessa libertà. Tutto quel che è creato non
è libero. Finché è sopra di me qualcosa che non è Dio stesso, ciò mi
opprime, per quanto piccolo o comunque sia; fosse anche lo stesso
intelletto e l'amore; in quanto è creato e non Dio stesso, mi opprime,
perché non è libero. L'uomo ingiusto serve la verità, gli sia gioia o
dolore, e serve l'intero mondo e tutte le creature, ed è un servo del
peccato. (Sermone "Ego elegi vos de mundo)
3. L'uomo che è così saldo nell'amore di Dio
deve essere morto a se stesso e a tutte le cose create, in modo tale da
non fare attenzione a se stesso più che a chi è lontano oltre mille
miglia. Quest'uomo permane nell'uguaglianza, permane nell'unità sempre
completamente uguale: non entra in lui alcuna disuguaglianza. Quest'uomo
deve avere rinunciato a se stesso e a tutto il mondo. Se ci fosse un uomo
a cui il mondo intero appartenesse, e se egli lo abbandonasse, per Dio,
ritrovandosi nudo così come lo ha avuto, Nostro Signore gli restituirebbe
questo mondo tutto intero, e in più la vita eterna. Un altro uomo, che
non avesse assolutamente nulla di corporeo o di spirituale cui rinunciare,
né da donare, rinuncerebbe di più dell'altro. Tutto sarebbe donato a chi
rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante. Ma se un
uomo fosse stato nel distacco per vent'anni, e riprendesse se stesso anche
per un solo attimo, non sarebbe ancora distaccato. L'uomo che ha
abbandonato, che si è distaccato, che non guarda più assolutamente a
ciò che ha abbandonato e permane costante, immutabile e impassibile in se
stesso, soltanto quest'uomo è distaccato. (Sermone "Qui audit me
non confundetur")
4. È un uomo povero quello che niente vuole,
niente sa, niente ha. a) Niente vuole: fintanto che l'uomo ha ancora in
sé la volontà di compiere la dolcissima volontà divina, non ha ancora
la povertà di cui parliamo. Infatti, egli ha ancora in sé una volontà,
con cui vuole soddisfare la volontà di Dio, e questa non è la vera
povertà. Perché l'uomo sia davvero povero deve essere privo della
propria volontà come lo era quando non esisteva. Ve lo dico nell'eterna
verità: finché avete la volontà di compiere la volontà di Dio e avete
desiderio dell'eternità e di Dio, non siete ancora poveri; infatti vero
uomo povero è solo colui che niente vuole e niente desidera. b) Niente
sa: l'uomo dovrebbe vivere in modo da non vivere né per se stesso, né
per la verità, né per Dio. Ma aggiungiamo: l'uomo che deve avere questa
povertà, deve vivere così da non sapere neppure che egli vive né per se
stesso, né per la verità, né per Dio. Egli deve essere così vuoto di
ogni sapere, da non sapere né conoscere né sentire che Dio vive in lui.
Inoltre, deve essere privo di ogni conoscere che vive in lui. c) Niente
ha: l'uomo deve essere così povero da non avere, e non essere, alcun
luogo in cui Dio possa operare. Quando l'uomo mantiene un luogo, mantiene
anche una differenza. Perciò prego Dio che mi liberi da Dio, perché il
mio essere essenziale è al di sopra di Dio, in quanto noi concepiamo Dio
come inizio delle creature. In quell'essere di Dio in cui Egli è al di
sopra di ogni essere e di ogni differenza, là ero io stesso, volevo me
stesso e conoscevo me stesso per creare quest'uomo che io sono. Perciò io
sono causa originaria del mio essere, che è eterno, e non secondo il mio
divenire, che è temporale. (Sermone "Beati pauperus spiritu")
FEDE
e VITA CRISTIANA
1. Chi vuole iniziare una nuova vita o una
nuova opera, deve rivolgersi al suo Dio e chiedergli con grande forza e
con tutta la sua devozione di disporre per lui le cose nel modo che egli
giudica migliore e più degno, non volendo e non cercando costui il
proprio bene, ma soltanto la volontà di Dio. Qualsiasi cosa Dio gli
mandi, deve accettarla come derivante immediatamente da lui, considerarla
la cosa migliore, ed esserne totalmente soddisfatto. Se poi gli piace di
più un altro modo di agire, pensi allora che Dio gli ha assegnato quello,
e che pertanto deve essere per lui il migliore. Egli deve avere fiducia in
Dio, facendo rientrare in quel modo tutti i buoni modi di agire, e
accettando in quello e secondo quello tutte le cose, di qualunque natura
siano. (Istruzioni spirituali, n.22)
2. Non si deve cercare niente, né conoscenza
né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la
volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve
accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di
Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla
grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi
indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una
semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che
si fa è sempre sufficiente, se v'è in noi l'amore di Dio. L'anima è
fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo
trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni
modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi
giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a
lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se
stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che
si può consigliare e insegnare: che l'uomo si lasci condurre e non abbia
che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e
diverse parole. L'uomo non deve pensare di progredire in una vita buona
per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno
del suo progresso è invece l'avere maggiore amore per le cose eterne e
più avversione per quelle effimere. L'uomo deve rivolgere il proprio
volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda
e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non
compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere
avanti; allora giunge dove deve e va bene così. (Sermone "Gott
hat die Armen")
1. Lo spirito libero è quello non turbato da
nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo
bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente
sprofondato nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo.
E la più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa,
e l'opera fra tutte superiore, è quella che proviene da uno spirito
libero. (Istruzioni spirituali, n.2)
2. Sappi per vero che lo spirito libero, quando
permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo essere, e,
se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno, assumerebbe
l'essere proprio di Dio. (Del distacco)
1. L'uomo deve essere libero e signore delle
proprie opere, senza essere distrutto né costretto. (Istruzioni
spirituali, n. 22)
2. I maestri sono d'accordo nel dire che
finché l'uomo è nella grazia, tutte le opere che egli compie sono degne
del premio eterno. E questo è vero, perché nella grazia è Dio che opera
le opere. E dicono: se l'uomo cade in peccato mortale, sono morte anche
tutte le opere che egli compie mentre si trova in peccato mortale, come
egli stesso è morto, e non sono degne del premio eterno. E dicono poi: se
Dio restituisce la grazia all'uomo cui dispiacciono le proprie colpe,
allora tutte le opere che egli compì nella grazia risorgono e vivono come
prima, e le opere compiute in peccato mortale sono perdute per sempre, il
tempo e le opere insieme. E a questo contraddico io e dico: di tutte le
buone opere che l'uomo ha compiuto mentre si trovava in peccato mortale,
nessuna è perduta, e neppure il tempo in cui avvennero, dal momento che
l'uomo riconquista la grazia. Se avviene un'opera buona attraverso un
uomo, l'uomo si libera con questa opera e diviene più vicino al suo
principio di quanto lo fosse prima e pertanto è migliore e più beato. Ma
l'opera non è né buona né santa, né beata, ma è beato l'uomo in cui
permane il frutto dell'opera. In questo senso non è mai andato perduto
l'agire buono e neppure il tempo in cui avvenne, non perché esso permanga
in quanto opera e tempo, ma perché, sciolto dall'opera e dal tempo, è
eterno con la sua qualità nello spirito, come lo spirito è eterno in se
stesso. Quando l'uomo compie buone opere mentre si trova in peccato
mortale, non le compie a partire dal peccato mortale, ma piuttosto a
partire dal fondo del suo spirito, che è buono in se stesso per natura,
anche se egli non si trova nella grazia. Questo non nuoce allo spirito,
perché il frutto dell'opera, sciolto dall'opera e dal tempo, permane
nello spirito ed è spirito con lo spirito, e non viene annullato, così
come non viene annullato l'essere dello spirito. (Sermone "Mortus
erat et revivixit")
3.
Come mai spesso Dio permette che uomini buoni, veramente buoni, siano
sovente impediti nelle loro buone opere. Il fedele Dio permette che i
suoi amici cedano spesso alla propria debolezza, affinché venga loro a
mancare qualsiasi sostegno cui potersi volgere o appoggiare. Per una
persona che ama sarebbe infatti grande gioia riuscire a fare grandi cose:
veglie, digiuni, e altri esercizi, e compiere imprese particolari, grandi
e difficili; persone così trovano in ciò grande gioia, sostegno,
speranza, in maniera che le loro opere sono un appoggio, un sostegno, una
ragione di fiducia. Nostro Signore vuole privarle di ciò per essere il
loro unico sostegno, la loro unica ragione di fiducia. Dio fa questo per
pura bontà e misericordia: niente altro, infatti, che la sua pura bontà
lo determina ad operare. Le nostre opere non servono in alcun modo a che
Dio ci dia o compia qualcosa per noi. Nostro Signore vuole che i suoi
amici si distacchino da ciò, e per questo toglie loro ogni sostegno: per
essere il loro unico sostegno. Dio vuol dare loro molto, e lo vuole nella
sua libera bontà; lui solo deve essere loro appoggio e loro consolazione:
perciò essi devono stimarsi un puro nulla in mezzo ai grandi doni di Dio.
Infatti, più è spogliato e nudo lo spirito che si rivolge a Dio ed è
sorretto da lui stesso, più l'uomo è profondamente fissato in Dio, e
più è capace di ricevere i suoi preziosissimi doni. L'uomo, infatti,
deve costruire unicamente su Dio. (Istruzioni spirituali, n. 19)
4.
Tu dici: Dio opera cose tanto grandi in molte persone; il loro essere è
riplasmato dall'essere di Dio, e così a operare in esse è Dio, non loro.
Ringrazia Dio dei doni che fa loro e, se li fa a te, accettali, in nome di
Dio. Se poi non te li accorda, fanne volentieri a meno; abbi soltanto lui
nel tuo pensiero, e non curarti di sapere se a compiere le tue opere è
Dio o sei tu stesso. Bisogna infatti che sia Dio a compierle, se hai
soltanto lui nel tuo pensiero - che egli lo voglia o meno. (Istruzioni
spirituali, n. 23)
1. Io lodo il distacco ancor più di ogni
misericordia, giacché la misericordia in null'altro consiste se non nel
fatto che l'uomo esce da se stesso per andare verso le miserie del
prossimo, e così il cuore ne ricava turbamento. Di tutto ciò il distacco
resta scevro, permane in se stesso, e da nulla si lascia turbare. Infatti,
finché qualcosa è in grado di turbare l'uomo, egli non è tale quale
dovrebbe essere. (Del distacco)
2. In Dio non c'è tristezza né sofferenza né
tribolazione. Se vuoi essere liberato da ogni sofferenza e tribolazione,
volgiti a Dio e unisciti in purezza a lui soltanto. Di certo, ogni
sofferenza proviene dal fatto che tu non ti volgi unicamente in Dio e a
Dio. Nulla che sia ineguale o ingiusto, nessuna cosa del mondo creato può
far soffrire il giusto, perché, essendo tutto ciò che è creato così
tanto al di sotto di lui quanto lo è al di sotto di Dio, non può
influenzarlo né contaminarlo, né generarsi in lui, che ha Dio soltanto
come Padre. Perciò bisogna che l'uomo molto si adoperi nello spogliarsi
di se stesso e di tutte le cose create, e non riconosca altro padre che
Dio soltanto. Così, nulla potrà farlo soffrire, né Dio né creatura,
nulla di creato o di increato, giacché tutto il suo essere, vita,
conoscenza, sapere e amare, è da Dio, in Dio, è Dio stesso. (Il libro
della consolazione divina)
1. L'uomo non deve spaventarsi di nulla,
finché la sua volontà è buona, né deve affliggersi se non può
metterla in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano
dalle virtù, se ha in sé una vera buona volontà giacché la virtù e
ogni bene risiedono nella buona volontà. Se tu possiedi una volontà
giusta, nulla ti mancherà: né amore, né umiltà, né virtù alcuna.
Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo
può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia
integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire
"Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece:
"Voglio che ora sia così". In verità, con la volontà io posso
tutto. Posso sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i
poveri, compiere le opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa
immaginare. Se non è la volontà che ti manca, ma solo la possibilità di
agire, in verità tu hai compiuto, davanti a Dio, tutto questo. E nessuno
te lo può togliere o contestare un solo istante, giacché voler fare, se
se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono davanti a Dio la stessa
cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà quanta ne ha il mondo
intero, e se tale desiderio fosse grande e totale, davvero io avrei questa
volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà è piena e
retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e formata
sulla volontà di Dio. (Istruzioni spirituali, n. 10)
1. Ho letto una parola espressa da san Paolo
nell'epistola [Ef 4,6]: Un solo Dio e padre di tutti, che è benedetto
al di sopra di tutti, da tutti e in noi tutti. Quando dice: Un solo
Dio, egli intende con ciò che Dio è Uno in se stesso e separato da
tutto. Dio non appartiene ad alcuno, e nessuno gli appartiene; Dio è Uno.
Boezio dice: Dio è Uno e non muta [Consolazione 3,9]. Tutto quel
che Dio ha creato, lo ha creato soggetto al mutamento. Tutte le cose in
quanto create, portano su di sé il mutamento. Questo significa che noi
dobbiamo essere Uno in noi stessi, separati da tutto, sempre immutabili,
Uno con Dio. Al di fuori di Dio non vi è che il nulla. Perciò è
impossibile che in Dio abbia luogo qualche mutamento o cambiamento. Chi
cerca un luogo fuori di sé, si muta. Ma Dio possiede in sé tutte le cose
in pienezza; perciò non cerca niente fuori di sé, ma solo nella pienezza
che è Dio. L'Uno è qualcosa di più puro della bontà e della verità.
Bontà e verità non aggiungono niente, ma aggiungono nel pensiero: quando
qualcosa viene pensato, si aggiunge. Invece l'Uno non aggiunge niente,
là, dove egli è in se stesso, prima di effondersi nel Figlio e nello
Spirito santo. Un maestro dice: L'Uno è la negazione della negazione. Se
dico che Dio è buono, gli aggiungo qualcosa. Invece l'Uno è negazione
della privazione. Che significa l'Uno? L'Uno significa ciò cui niente è
aggiunto. L'anima coglie la Divinità come essa è pura in se stessa, dove
niente le è aggiunto, neppure col pensiero. L'Uno è negazione della
negazione. Tutte le creature portano in sé una negazione: ciascuna nega
di essere l'altra. Un angelo nega di essere l'altro. Ma Dio ha una
negazione della negazione; egli è l'Uno e nega ogni altra cosa, giacché
niente è al di fuori di Dio. Tutte le creature sono in Dio e sono la sua
propria divinità, e questo significa la pienezza. (Sermone "Un
solo Dio e padre di tutti")
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