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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Giovanni della Croce
Salvador
Dalì, Cristo
di san Giovanni della Croce, 1951
«Non è volontà
di Dio che l'anima si turbi di qualche cosa e che soffra tormenti: se
essa, nei casi avversi del mondo soffre, ciò accade per la debolezza
della sua virtù, poiché l'anima del perfetto si rallegra in ciò in cui
si affligge quella di un imperfetto.»
BREVE
ANTOLOGIA:
Giovanni della Croce, Opere, OCD, Roma
1991
Juan
de la Cruz, L'ascesa al monte dei melograni (a cura
di Dario Chioli), Libreria Editrice Psiche, Torino 2005
Wilfrid
Stinissen, La notte è la mia luce. La mistica nel
quotidiano sulla scia di Giovanni della Croce, Città Nuova, Roma
2004
Nicola
Gori, La scrittura mistica. Salita del Monte Carmelo di
San Giovanni della Croce, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2004
Nasce
nel 1542 a Fontiveros (Avila) da Gonzalo de Yepes e Caterina
Alvarez. Morto il padre in tenera età si ritrova a vivere un’infanzia
povera e laboriosa.
Tra
il 1551 e il 1564 viene formato nel collegio di Medina
del Campo, dove la famiglia si è nel frattempo trasferita. Svolge
diversi lavori: falegname, sarto, pittore, intagliatore, accolito,
commesso e aiuto infermiere. Infine completa gli studi umanistici dai
gesuiti di Medina. Nel 1563 riceve l’abito religioso dei
carmelitani facendosi chiamare Giovanni di san Mattia.
Studia
fino al 1567 all’Università di Salamanca ed ordinato
sacerdote nel luglio del 1567. Si incontra in quell’anno con Teresa
d’Avila che stava già iniziando la sua opera di riforma. Continua
gli studi e diviene nel 1569 maestro dei novizi continuando ad
incontrare Teresa nel cammino di riforma dei vari istituti.
Nel
1572 viene ad Avila richiesto da Teresa come confessore e
vicario del monastero delle carmelitane dell’Incarnazione, di cui
essa è priora. Nel 1577, per incomprensioni sorte fra l’antico
ordine carmelitano e la nuova famiglia teresiana, viene incarcerato
dai suoi fratelli e trasferito da Avila a Toledo. Qui compone alcuni
dei suoi poemi mistici. Nel 1578 fugge dal carcere conventuale si
rifugia nel monastero delle carmelitane scalze. Da lì effettua alcuni
viaggi che lo portano a Almodóvar, Baeza. Granada.
Nel
1583 viene nominato priore di Granada, fino al 1585, anno in
cui inaugura alcuni nuovi conventi. Nel 1591 esce dal capitolo
senza uffici. Viene accettata la sua richiesta di andare in Messico.
successivamente lo destinano alla Provincia di Andalusia. Nel mese di
settembre di quello stesso anno parte già ammalato per Ubeda (Jaén)
dove trascorre gli ultimi mesi di vita e muore a 49 anni nella notte
fra il 13 e 14 dicembre.
Il
27 dicembre 1726 viene proclamato santo da Benedetto XIII e il 24
agosto 1926 viene dichiarato Dottore della Chiesa da Pio XI.
Opere
principali e suo influsso
Fra
le opere di rilievo troviamo:
1.
Salita del Monte Carmelo:
si tratta di un’opera ascetica divisa in tre libri. Nel primo tratta
della "purificazione del senso"; nel secondo della purificazione
dell’intelletto; nel terzo delle altre due facoltà spirituali, memoria
e volontà.
2.
Notte oscura
(2 libri): tratta più propriamente della purificazione passiva (o
mistica) della parte sensitiva e dello spirito.
3.
Cantico spirituale:
si tratta di un commento alle quaranta strofe del testo poetico.
Attraverso il simbolo del matrimonio spirituale, è descritto il cammino
dell’uomo dalla conversione all’unione piena con Dio, passando
attraverso le purificazioni e la comunione sponsale con l’umanità di
Cristo, l’Amato appassionatamente ricercato, finalmente incontrato, lo
Sposo.
4.
Fiamma viva d’amore:
è un commento alle quattro strofe del testo poetico. Ha come tema la
trasformazione dell’uomo in Dio, suo centro, e la partecipazione alla
vita trinitari in una sorta di anticipazione della gloria.
Nel
corso della sua vita non ebbe incarichi prestigiosi, pur essendo stimato
come persona e come maestro all'interno del Carmelo. Nessuno dei suoi
scritti venne stampato mentre egli era ancora in vita. Occorre aspettare
il XVII secolo, quando i suoi scritti vennero letti con interesse
negli ambienti degli illuminati e dei quietisti. Lo studio della mistica
di Giovanni della Croce inizia soltanto con la proclamazione del suo
dottorato della Chiesa (1926). Questa proclamazione chiude anche il
periodo delle denunce seppure rimangano ancora riserve. Le accuse
riguardano il suo linguaggio simbolico e forse confuso, un individualismo
che eccedeva il limite di norma, accuse di neoplatonismo, etc. Il maggior
numero di lettori, forse proprio per queste sue caratteristiche che lo
pongono al di là di schemi abituali, lo ebbe nel periodo post-conciliare.
Rimane teologo non in quanto studioso, ma in quanto mistico e quindi
narratore di un’esperienza. E forse questo, più che le sue dottrine,
che esulano da una presenza più marcata della chiesa post-conciliare
nella società lo rendono capace di provocare ed educare anime moderne
alla ricerca della Verità. Ebbe influssi evidenti in grandi figure
mistiche recenti come Teresa di Liseux, Elisabetta della Trinità e Edith
Stein.
Il
suo retaggio maggiore è: aver saputo compenetrare l'elemento di
esperienza con la componente intellettuale della mistica; la varietà di
espressioni linguistiche come strumenti di comprensione dell'esperienza;
rispettare la libertà della grazia e la varietà delle esperienze singole
pur definendo tappe precise nello sviluppo all'unione mistica
(perfezione); descrivere un'esperienza concreta e nello stesso tempo
generalizzarla; comprendere e vivere l'esperienza mistica a mezzo della
fede, della speranza e della carità, virtù teologali di ogni cristiano.
Si
può affermare che lo studio su Giovanni della Croce inizia dopo la
proclamazione ufficiale che nel 1926 Pio XI fa assegnandogli il titolo di
Dottore della chiesa. In realtà l'assegnazione di questo titolo pose fine
alle accuse di
quietismo
che lo avevano accompagnato fino a quel momento e si moltiplicarono gli
studi di carattere storico, dottrinale e letterario del mistico. La sua
opera va ben oltre lo stretto schema della mistica e della teologia
(elaborata dalla propria esperienza di mistico), risvegliando interesse in
campi come la filosofia, la letteratura e la psicologia.
Giovanni
della Croce è teologo non dogmatico, ma in quanto ha vissuto su di sé
l'esperienza dell'incontro mistico. Egli è un vero e proprio
"teologo spirituale", come afferma Antonio Maria Sicari
nel Dizionario di mistica citato in
bibliografia:
egli guarda alla sviluppo della rivelazione nella santità dei
credenti. Egli, si può anche affermare, ha dato una struttura teologica
alla mistica, collocando la sintesi dottrinale nel movimento di un
processo storico. Seguendo anche quanto scritto da Federico Ruiz in
AA.VV., Grandi mistici. Dal 300 al 1900, EDB, Bologna 1987, 2003
possiamo elencare schematicamente la sua dottrina:
La
sua prima novità consiste nell'aver introdotto nella mistica
cristiana il confronto e l'integrazione di varie componenti:
esperienza e riflessione, mistica e teologia, poesia e prosa. Questa
integrazione ha permesso di superare l'ineffabilità dell'esperienza
mistica (quindi non dicibile o raccontabile in termini accessibili ai
più) attraverso uno sforzo intellettuale di elaborazione scritta e di
spiegazione. Pur giudicando insufficiente il linguaggio, Giovanni
della Croce non rinuncia a servirsene.
Giovanni
della Croce parla della mistica per esperienza; egli afferma che
l'esperienza mistica è immediatezza con il mistero. Tale unione si
dà nella sostanza dello spirito e nel cuore dell'anima, in cui l'uomo
è pura accoglienza e passività, in modo da lasciare che lo Spirito
vi compia tutti gli atti. L'unione è quella che altri autori chiamano
"perfezione". Di tale unione egli dà tre gradi: il primo
livello si pone sul piano naturale, mentre gli altri due non dono
soprannaturale.
Egli
stabilisce una distinzione fra grazia e fenomeni mistici: la grazia
tende direttamente all'unione con Dio; il fenomeno inserisce una serie
di azioni e reazioni all'interno della psicologia umana che ostacolano
piuttosto la comunione.
La
descrizione che Giovanni fa della vita mistica è dinamica, in quanto
segue il ritmo della comunicazione di Dio e della trasformazione
dell'uomo. Egli afferma che «Dio conduce ciascuna anima per una via
diversa, sicché difficilmente si troverà uno spirito che nel modo di
procedere convenga solo a metà con il modo di procedere di un
altro».
Col
rilievo che dà, inoltre, alla notte oscura, Giovanni introduce un
elemento di alterazione continua che scompagina ancora i progetti di
sviluppo e i vari punti di riferimento del processo di maturazione
spirituale della persona. Rimane un'esperienza che sconcerta, fatta di
salite e discese che sembra non portino in alcun luogo. Lo afferma
egli stesso: «Questa è la norma ordinaria dello stato di
contemplazione, finché non si raggiunge quello di quiete: non si
rimane mai nelle stesse posizioni, ma è tutto un salire e uno
scendere».
Si
parla pertanto di un processo che possiamo elencare secondo queste
tappe principali:
ingresso
nella vita mistica con la contemplazione: viene meno il gusto
e l'attrattiva basata sui discorsi e sul lavoro
dell'immaginazione; si prova disgusto e aridità di fronte alle
cose spirituali e a quelle materiali; sorge la tendenza a rimanere
in un atteggiamento di semplice attenzione amorosa;
purificazione
ed educazione delle potenze dell'anima con fede, speranza e
carità: sorge la necessità di una purificazione,
ristrutturando tutta l'attività umana nelle sue dimensioni di
conoscenza, affettività e desiderio (appetito) sensibile secondo
le virtù teologali;
primo
incontro, illuminazione e grazie spirituali: è caratterizzata
dalle grazie mistiche e dalla propensione per alcuni fenomeni
straordinari oltre che da una solidità delle virtù;
notte
spirituale passiva, esperienza della morte (rimanendo in vita):
è la preparazione necessaria ed efficace per l'unione d'amore.
Scrive Giovanni: «Due sono le cause per cui questa sapienza
divina è per l'anima non solo notte e tenebre, ma anche pena e
tormento; l'una da parte dell'altezza della sapienza divina che
trascende la capacità dell'anima per la quale diventa quindi
tenebra; l'altra da parte dell'imperfezione e impurità di
quest'ultima e in tale maniera essa le è penosa e causa di
afflizione oscura»;
unione
trasformante: l'uomo riceve la comunicazione divina e viene
assimilato alla natura e all'azione del Dio trinitario in Gesù
Cristo. Essa consiste nella conformazione a Cristo, trasformazione
in Dio, confermazione nella grazia e armonia psicologica.
Breve
Antologia
Quella
che segue è una breve antologia tratta dalle opere di Giovanni della
Croce. Per le opere poetiche, è possibile consultare la pagina del
LINGUAGGIO
MISTICO E POESIA.
(Firma
autografa di Giovanni della Croce)
DIO
NON VIENE MAI MENO (Cantico spirituale
B, Strofa I, 8)
«È
grande conforto per l'anima sapere che Dio non le viene mai meno, anche se
essa è in peccato mortale; quanto meno Egli abbandonerà quella che è in
grazia! Che vuoi di più, o anima, e perché cerchi ancora fuori di te,
dal momento che hai dentro di te le tue ricchezze, i tuoi diletti, la tua
soddisfazione, la tua abbondanza e il tuo regno, cioè l'Amato, che tu
desideri e brami? Gioisci e rallegrati pure con Lui nel tuo raccoglimento
interiore, perché lo hai così vicino! Qui desideralo, adoralo, senza
andare a cercarlo altrove, poiché ti distrarresti, ti stancheresti senza
poterlo Né trovare né godere con maggiore certezza e celerità, né
averlo più vicino che dentro di te. Vi è un'unica difficoltà e cioè
che, pure essendo dentro di te, se ne sta nascosto; però è già molto se
si conosce il luogo dove sta nascosto per cercarlo con la certezza di
trovarlo.»
CERCARE
DIO (Cantico
spirituale B, Strofa 3, 2)
«L'anima
fa capire che per trovare davvero Dio non basta soltanto pregare con il
cuore e con le labbra, neppure con l'aiuto altrui, ma è necessario che
anch'essa da parte sua faccia tutto ciò che può, perché Dio suole
stimare più un'opera sola propria di una persona che molte fatte da altri
per lei. Perciò, ricordando qui le parole dell'Amato: Cercate e troverete
(Luca 11,9), l'anima stessa risolve di andarne in cerca, per mezzo della
sua opera, per non restare delusa nella ricerca, come accade a molti, i
quali vorrebbero che Dio non costasse loro più che pronunziare una
parola, e anche ciò fatto malvolentieri e non vogliono fare niente che
costi loro un po', tanto che ad alcuni dispiace perfino di alzarsi da un
luogo dove stanno comodamente. In tal modo vorrebbero che il sapore
scendesse sulle loro labbra e nel cuore senza muovere un dito e senza
mortificarsi rinunziando a qualche loro gusto, consolazione e voglia
inutile.
Ma
finché non usciranno in cerca dell'Amato, per quanto gridino a Dio, non
lo troveranno. Anche la sposa dei Cantici lo cercava così, ma non lo
trovò finché non uscì per cercarlo (3, 1-2). E soggiunge di averlo
trovato dopo aver sofferto alcuni travagli (3, 4). Chi dunque cerca Dio
volendo rimanere nei propri gusti e nelle proprie comodità, lo cerca di
notte e quindi non lo trova. Colui invece che lo cerca mediante le buone
opere e l'esercizio delle virtù, lasciando il letto dei suoi gusti e dei
suoi piaceri, lo cerca di giorno e quindi lo trova, perché ciò che è
introvabile di notte, si scopre di giorno.»
LE
BUONE OPERE (Cantico spirituale B,
Strofa 29, 3)
«Quelli
che sono molto attivi e che pensano di abbracciare il mondo con le loro
prediche e con le loro opere esteriori ricordino che sarebbero di maggior
profitto per la Chiesa e molto più accetti a Dio, senza parlare del buon
esempio che darebbero, se spendessero almeno metà del tempo nello
starsene con Lui in orazione, anche se fossero giunti ad un'orazione alta.
Certamente allora con minor fatica otterrebbero più con un'opera che con
mille per il merito della loro orazione e per le forze spirituali
acquistate in essa, altrimenti tutto si ridurrà a dare vanamente colpi di
martello e a fare poco più che niente, talvolta anzi niente e anche
danno. Dio non voglia che il sale diventi insipido, poiché allora
quantunque sembri che produca all'esterno qualche effetto buono, di fatto
non fa niente, essendo certo che le buone opere non si possono fare se non
in virtù di Dio.»
IL
DISTACCO (Salita del Monte
Carmelo, Libro 2, Capitolo 7, 3)
«Nostro
Signore soggiunge che la via della perfezione è stretta. Con questa
espressione egli vuole insegnarci come l'anima che desidera avanzare in
questo cammino deve non solo entrare per la porta angusta liberandosi dai
beni sensibili, ma anche restringersi, espropriandosi e sbarazzandosi
completamente anche di quelli spirituali. E così possiamo riferire alla
parte sensitiva dell'uomo quanto Nostro Signore dice della porta angusta,
e a quella spirituale e razionale ciò che egli afferma intorno alla via
stretta. La causa di ciò che egli dice: pochi sono coloro che la trovano,
va ricercata nel fatto che poche sono le anime le quali sappiano e
vogliano entrare in questa estrema nudità e perfetto vuoto di spirito.
Poiché questo sentiero che conduce al sublime monte della perfezione sale
verso l'alto ed è stretto, non può essere affrontato che da viandanti i
quali non portino carichi che li aggravino secondo la parte inferiore e
pesi che siano loro di impedimento per quanto riguarda quella superiore.
Giacché si tratta di un impegno in cui si cerca e si guadagna solo Dio,
Dio solo si deve cercare e guadagnare.»
[A
si riferisce all'opera Avvisi e sentenze; S si riferisce
all'opera Spunti di amore]
Colui
che vuole restare solo senza il sostegno di un maestro e di una guida,
è come un albero solo e senza padrone in un campo, i cui frutti, per
quanto abbondanti, verranno colti dai passanti e non giungeranno
quindi alla maturità. (A 5)
Chi
cade da solo, solo resta nella sua caduta e tiene in poco conto la
propria anima, poiché l'affida a se solo. (A 8)
Dio
desidera da te piuttosto il più piccolo grado di purezza di coscienza
che tutte le opere che tu potrai compiere. (A 12)
Dio
stima di più in te l'inclinazione all'aridità e alla sofferenza per
amor suo, che tutte le meditazioni, le visioni e le consolazioni
spirituali che tu possa avere. (A 14)
Rinnega
i tuoi desideri e troverai quello che il tuo cuore desidera. Che sai
tu se il tuo appetito è secondo Dio? (A 15)
Non
ti mostrare alle creature, se nella tua anima desideri conservare
chiara e semplice la faccia di Dio. Piuttosto vuota e distacca del
tutto il tuo spirito da quelle e camminerai sotto la divina luce,
poiché Dio non è simile ad esse. (A 25)
Tu
non troverai quello che desideri o maggiormente brami, né per questa
tua strada né per quella dell'alta contemplazione, ma in una grande
umiltà e sottomissione di cuore. (A 37)
Fai
un patto con la tua ragione di compiere quanto ella ti dice nel
cammino di Dio: ciò presso di Lui ti varrà più di tutte le opere
che fai senza tale riflessione e di tutti i gusti spirituali che tu
desideri. (A 41)
Prendi
Dio per sposo e amico con cui stare sempre; non peccherai, saprai
amare e le cose necessarie ti andranno prosperamente. (A 65)
Entri
nel suo intimo e lavori alla presenza dello Sposo, il quale è sempre
presente e le vuole bene. (S 11)
Abbia
in cuore la forza contro tutte le cose che vorrebbero condurla a ciò
che non è Dio e sia amica della passione di Cristo. (S 16)
L'anima
che cammina nell'amore non annoia gli altri né stanca se stessa. (S
18)
Il
Padre pronunciò una parola, che fu suo Figlio e sempre la ripete in
un eterno silenzio; perciò in silenzio essa deve essere ascoltata
dall'anima. (S 21)
Per
innamorarsene, Dio non posa lo sguardo sulla grandezza dell'anima, ma
sulla grandezza della sua umiltà. (S 24)
L'amore
non consiste nel provare grandi sentimenti, ma nell'avere grande
nudità e nel patire per amore dell'Amato. (S 36)
Semplificarsi
per cercare Dio: la luce che nelle cose esteriori è utile per non
cadere, nelle cose di Dio è il contrario, di modo che in esse è
meglio che l'anima non veda e possederà in tal modo maggior
sicurezza. (S 54)
L'AMORE
SILENZIOSO:
Ciò che manca non è né la parola né lo
scritto, ma il silenzio e l'azione. Infatti, oltre tutto, le parole
distraggono, mentre il silenzio e l'azione raccolgono lo spirito e lo
rinvigoriscono. Perciò appena una persona conosce ciò che le è
stato detto per il suo profitto, non ha più bisogno di pronunciare
né di ascoltare parole, ma di agire davvero con silenzio e con cura,
in umiltà, carità e disprezzo di sé, senza andare subito in cerca
di novità, ricerca che serve solo a soddisfare l'appetito in cose
esteriori (senza poterlo saziare) e a rendere lo spirito fiacco e vuoto,
privo di ogni virtù interiore. La maggiore necessità che abbiamo è
quella di tacere con l'appetito e con la lingua dinanzi a questo Dio,
il cui linguaggio, che Egli solo ode, è l'amore silenzioso. [Lettera
alle Carmelitane Scalze di Beas, 22 novembre 1587]
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