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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Jakob Böhme
Rogier
Van der Weyden, Annunciazione, 1440, Museo del Louvre, Parigi
«Non
devi fare nulla, ma abbandonare la tua volontà alla propria disposizione.
Le tue cattive qualità si indeboliranno e ti tufferai con la tua volontà
nell'Uno dal quale uscisti in principio. Tu giaci prigioniera delle
creature: abbandona la tua stessa volontà e morranno in te le creature e
le loro cattive inclinazioni, che ti trattengono perché tu non vada
a Dio»
Bibliografia
Piccola
bibliografia consigliata:
Jacob
Böhme, Dialogo tra un'anima illuminata e una priva di
luce, a cura di Bruno Cerchio, Il
leone verde, Torino 1997
Riporta
i due dialoghi: Dialogo tra un'anima illuminata e una priva di luce
e La vita soprasensibile oltre ad una bella introduzione.
Jacob
Böhme, Scritti di religione, a cura di Antonio
Banfi, SeaR Edizioni, Scandiano (RE) 1989
Riporta
i seguenti: Theoscopica ossia la preziosissima porta della
contemplazione divina, Dialogo di un'anima illuminata e di un'anima
senza luce
e Piccola preghiera all'ardente amore di Dio.
Jacob
Böhme, Aurora nascente, Mimesis, Milano 2008 (a cura
di Cecilia Muratori)
Jacob
Böhme, La vita sovrasensibile, Mimesis, Milano 1998
(a cura di Luciano Parinetto)
Jacob
Böhme, I sei punti teosofici, Pizeta, San Donato
Milanese (MI) 2010
Jacob
Böhme, Della triplice vita dell'uomo, FirenzeLibri,
Reggello (FI) 2010 (a cura di Ovidio La Pera e Silvia Vagarini)
Jacob
Böhme, Quaranta questioni, FirenzeLibri, Reggello
(FI) 2011 (a cura di Ovidio La Pera)
Franz
Hartmann, Il mondo magico di Jacob Böhme. La vita e le
dottrine di Jacob Böhme il filosofo ispirato da Dio, Edizioni
Mediterranee, Roma 1982
Il
libro, oltre ad una biografia, un'introduzione al suo pensiero,
riporta moltissimi estratti dalle opere di Böhme, suddivisi per
argomenti. Si tratta dell'unica antologia ampia in italiano.
Flavio
P. Cuniberto, Jakob Böhme,
Morcelliana, Brescia
2000
Jean-Louis
Leuba, Mistica e teologia dialettica prostestante, in
AA.VV., La
mistica, a cura di Jean-Marie Van Cangh, EDB, Bologna 1991, pagg.
165-197
Nota
Biografica
Ritratto
di Jakob Böhme
Jakob Böhme
nasce il 24 aprile 1575 a Alt Seidenberg presso Görlitz, nell'Ober-Lausitz
(Lusazia), regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia.
I genitori, contadini agiati provenienti da Altseidenberg, lo avviano
a quattordici anni al
mestiere di calzolaio, professione che lo accompagna per tutta la
vita. Riceve un'educazione e una cultura luterana, che amplia da
autodidatta severo mediante letture delle opere della tradizione
mistica tedesca del Trecento (Eckhart, Taulero, Suso), oltre ai
mistici naturalisti del Cinquecento (Paracelso, J.B. Van Helmont, S.
Franck, V. Weigel). Insieme ai mistici, dunque, legge anche opere di alchimia, astrologia
e cabala.
Nel
1594 sposa Catharina Kunschmanns, figlia di un macellaio, con
cui vive fino alla morte e da cui ha quattro figli nel periodo
tra il 1600 e il 1611.
Il
luteranesimo imperante di allora condanna ogni possibilità di
trascendenza diretta e ogni atteggiamento di tipo ascetico o mistico.
Eppure, Jakob si trova a vivere esperienze estatiche diverse volte
nella sua vita. Una prima, nel 1600, poi nel 1610 e ancora nel 1617.
Tali esperienze, coinvolgenti tutto il suo essere fisico e spirituale,
hanno la durata di alcuni giorni ciascuna. Egli le vive come
esperienze che illuminano la sua conoscenza di Dio più che come
un'unione diretta con Dio e ineffabile. Da esse riceve lo stimolo
continuo a studiare le Scritture ed approfondire le sue conoscenze, in
modo che potessero rendere più esplicite (a parole) le esperienze
vissute.
Egli
racconta di aver visto "l'Essere di tutti gli Esseri", la
nascita della Santa Trinità, il mondo divino e quello angelico.
Elabora dunque una complessa rappresentazione mistica della realtà
che esplicita nella sua prima opera pubblicata, per interesse di un
suo estimatore, nel 1612 dal titolo Morgenröte im Aufgang,
detta anche Aurora consurgens, ossia Aurora nascente. Il
lavoro inizia a circolare all'insaputa dell'Autore, in copie manoscritte, suscitando ben presto
la rabbia del pastore protestante di Görlitz, Gregorius Richter, che
inizia una feroce persecuzione nei suoi confronti. Oltre a lui, anche
altre autorità luterane lo accusano di eresia e per Jakob inizia una
serie di lotte tra i suoi oppositori e i suoi sostenitori.
Circa
sette anni più tardi Jakob Böhme inizia la pubblicazioni di oltre
venti trattati, tra cui: I tre principi dell'essenza divina
(1619), Sei punti teosofici (1620), Sei punti
mistici (1620), Quaranta questioni sullo stato
originario dell'anima (1620), Sulla segnatura delle cose
(1622), Mysterium Magnum (1623), Cristosofia,
o la via in Cristo (1624), La vita soprannaturale (1624).
Nel 1624 è accolto a Dresda con una certa benevolenza. I suoi scritti
sono stampati in Olanda e, tradotti in inglese, hanno un'ampia
diffusione in Inghilterra, dove alcuni suoi seguaci fondano
addirittura delle comunità a lui ispirate.
In
tutti questi anni, egli sopporta con pazienza tutto ciò che gli
accade. La dolcezza del suo carattere e la sua pazienza sono
raccontate da molte fonti. All'inizio del mese di novembre 1624,
consumato dai dolori, predice il giorno della sua morte, che avviene
il 17. Alla fine della sua vita terrena, confessa chiaramente
la sua fede evangelica dinanzi all'interrogatorio del nuovo pastore
Nicola Thomas (Richter era morto in agosto), pur non convincendo buona parte della gente
che imbratta e poi distrugge la croce dalla sua tomba.
Rappresentazione
della cittadina di Görlitz
all'epoca di Jakob Böhme
Difficoltà di una mistica
protestante
Jakob
Böhme è un mistico luterano. La difficoltà di una mistica in ambito
protestante è chiaramente affermata da Karl Barth, che ha una posizione
alquanto precisa. Scrive R. Bertalot, nella voce
"protestantesimo" del Dizionario di mistica (a cura di L.
Borriello, citato nella
pagina
bibliografica) che «il teologo di Basilea prende una posizione
radicalmente negativa nel confronti della mistica protestante. Essa esula
completamente dal suo pensiero dogmatico che consiste nel verificare
scientificamente se la predicazione della Chiesa corrisponda al suo
oggetto, cioè alla Parola di Dio. E la Parola di Dio non è altro che
Gesù Cristo stesso. Non bisogna, quindi, pescare nello stagno e
confondere il cielo con le colline della nostra esperienza. Dobbiamo
deciderci se partiamo dalla rivelazione o dalla coscienza. Il
misticismo rifiuta le manifestazioni esteriori, interpreta spiritualmente
i dogmi e ritiene inesprimibile la vera religione. Il mistico che pretende
elevarsi verso Dio passa accanto al Dio che è disceso. Può essere accusato
di eresia».
Il
rifiuto di qualsiasi mistica secondo Barth è descritto
esaurientemente nell'articolo citato nella
bibliografia
di questa pagina di Jean-Louis Leuba, cui
rimando per una lettura completa. Qui accenno semplicemente alcune
posizioni a titolo di chiarificazione.
Secondo
Barth, la mistica è lo sforzo dell'uomo per staccarsi non solo dal mondo
ma anche da se stesso, per raggiungere Dio, che è la vera vita. Il
rifiuto di ammettere ogni possibilità di conoscere Dio in se stesso, in
altri termini il rifiuto di ogni teologia naturale, ha due connotazioni
distinte, l'una relativa al posto della creazione nella conoscenza di Dio,
l'altra relativa all'inutilità di ogni introspezione autonoma dell'uomo
in vista di tale fine. Egli lo afferma con queste parole:
«Non
si tratta in nessun modo di distoglierci da noi stessi e di guardare
altrove in maniera puramente formale, negando semplicemente
"noi-stessi" e tuffandoci in un aldilà vuoto. È impossibile,
dunque, immaginare di essere ciò che non siamo. Che cosa potremmo
pensare di diverso, se non la nostra stessa morte - e questo con la folle
pretesa di considerarla come la nostra vita? "Perdere" se
stessi non significa assolutamente trovare se stessi. È impossibile -
fortunatamente, per la nostra salvezza - essere in grado di pensare
questo e, peggio ancora, di rendere reale il contenuto di un tale
pensiero - cioè la negazione e la perdita di noi stessi. Nessun mistico
è riuscito ancora in modo puramente formale a distogliersi veramente da
se stesso e fissare l'aldilà - meno ancora a uscire da sé e superarsi
mediante una negazione pienamente formale del suo io. Chi cerca
di guardare nell'aldilà vuoto, ancora una volta, non fa che trovare se
stesso, benché pretenda il contrario. Perché possiamo distoglierci
veramente da noi stessi e guardare all'aldilà, occorre che il nostro
sguardo sia irresistibilmente attratto da un oggetto, che sia uno sguardo materialmente pieno. Occorre, di conseguenza, che ciò che noi
riteniamo essere il nostro aldilà non sia il vuoto, il niente, ma
qualche cosa, o piuttosto qualcuno... Questo "qualcuno",
questo "altro" è Gesù Cristo».
Sul
tema della mistica in riferimento alla rivelazione cristiana, Barth
afferma che la conoscenza di Dio, o meglio Dio come oggetto di conoscenza,
è attestata dalle creature da lui scelte a titolo di sacramento, ma di
fatto essa non diviene mai immanente a quella della creatura che Dio
istruisce e utilizza. Da qui la presa di distanza rispetto alla conoscenza
mistica del Dio rivelato. Quando parla di esperienza di Dio egli cita la
lettera agli Ebrei (11,1) e la intende piuttosto come un'esperienza delle
opere e dei segni che Dio ci dà di se stesso e che si sviluppa nella
relazione soggetto-oggetto, con tutta l'ambiguità, i limiti e i pericoli
che comporta questa relazione:
«Dio
- ed è l'errore di molti misticismi - non è né oggetto di
contemplazione né di meditazione fra tanti altri. Anzi, Dio si sottrae
a ogni contemplazione. Perché Dio agisce e lo fa mediante la sua
Parola. Parla e vuole farsi ascoltare».
Inoltre,
precisa che la fede non è un'opera con cui l'uomo può fare il vuoto in
se stesso per poter ricevere Dio.
Barth
non fa che riassumere, in termini moderni, il sentimento che sempre si è
registrato in ambito protestante. Tenuto
conto di ciò appare comprensibile l'atteggiamento di
ostilità ricevuto ai suoi tempi dalla sua gente e dalla sua
comunità.
Il
pensiero mistico di Böhme
Seguendo
quanto affermato da Giordano Berti, nel suo Dizionario dei
mistici, Vallardi, Milano 1999, «il pensiero di Böhme abbraccia
la storia universale tramandata nella Bibbia, dalla Genesi al Giudizio
finale, e ne individua lo sviluppo secondo le leggi naturali, o
meglio processi alchemici che si traducono nella mescolanza di
elementi fisici (acqua, fuoco, terra e aria) e qualità psichiche
(bene/male, luce/tenebre, amore/odio). Come la caduta di Adamo ha
determinato una degenerazione della sua stessa essenza psicofisica,
allo stesso modo la reintegrazione di ogni individuo nella perfezione
originaria deve avvenire attraverso un riequilibrio degli elementi
corporei e di quelli psichici. Ciò si verifica quando la volontà
individuale accetta il dominio dell'amore di cui Cristo ha riaffermato il
valore. Poi si accende un fuoco interiore e l'anima si unisce alla
Sapienza; così il novello Adamo si unisce di nuovo con la sposa che gli
fu tolta in un lontano passato».
La
Divinità è considerata da Böhme un Abisso (Ungrund)
senza-fondo.
L'Abisso è un Nulla, non nel senso che non sia, ma in quello di non
essere qualcosa di definito; esso è la "dimora" dell'Unità
divina (che è a sua volta un altro modo di intendere l'Abisso, poiché
mancandovi la molteplicità è necessariamente Uno e non nel senso di
qualcosa, ma in quello di "non-due", inseparato).
«Oltre
la Natura si trova il Nulla, ovvero il silenzio e il riposo eterno. In
questo Nulla sordo, dall'eternità, una Volontà versa qualche cosa ch'essa appetisce e non
è in fondo che se stessa, poiché non v'ha nulla fuor
che se stessa. Tale brama è la proprietà della fame che si sazia di se
medesima, e questo ingerimento produce l'oscurità». In tal modo egli
distingue le ipostasi della Trinità cristiana: il Padre è la Volontà
dell'Unità divina, il Figlio l'Oggetto di questa Volontà e lo Spirito
Santo la Potenza che lo realizza. Così considerato, l'Abisso (Ungrund)
cessa di apparire tale, poiché - afferma B. Cerchio nell'opera
citata in apertura - la Volontà
(= Padre) è già una delimitazione che genera se stessa (= Figlio) grazie
a se stessa (= Spirito Santo).
Questa
distinzione evidenzia un processo generativo che appare inarrestabile: la
Potenza, in quanto Potenza di una Volontà, promuove il Verbo divino (=
Figlio) il cui primo pronunciamento sarà la Saggezza, ambito in cui la
Potenza può operare. Questo è ciò che viene chiamato da Böhme Mysterium
Magnum. In esso compaiono due essenze e due volontà: una è l'Unità
divina di cui è permeata la Saggezza, l'altra è la Volontà generativa
che ha base in se stessa. In questo Mysterium compaiono due
Principi, quello del fuoco e quello della luce, inseparabili pur apparendo
ai nostri occhi separati. Nel Principio del fuoco (legato al Padre) la
Volontà appare come ira, mentre nel Principio della luce, lo Spirito
Santo (grazie al Figlio) si mostra come Volontà di Amore; essi generano
un terzo Principio, il mondo visibile, nel quale si manifestano le
qualità della Natura Eterna, che erano già di per sé presenti nel
Verbo. Si può immaginare la sequenza dei principi, come un fuoco (primo
principio) che genera la luce che a sua volta produce le ombre. Le qualità o
forme della Natura sono sette:
1)
Brama o desiderio: consegue dalla Volontà di essere (qualcosa),
è il primo inizio del divenire;
2)
Movimento: è implicito nel desiderio;
3)
Angoscia: è il prodotto dell'azione reciproca
desiderio/movimento;
4)
Fuoco o lampo: è l'elemento che trasforma i precedenti;
5)
Luce: è il prodotto del fuoco, manifestazione della potenza
dell'amore;
6)
Suono: è la capacità di "intendere", legata al suono;
7)
Essenza: in questa forma abitano tutte le altre, così come
l'anima abita il corpo, è la comprensione corporea delle altre qualità.
Le
ultime tre forme costituiscono il ternario luminoso in cui sono
mutate le prime tre (ternario tenebroso). Vi è un rapporto
speculare tra esse: il Padre produce la prima e la settima, il Figlio la
seconda e la sesta, lo Spirito la terza e la quinta. Il fuoco (la quarta)
le separa, unisce e trasforma. Scrive Böhme:
«Il
Padre, che governa il primo principio, il fuoco, genera eternamente il
Figlio, la luce, mediante le sette forme della natura eterna; e il
Figlio, rivelandosi nel secondo principio come luce, per sempre
glorifica il Padre. La volontà eterna, il Padre, conduce il Suo cuore,
il Suo Figlio Eterno, mediante il fuoco fino al grande trionfo nel suo
regno di gioia. Quando il Padre pronuncia la Sua Parola, cioè quando
genera il Figlio, il che viene compiuto eternamente e continuamente,
tale Parola prima di tutto assume la sua origine nella prima e aspra
qualità, dove diviene concepita. Nella seconda o dolce qualità riceve
la sua attività; nella terza si muove; nel calore sorge e accende il
dolce flusso del potere e del fuoco. Ora tutte le qualità sono fatte
ardere dal fuoco acceso, e il fuoco viene alimentato da esse; ma questo
fuoco è uno solo e non molti. Questo fuoco è il vero Figlio di Dio
Stesso, che continua a nascere dall'eternità all'eternità. Il Padre è
il primo di tutti gli esseri concepibili, ma se il secondo principio non
divenisse manifesto nella nascita del Figlio, Egli non verrebbe
rivelato. Lo Spirito Santo, manifestando Se stesso nel terzo principio,
deriva eternamente dal Padre e dal Figlio, e in Lui e con Lui emana lo
splendore della maestà di Dio».
Rifacendosi
alle concezioni tradizionali, l'uomo è per Böhme un microcosmo,
in quanto in lui, quale coronamento della creazione, stanno tutte le cose,
Dio e gli angeli, il cielo e l'inferno. Ultimo nel processo creativo di
Dio, egli ha il compito di risalire la corrente e tornare verso il
Principio. Per fare ciò deve essere un'immagine compiuta di Dio e
possedere una volontà libera. In questo però sta la grandezza
unitamente al pericolo: se l'uomo volge la propria volontà verso
l'esterno (le creature e il mondo), realizza in sé l'aspetto tenebroso
del divino, costruendosi l'inferno per la propria anima. Se invece si
distacca dalle creature e dal mondo in genere, annullando la propria
visione particolaristica e la propria volontà separata per lasciare
spazio alla volontà divina, in lui si realizza l'amore di Dio, la luce
del Paradiso. Se l'uomo si rivolge al male, non lo fa che per ignoranza o
cecità, in quanto, essendo immagine di Dio, egli non può che cercare
sempre e comunque il bene. La libertà della volontà dell'uomo consente
dunque di conoscere ed esperire la dolorosa lontananza da Dio. All'uomo
decaduto non spetta che effettuare un cenno di rinuncia al male (essendo
la presenza luminosa di Dio costante e sempre in attesa di rivelarsi): a
quel punto, la volontà che passa dall'esteriore all'interiore permette la
nascita di Cristo in sé.
Nessuno
può entrare nel regno dei cieli (che equivale a dire conoscenza
spirituale di sé e gioia inenarrabile) all'infuori di colui che è rinato
nello Spirito; ma nessuno può rinascere a meno che non muoia interamente
rispetto alla sua volontà e cessi di essere una persona e divenga pura
gioia e pura conoscenza. Però nessuno dovrebbe cercare la conoscenza
spirituale allo scopo di divenire sapiente e colto, ma bisogna che si
sforzi di morire entro il Cristo, cioè divenire una cosa sola con la
verità divina, così che non è più lui stesso quello che vive, ma viene
vissuto dalla verità. Se le proprie conoscenze non conducono alla
glorificazione di Dio nel proprio intimo, sono inutili. Non si dovrebbe,
secondo Böhme, desiderare di divenire qualcosa, ma, superando ogni senso
di separazione e di volontà egoistica, permettere al proprio autentico
Sé di manifestare il suo potere in noi, in modo da essere tutta la
conoscenza, tutta la gioia, la sapienza e la gloria. Nelle sue Lettere,
scrive:
«Non
ho mai desiderato di conoscere qualcosa sui misteri divini, né ho mai
compreso come potrei cercarli o trovarli. Sono andato alla ricerca del
solo cuore di Gesù Cristo (il centro della verità), in cui potermi
nascondere e trovare protezioni dalla terribile ira di Dio; e chiesi con
serietà a Dio il Suo Spirito Santo e la Sua misericordia, in modo che
mi potesse benedire e guidare, e allontanasse da me tutto ciò che fosse
in grado di farmi deviare da Lui, così da poter vivere nella Sua
volontà e non nella mia. Mentre ero preso in una tale ansiosa ricerca,
mi vennero aperte le porte, così che in un quarto d'ora vidi e appresi
più che se avessi studiato molti anni nelle università».
La
comprensione della verità secondo cui noi non siamo nulla, ma Dio è
tutto, costituisce l'inizio della vera fede, che forma la base
dell'autentica conoscenza e il primo passo sulla strada verso
l'illuminazione spirituale.
«La
nostra conoscenza deve essere completa nell'amore di Cristo (amore
divino), in modo da amarci reciprocamente. Senza di ciò, la nostra
conoscenza non servirà a nulla. Se non introduco la mia conoscenza,
insieme al mio desiderio, nell'amore di Dio, in cui Egli ci ha amato in
Cristo, e se non amo il mio prossimo nell'amore di Dio nel Cristo,
nell'amore con cui Dio ci ama e con cui egli ci amò sebbene fossimo
suoi nemici, non possiedo la luce di Dio dimorante in me stesso».
Nell'uomo
c'è già la verità, la scintilla divina. Egli non deve dunque cercare
fuori di sé la sorgente della Sapienza, non acquisire conoscenza dai
libri, ma risvegliare il proprio spirito alla conoscenza spirituale, che
è in definitiva l'unica vera forma di sapere.
«Non
acquisisco la mia conoscenza dalle lettere e dai libri, ma la posseggo
entro me stesso, poiché il cielo e la terra con tutti i loro abitanti,
e inoltre Dio stesso, sono nell'uomo».
Cos'è
che impedisce all'uomo di riconoscere Dio entro se stesso?
«Il
tuo stesso udito, la tua stessa volontà e la tua stessa vista ti
impediscono di vedere e udire Dio. Esercitando la tua volontà, ti
separi da quella di Dio e impiegando la tua vista, tu vedi solo entro i
tuoi desideri, mentre tali desideri ostruiscono il tuo stesso senso
dell'udito, chiudendoti le orecchie con ciò che appartiene alle cose
terrene e materiali. Ciò ti mette a tal punto in ombra che non puoi
scorgere ciò che è supersensoriale e al di là della tua natura umana.
Ma se rimani tranquillo, e ti trattiene dal pensare e dal sentire con il
tuo sé personale, allora ti verranno rivelati l'udito, la vista e la
parola eterni, e Dio vedrà, sentirà e udrà attraverso di te».
Riepilogo
essenziale
Gli
scritti di Böhme sono stati considerati complessi, oscuri,
difficili nella lettura e nella comprensione, a parte alcuni passaggi, che
possono essere considerati anche affascinanti. È però possibile
enucleare il suo pensiero a grandi linee:
se
desideriamo contemplare ciò che è divino ed eterno, dobbiamo credere
che il divino e l'eterno possano rivelarsi nella costituzione
stessa dell'uomo, come principio spirituale insito nell'uomo
stesso e che non vada cercato altrove;
la
Parola di Dio, la Scrittura deve essere interiorizzata,
passando dalla "storia all'essenza": in tal modo si attua la
redenzione dell'uomo da parte di Dio e della sua Parola;
non
basta la speculazione teorica sulle cose che appartengono allo
Spirito nell'uomo per giungere alla sua comprensione;
l'uomo
deve riconoscere l'esistenza di un principio divino al suo stesso
interno, arrivando fino al fondo della propria anima, scendendo
in un abisso che è la Divinità stessa (che in realtà è senza fondo
per garantirne la trascendenza);
l'uomo
che desidera avvicinarsi a Dio, penetrando sempre di più nell'abisso,
deve arrendersi a Dio, rimettendo a Lui la propria volontà,
consegnando se stesso alla divinità. La volontà che non si consegna
non permette di incontrare Dio e la sua Sapienza: in tal modo non
riusciamo a vedere Dio, ma la propria volontà malata riesce a vedere
soltanto il mondo e il diavolo (il bene pervertito);
il
modo in cui Dio può essere percepito nella sua Parola e nella sua
Essenza è che l'uomo giunga ad uno stato di unità con se stesso,
abbandoni ogni cosa che riguardi il suo sé personale (beni, denaro,
padre e madre, fratelli, sorelle, moglie, figli, il proprio corpo e la
propria vita) e che tale sé divenga un nulla per lui; deve cedere
ogni cosa e divenire povero come un uccello del cielo, senza
nessun nido per il proprio cuore;
ciò
non significa che la persona debba abbandonare la propria casa e i
propri familiari, uccidersi o vendere le proprietà, ma soltanto smettere
di pretendere tutte queste cose come possesso, uccidendo o
annichilendo soltanto la propria volontà;
l'uomo
che ha ceduto se stesso a Dio entra nell'unione divina con Cristo,
è rigenerato da Cristo (nato nuovamente in lui) così da vedere Dio stesso, parlare con Dio, conoscere veramente la
sua Parola e la sua Essenza.
Breve
Antologia
Le
opere di Böhme pubblicate in italiano sono rare, purtroppo. Scrive M.
Vannini (Storia della mistica occidentale, cit., p. 243) che la
sua opera ha positivamente colpito l'interesse di personaggi come Daniel
Czepko von Riegersfeld (1605-1660), Abraham von Franckenberg (1563-1652),
Angelus Silesius, Friedrich Christoph Oetinger (1702-1782), Schelling,
Hegel. In particolare, cita l'affermazione di
Angelus
Silesius, il quale scrive: «Che io abbia letto alcuni scritti di
Jakob Böhme, visto che in Olanda capita che giunga sotto le mani di
tutto, è vero, e ne ringrazio Dio. Infatti essi sono stati grandemente
causa del mio giungere alla conoscenza della verità».
In
questa antologia, che in realtà è un semplice florilegio di frasi, non
esiste un'organizzazione tematica. Lascio che le parole di Böhme
risuonino come meglio possono nel cuore di ognuno, tenendo conto di quanto
lui stesso scriveva:
«Colui
che legge questi scritti e non riesce a comprenderli, non dovrebbe
metterli da parte, immaginando che non possano mai essere afferrati.
Dovrebbe cercare di mutare la sua volontà ed elevare la propria anima a
Dio, chiedendogli la grazia e la comprensione, e quindi potrebbe
riprendere la lettura. Troverà allora maggiori verità di quanto aveva
potuto fare precedentemente, finché il potere di Dio finalmente si
manifesterà in lui ed egli verrà tratto nelle massime profondità, nei
fondamenti soprannaturali, cioè nell'unità eterna di Dio. Allora udrà
parole di Dio reali ma inesprimibili, che lo condurranno attraverso la
radiazione divina della luce celeste, perfino entro le forme più rozze
della materia terrestre, e da questa risalirà a Dio; e lo Spirito di
Dio investigherà ogni cosa in lui e con lui».
Pensieri
diversi
Nessuno
conosce veramente il proprio sé, finché non lo trova nell'Unità del
Tutto.
Le
anime degli uomini, prese insieme, sono come una sola anima, poiché
sono state generate da una sola anima. Il cuore è la vera origine
dell'anima e nel sangue interiore del cuore (la volontà) c'è
l'anima, il fuoco, mentre nella tintura dell'anima vi è il suo
spirito (la sua luce); lo spirito aleggia sopra il cuore, e comunica
se stesso al corpo e a tutti gli organi.
L'anima
ha separato la sua volontà dalla volontà del Padre ed è entrata
nella brama di questa vita. Non avrebbe potuto esservi altra via di
redenzione, se la volontà pura del Padre non fosse di nuovo entrata
nella sua sostanza, portandola ancora nello stato che occupava in
precedenza, in modo che la sua volontà fosse nuovamente diretta verso
il cuore e la luce di Dio.
Il
ragionamento (superficiale) rappresenta Dio come un essere spietato, e
insegna che Egli ha gettato la Sua ira sull'uomo, maledicendolo e
condannandolo alla morte, poiché Gli aveva disubbidito. Non dovete
credere a ciò. Dio è amore e bontà, in Lui non esiste un pensiero
adirato. L'uomo sarebbe felice se non si fosse punito da solo.
L'amore
è divenuto umano e si è rivestito dell'anima dell'umanità, e
l'anima umana è divenuta illuminata dall'amore, mentre le sue radici
sono rimaste nell'ira, il potere del Padre. Allora, l'uomo nuovo,
rinato nell'amore, comandò l'anima nel potere del Padre e rinunciò a
quella vita terrena che trae origine dalle stelle e dagli elementi e
che costituisce il regno di questo mondo, nel dolore della vita, ma
nella morte, poiché il regno di questo mondo si era allontanato da
lei. Così non vi era nulla che le aderisse, tranne la sua natura
essenziale in accordo con la sua origine divina nel Padre, e avremmo
dovuto rimanere nell'ira, nel tenebroso inferno; ma la luce nel suo
aspetto di Padre ricevette l'anima entro la sua trinità. Allora
l'anima fu rivestita di amore nella Parola, e questo rese delizioso e
riconciliato il Padre adirato, entro la più interna fontana
dell'anima, e dentro le essenze dell'anima ricomparve il paradiso
perduto.
La
natura esterna di questo mondo non può comprendere la natura del
paradiso. L'una è nei confronti dell'altra come la morte nei riguardi
della vita. Non possiamo vedere gli angeli secondo la nostra natura
esteriore, né essi possono essere con noi esternamente; ma risiedono
all'interno di noi. Ogni volta che lottiamo con il diavolo, essi ci
proteggono dai suoi colpi, e così prendono sotto la loro protezione
l'anima che aspira a ciò che è santo.
Non
vi è altro fondamento per la vera e giusta conoscenza spirituale che
la Sapienza di Dio. Nessuna altra ricerca, studio o investigazione
servirà al suo conseguimento, poiché nessuno spirito può penetrare
più profondamente che nelle sue stesse profondità, dove è stato
acceso, e per quanto possa cercare nelle sue profondità, non vi
troverà altro che l'ombra o il simbolo della cosa, come una larva o
un sogno; ma non può osservarla nella sua essenza: se desidera
conoscere ciò, deve trovarsi esso stesso all'interno del vero essere
di quella cosa ed essa deve essere in quello spirito, così che possa
venire osservata all'interno del suo stesso sé.
Il
solo vero modo in cui Dio può essere percepito nella sua parola,
nella sua essenza e nella sua volontà, consiste nel fatto che l'uomo
giunga a uno stato di unità con se stesso e che, non solo
nell'immaginazione ma nella sua volontà, abbandoni ogni cosa
pertinente al suo sé personale, ai suoi beni e al suo denaro, al
padre e alla madre, ai fratelli e alle sorelle, alla moglie e ai
figli, al corpo e alla vita, e che tale suo sé divenga un nulla per
lui. Egli deve cedere ogni cosa e divenire più povero di un uccello
dell'aria, che possiede il suo nido. L'uomo in questo mondo non deve
avere alcun nido per il suo cuore. Ciò non significa che una persona
debba abbandonare la propria casa, la moglie, i figli, i parenti,
debba uccidersi o vendere le sue proprietà; ma essa dovrebbe uccidere
o annichilire la sua volontà, quella che pretende tutte queste cose
come proprio possesso. Dovrebbe cedere tutto ciò al suo Creatore e
affermare con il pieno consenso del cuore: Signore, tutto è Tuo!
Io sono indegno di governarlo, ma poiché Tu me lo hai concesso, farò
il mio dovere arrendendo la mia volontà interamente a Te. Agisci
attraverso di me nel modo che desideri, così che la Tua volontà sia
esaudita in ogni cosa e quanto sono chiamato a fare, possa essere
fatto a beneficio dei miei fratelli, che servo secondo il Tuo comando.
Colui che raggiunge un tale stato di suprema rassegnazione, entra
in un'unione divina con Cristo, così da vedere Dio stesso. Egli parla
con Dio e Dio parla con lui, e così conosce cosa sia la Parola,
l'Essenza e la Volontà di Dio.
Oh,
come Dio è vicino a tutte le cose! Malgrado ciò, nessuno può
comprenderlo a meno che non sia tranquillo e arrenda a lui la propria
volontà. Se si ottiene ciò, allora Dio agirà mediante ogni cosa
come suo strumento, come il sole agisce su tutto il mondo intero.
L'uomo
santo e celeste, nascosto nell'uomo esterno, è in cielo come Dio, e
il cielo è in lui e il cuore o la luce di Dio è nato in lui. Così
Dio è in lui e lui in Dio. Dio è a lui più vicino della sua natura.
Il vero uomo, rigenerato e rinato in Cristo, non è in questo mondo ma
nel paradiso di Dio; e sebbene sia nel corpo, tuttavia è in Dio. E
sebbene il corpo muoia, nondimeno nulla accade all'uomo nuovo, ma esso
esce dalla volontà contraria e dal tormento e giunge al suo paese
d'origine. Non è necessario alcun viaggio fino a un luogo distante e
remoto, che per lui possa essere di maggiore utilità, poiché Dio si
rivela ovunque a lui.
PICCOLA
PREGHIERA DELL'ARDENTE AMORE DI DIO
Scrive Böhme che «la preghiera è un
uscire da se stesso, un offrirsi a Dio con tutte le proprie forze, con
tutto ciò che l'uomo è e che egli possiede». Tratto da Der Veg zu
Christo, libro 2°, ecco la sua piccola preghiera:
O
tu, Iddio santo, che dimori nella Luce a cui nessuno può giungere se non
l'amore del tuo Figlio Gesù Cristo, l'amore che per pura grazia versasti
per suo mezzo all'umanità, con cui tu amasti noi poveri uomini prima
ancora della creazione del mondo e per cui tu ci liberasti dall'angoscia
e dal potere della morte; tu ci offri questo amore attraverso tuo figlio
Gesù Cristo, nell'ardente fiammeggiare del tuo spirito, noi ti
preghiamo, concedilo a noi.
Io
povero uomo indegno, mi riconosco senza meriti per tali benefici; ma
poiché tu hai rivelato il tuo amore nella nostra umanità che tu hai
assunto, e chiami a te i miseri peccatori perduti, e ti sei fatto carne,
per cercarli nelle loro stesse colpe e nella loro miseria e liberarli
dal peccato e renderli beati, come dice la tua parola; ecco io vengo a
te, o Padre pieno di amore, chiamato dalla tua parola e prendo la tua
parola e la tua verità nel mio cuore, nell'anima mia e la stringo a me
come tuo dono, e ti prego, o fiammante amore di Dio, donato a noi,
povere anime assetate, in Gesù Cristo, accendi anche la mia povera anima
con questo amore, perché io riceva nuova vita e nuovo volere e sia fatto
libero dal carcere della tua ira e dalla vendetta della morte.
O
ardente amore di Dio, che infrangesti nella nostra Umanità la morte e
distruggesti l'Abisso e ci conducesti attraverso la morte alla vittoria
in Cristo, tu che scendesti sulla bocca e nel cuore degli Apostoli in
fiamma splendente, e infiammasti tutti i tuoi Santi, e compisti per
opera loro i tuoi miracoli, tu che ami e sorreggi il mondo intero e
tutte le creature, a te io vengo e in te tutto io mi abbandono.
O
divina fonte infinita, sgorga nel profondo mio spirito, accendi anche in
me il fuoco del tuo amore, perché il mio spirito arda tutto del tuo
amore, e in esso io ti riconosca e ti lodi.
O
santità infinita, per i meriti del nostro Salvatore Gesù Cristo, per il
suo sangue e la sua morte, io mi volgo a Te, mi getto nella tua fiamma.
Per la sua resurrezione e la sua ascensione io elevo il mio volere a Te
e lo abbandono interamente in Te, perché tu faccia di lui ciò che tu
vuoi. Liberalo dal falso piacere, spezzagli le catene, perché egli
aspiri solo a Te.
O
forza santa di Dio, che stai nel cielo e sulla terra, e sei tanto vicina
ad ogni cosa, versati anche in me, perché io rinasca nuovamente in Te,
ed in Te rinverdisca e produca buoni frutti, come un tralcio della vite
del mio Salvatore Gesù Cristo, a tua lode ed eterna potenza.
O
porta di santità di Dio, risplendi nel tuo tempio del mio spirito,
perché io cammini nel tuo amore, e in ogni tempo ti celebri, e ti serva
in Santità e in giustizia, come tu vuoi, perché tu sei l'unico Dio,
Padre, Figlio e Santo Spirito, lodato e celebrato nell'eternità. Amen.
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