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Mistica.Blog
- Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
Il quietismo
Caravaggio,
Maddalena penitente, 1594-5, Roma, Galleria Doria Pamphilj
«Maria si è
scelta la parte migliore (Lc 10, 42). Che cosa ha scelto? La pace, la
tranquillità e il riposo. Ella cessa di agire in apparenza per lasciarsi
muovere dallo Spirito di Gesù Cristo. Ella cessa di vivere, affinché
Gesù Cristo viva in lei.»
Brani
scelti da: Guida spirituale
JEANNE
MARIE GUYON (1648-1717)
Brani
scelti da:
FRANÇOIS
DE SALIGNAC FÉNELON (1651-1715)
Brani
scelti da: Spiegazione delle massime dei santi sulla vita
interiore
Si
possono leggere i seguenti:
Il
Dizionario di mistica a cura di Luigi
Borriello, citato
nella pagina dei riferimenti bibliografici.
Jeanne
Guyon, Metodo semplice per l'orazione,
Gribaudi, Milano
1998
Madame
Guyon, La vita interiore (I torrenti - Il commento al Cantico
dei Cantici), Edizioni Segno, Udine 1998
François
de Salignac Fénelon, Spiegazione delle massime dei santi sulla
vita interiore, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002
Michele
de Molinos, Guida spirituale, a cura di Gherardo
Marone, UTET, Torino 1935
Miguel
de Molinos, Guida spirituale, a cura di
Gabriele Perrotti e Veronica Vitale, Leo S. Olschki Editore, Firenze
2007
Ci
riferiamo in questa pagina al quietismo come al movimento
spiritualista che si sviluppa fra la seconda metà del Seicento e la prima
del secolo successivo. Il movimento si pone quasi sempre in relazione alla
mistica, sebbene alcuni autori preferiscano evitarlo. Parlandone in
termini generali, il quietismo è una tendenza spirituale che si
manifesta, con espressioni abbastanza simili, lungo tutta la storia della
spiritualità cristiana. Ma soltanto in un preciso momento assume tale
denominazione. Ed è pertanto doveroso restringere a quel momento la sua
trattazione.
Oltre
al movimento, si accennerà anche ad alcuni personaggi molto importanti
che sono stati riconosciuti appartenenti o comunque ispirati dallo stesso:
Miguel de Molinos (sicuramente il rappresentante più famoso del
quietismo), Jeanne Guyon e il vescovo François Fénelon.
Scopriremo un po' della loro vita, della loro esperienza spirituale e
leggeremo alcuni loro testi.
Origini e natura del quietismo
Esistono
alcuni dubbi sull'origine del quietismo: anzitutto, perché buona parte
della trattatistica di tipo spirituale (manuali e dizionari) lo
considerava come un fenomeno che si snodava lungo tutta la storia
dall'origine del cristianesimo fino al XVIII sec. Secondariamente, per la
vicinanza storica e di contenuto col movimento spagnolo degli Alumbrados.
Gli Alumbrados (= Illuminati) erano coloro i quali, a partire dal
1500 si radunavano per esercizi di pietà; in tali assemblee o riunioni
dichiaravano la luce che fu data a san Paolo e sostenevano che tutti
potevano essere illuminati, ed è per questo che furono chiamati in quel
modo. Successivamente, il popolo dette a questo nome e a coloro che lo
incarnavano una valenza negativa al punto che sarà assunto
dall'Inquisizione come eresia mistica. Il nucleo centrale dell'alumbradismo
si costituisce in quattro tesi:
1)
l'amore di Dio nell'uomo è Dio stesso;
2)
occorre lasciarsi andare, abbandonarsi a questo amore;
3)
questo amore comanda l'uomo tanto da renderlo impeccabile;
4)
arrivando a questo stato non c'è più che il merito.
Quindi,
gli Alumbrados (soprattutto quelli che gravitavano a Toledo)
preconizzavano una unione tra Dio e l'uomo, che era identità totale,
essenziale; l'eliminazione di ogni mediazione (Cristo, Chiesa, sacramenti,
strutture) era la logica conseguenza. La caduta, infine, di tutte le
barriere etiche (l'impeccabilità) poteva inoltre alimentare una condotta
sfrenata.
Oggi
si è inteso circoscrivere piuttosto il fenomeno del quietismo nella
seconda parte del sec. XVII e la prima parte del sec. XVIII. Quali sono i
tratti caratteristici del quietismo? Ci è di aiuto quanto scritto da Eulogio
Pacho, nella voce "Quietismo" del Dizionario di mistica
citato in
Bibliografia (pp. 1053-5).
Anzitutto,
il fatto che gli autori e i personaggi si muovono in un clima e in un
ambiente tipicamente mistico e concentrano la loro attenzione nella
spiritualità personale di raccoglimento (interiorità). La più
caratteristica modalità di vivere questa spiritualità è la c.d. contemplazione
di quiete (da cui il termine quietismo). Ha il suo equivalente nella
contemplazione di fede, di silenzio interiore, degli affetti,
dell'attenzione amorosa. In consonanza con questo punto di partenza il
quietismo si presenta come un metodo o cammino sicuro e veloce per
raggiungere la perfezione.
Consiste
fondamentalmente in un processo di interiorizzazione nel quale lo
sforzo personale della meditazione e dell'attività personale deve
andare diminuendo fino praticamente a scomparire, essendo sostituito
dalla contemplazione ogni volta più pacifica e spontanea della
quiete. L'attenzione dell'anima della persona che si incammina in questa
direzione, così come quella del direttore spirituale che la segue, devono
porsi in modo da non disturbare l'azione divina, lasciando che Dio svolga
la sua opera, ovviamente in maniera più efficace di qualunque sforzo
umano. L'atteggiamento di quiete, ricettività e passività è
dunque fondamentale. Lo sforzo umano deve concentrarsi sulla pratica delle
virtù e sulla purificazione delle passioni per non ostacolare l'opera
divina nell'anima. Si può anche ridurre l'attività delle opere
esteriori, delle pratiche devozionali e degli esercizi ascetici.
Quando
si vuole raggiungere la perfetta quiete e l'attenzione dello spirito è
concentrata in Dio, è segno che si è arrivati al totale abbandono in
Dio con assoluta indifferenza rispetto ai propri interessi e ai
successi della vita. Importante, dunque, è non perdere questa passività
dinanzi all'azione di Dio.
L'unione
contemplativa con Dio può prolungarsi in maniera indefinita: non suppone
un'alienazione della persona né un'eliminazione delle sue necessità ed
espressioni vitali. Può coesistere con impulsi e sensazioni naturali o
corporali non controllabili dallo spirito. La responsabilità degli atti
in tali circostanze è praticamente nulla, per quanto non dipendente dalla
volontà.
La
dottrina quietista esplose, oltre che per alcuni che interpretavano questi
concetti in maniera cattiva, e per la corruzione morale di altri, con la
pubblicazione avvenuta nel 1675 della Guía espiritual di Miguel
de Molinos. La condanna di questo autore e del suo amico il card.
Petrucci nel 1687 indica il momento più drammatico di una lotta già
iniziata fra i quietisti (contemplativisti) e gli orazionisti (o
meditazionisti), specialmente gesuiti. per almeno venti anni vennero
rintracciati e distrutti scritti di impronta quietista. Alla fine del XVII
sec. ulteriori polemiche vennero suscitate dalla spiritualità di Madame
Guyon e di François Fénelon (appartenenti a quello che venne chiamato
"semiquietismo francese") che si contrappose a Bossuet.
I
contatti più diretti del quietismo con la mistica si devono individuare
nella tendenza a favorire la fenomenologia straordinaria (visioni,
estasi); amore di Dio sempre più libero dal proprio sentimento; contatto
con Dio ogni volta più profondo; minore coscienza della propria vita
virtuosa e maggiore indifferenza davanti alla ricompensa da parte di Dio.
Miguel de Molinos
Miguel de
Molinos Zuxia
(1628-1696)
Si
tratta sicuramente del rappresentante più famoso del quietismo,
nonostante la difficoltà, da parte della storiografia moderna, di
ricostruire il suo profilo più vero. Miguel de Molinos Zuxia nasce il
29 giugno 1628 a
Muniesa (Teruel) in Spagna. Educato alla fede cristiana, a diciotto anni si
trasferisce a Valencia e intraprende la carriera ecclesiastica grazie
ad un benefattore, Bernardo de Murcia, il quale gli permette di
studiare nel collegio gesuitico di San Paolo della stessa città.
Ordinato
sacerdote fra il 1649 e il 1652 esercita come cappellano di alcune religiose
e in alcune missioni popolari. Il 26 ottobre 1663 si reca a Roma
per occuparsi della causa di beatificazione del ven. Francisco Jerónimo Simón
de Rojas morto nel 1612 e lì comincia ad
acquistare fama di esperto direttore spirituale. La sua fama penetra
negli ambienti più esclusivi della Città eterna e sfrutta valide
amicizie nella Curia romana. Al fine di mettere a
tacere le voci e le accuse sui suoi insegnamenti e sulle sue pratiche
spirituali, pubblica nel 1675 la sua opera fondamentale, la Guía
espiritual.
Il
Santo Uffizio lo accusa di pericolose deviazioni e di gravi errori e
per questo viene detenuto e incarcerato nel giugno del 1685.
Due anni più tardi, alla fine del processo canonico, i suoi libri e
la sua dottrina vengono condannati con la bolla Coelestis Pastor
del 20 novembre 1687. Molinos effettua una solenne
ritrattazione e il Santo Uffizio lo condanna al carcere perpetuo.
Muore il 29 dicembre 1696.
Molinos
insiste con forza nel fatto di non essere un autore originale: la maggior
parte delle sue pagine è costituita da citazioni di maestri antichi o
contemporanei (tra cui Giovanni Falconi di Bustamante) che hanno
ricevuto il beneplacito della gerarchia. Dai documenti processuali risulta
pertanto che i suoi scritti in realtà non contengono affermazioni
pericolose o gravi errori. Piuttosto, le testimonianze hanno riguardato la
sua condotta morale, per cui il giudizio globale è stato gravemente
compromesso.
Nei
suoi scritti egli prende dagli autori classici del secolo precedente e
specialmente dalla scuola teresiana, e concentra il suo
insegnamento sulla contemplazione come chiave del progresso
spirituale. Nessun altro cammino è tanto sicuro, rapido ed efficace per
questo progresso come quello del raccoglimento interiore, del silenzio
interiore, della pace sicura e della contemplazione. Si entra nel cammino
interiore del raccoglimento o del silenzio interno e mistico con la
meditazione, che è bene superare prima possibile per avanzare sulla via
contemplativa. La via contemplativa comprende due tappe: una attiva o
acquisita, possibile a tutti, però imperfetta; l'altra, infusa o passiva,
è dono gratuito di Dio ed è concessa a coloro che vi si dispongono in
maniera conveniente.
Il
requisito essenziale per arrivare alla tranquilla e pacifica
contemplazione è la negazione del gusto sensibile e dell'amor proprio e
in questa opera entra anche Dio, che purifica coloro che intende
unire a sé, attraverso martiri spirituali. Il direttore spirituale,
afferma Molinos, gioca un ruolo significativo: egli non necessita solo di
scienza, ma anche di esperienza e di chiamata divina a questo ruolo. A
proposito della mistica, egli afferma:
«La
scienza mistica non è di ingegno, ma di esperienza; non è inventata,
ma provata; non letta, ma ricevuta e così è sicurissima ed efficace,
di grande aiuto e frutto pieno. La scienza mistica non entra nell'anima
per l'ascolto né per la continua lezione dei libri, ma per la libera
infusione del divino Spirito. Questa non è scienza teorica, ma pratica
e supera con grandissimo vantaggio le più avvertite ed esperte
speculazioni.»
Il
cammino della mistica è diretto per arrivare all'unione con Dio e sono
molte le anime, secondo Molinos, chiamate a lui, però non lo raggiungono
se si accontentano della meditazione o se si fermano ad essa.
BREVE
ANTOLOGIA DI MIGUEL DE MOLINOS
tratta
da: Guida Spirituale
MEDITAZIONE
E CONTEMPLAZIONE
Due
modi vi sono per andare verso Dio: l’uno per riflessione e ragionamento,
l’altro per purezza di fede, conoscenza indistinta, generale e confusa.
Il primo si chiama meditazione, il secondo raccoglimento interiore o
contemplazione acquisita. Il primo è dei principianti, il secondo dei
colti; il primo è sensibile e materiale, il secondo più nudo, puro e
interiore.
Quando
l’anima è già abituata a ragionare di misteri, accompagnandosi con la
fantasia e servendosi di immagini corporali, essendo tratta da creatura a
creatura e da conoscenza a conoscenza (avendone assai scarsa di quella che
desidera) e da queste al Creatore, allora suole Dio prenderla per mano –
se non avviene che la richiami ai principi e l’avvii senza discussione
per il cammino della pura fede – e facendo che l’intelletto si lasci
dietro tutte le considerazioni e i ragionamenti, la tira innanzi e toglie
da quello stato sensibile e materiale, e fa che, sotto una semplice e
oscura notizia di fede, aspiri solo con le ali dell’amore al suo Sposo,
senza che abbia bisogno per amarlo di persuasioni e informazioni
dell’intelletto, perché in tal modo sarebbe molto costoso il suo amore,
molto dipendente dalle creature, molto a gocce, e codeste cadute a
intervalli, lente.
Quanto
meno dipenderà dalle creature e più si appoggerà solo a Dio e al suo
segreto insegnamento, mediante la fede pura, più saldo, duraturo e forte
sarà l’amore. Dopo che l’anima ha acquistato la conoscenza che le
possono dare tutte le meditazioni e le immagini corporali delle creature,
se ora il Signore la trae da quello stato, privandola del ragionamento,
lasciandola nella divina tenebra, perché avanzi per il cammino diritto e
per la fede pura, si lasci guidare e non domandi amore con la scarsezza e
povertà che esse le insegnano, ma supponga che è niente quanto tutto il
mondo e i più fini concetti degli intelletti più savi le possano dire, e
che la bontà e la bellezza del suo amato trascende infinitamente tutto il
suo sapere, persuadendosi che tutte le creature sono troppo ignoranti per
informarla e trarla alla verace conoscenza del suo Dio.
AMARE
SENZA CONOSCERE
Deve,
quindi, avanzare col suo amore lasciandosi dietro tutte le sue conoscenze.
Ami Dio come è in sé e non come glielo presenta e forma la sua
immaginazione; e se non lo può conoscere come è in sé, lo ami senza
conoscerlo, sotto i velami oscuri della fede, alla guisa di un figlio che
mai vide suo padre, per quel che di lui gli hanno riferito, e a cui
profondamente crede, lo ama come se già lo avesse veduto.
L’anima
cui si è tolto il ragionamento, non deve violentarsi, né cercare per
forza notizia più chiara e particolare, ma senza gioghi né aiuti di
conforto o notizie sensibili, con povertà di spirito e vuotezza di tutto
quanto il suo naturale appetito le chiede, restar quieta, ferma e
costante, lasciando operare il Signore, anche se si veda sola, arida e
piena di tenebra, perché sebbene le sembrerà oziosità, essa è solo
della sua semplicità e materiale attività, non di quella di Dio, il
quale sta suscitando in essa la scienza vera.
Diranno
che la volontà non amerà, ma se ne starà oziosa se l’intelletto non
capisce con precisione e chiaramente; perché è accertato principio che
non si può amare se non ciò che si conosce. A ciò si risponde che anche
se l’intelletto non conosca distintamente, mercè ragionamento, immagini
e considerazioni, intende e conosce in virtù della oscura fede, generale
e confusa, la cui conoscenza, sebbene così oscura, indistinta e generale,
poiché è soprannaturale, è più chiara e perfetta conoscenza di Dio di
qualunque nozione sensibile e particolare che in questa vita si possa
formare, perché ogni immagine corporale e sensibile dista da Dio
infinitamente.
LA
VERA CONOSCENZA DI DIO
«Più
perfettamente – dice san Dionisio – conosciamo Dio per negazioni che
per affermazioni». «Più altamente sentiamo Dio sapendo che è
incomprensibile, e al di sopra di ogni nostra intelligenza, che
conoscendolo sotto qualche immagine e bellezza creata, e intendendolo a
nostro grossolano modo» (Mistica
Theolog., cap. I, § 2). È perciò che maggiore stima e amore si
genera da questo modo confuso, oscuro e negativo, che da qualunque altro
sensibile e distinto; perché quello è più proprio di Dio e nudo di
creature, e questo, al contrario, quanto più dipende dalle creature,
tanto meno tiene di Dio.
Quando
già l’anima conosce la verità, sia per l’abitudine che ha acquistata
nei ragionamenti o perché il Signore le ha data particolare luce, e
quando ha fissi gli occhi dell’intelletto in codesta verità,
guardandola semplicemente, con quietudine, calma e silenzio, senza bisogno
di considerazioni, né di discorsi, né d’altre prove per convincersi; e
la volontà sta amando, meravigliandosi e godendo di essa; questa si
chiama propriamente orazione di fede, di quiete, raccoglimento interiore o
contemplazione.
La
quale, dicono san Tommaso e tutti i maestri mistici, «è una visione
ingenua, soave e quieta della eterna verità, senza ragionamento, né
riflessione». Ma se si rallegra o guarda gli effetti di Dio nelle
creature, e tra quelle, nell’umanità di Cristo, come più perfetta di
tutte, questa non è perfetta contemplazione, secondo prova San Tommaso,
poiché tutte quelle sono mezzi per conoscere Dio come è in sé; e
sebbene l’umanità di Cristo sia il mezzo più santo e più perfetto per
giungere fino a Dio, e il supremo strumento della nostra salvezza, e il
canale attraverso il quale riceviamo tutto il bene che speriamo, con tutto
ciò, l’umanità non è il sommo bene, il quale consiste nel vedere Dio.
Ora, poiché Gesù Cristo è tale più per la sua divinità che per la sua
umanità, così chi pensa e guarda sempre a Dio, – come la divinità è
congiunta alla umanità – sempre guarda e pensa a Gesù Cristo; e
maggiormente il contemplativo nel quale la fede è più ingenua, pura ed
esercitata.
IL
RAGGIUNGIMENTO DELLA QUIETE
Sempre
che si raggiunge il fine cessano i mezzi e, giungendo in porto, la
navigazione. Così l’anima, se, dopo essersi affaticata nella
meditazione, giunge alla quiete, alla calma e al riposo della
contemplazione, deve allora ridurre i ragionamenti e riposare quieta con
sollecitudine amorosa e ingenua visione di Dio, guardandolo e amandolo,
respingendo con soavità tutte le immaginazioni che gli si offrono,
acquietando l’intelletto in quella divina presenza, raccogliendo la
memoria, fissandola tutta in Dio, appagandosi della conoscenza generale e
confusa che di Lui possiede in virtù della fede, applicando tutta la sua
volontà nell’amarlo, dove ha fondamento tutto il frutto.
Dice
San Dionisio (Mistica Theol.):
«In quanto a voi, carissimo Timoteo, applicandovi seriamente alle
mistiche speculazioni, lasciate i sentimenti e le operazioni
dell’intelletto, tutti gli oggetti sensibili e intelligibili e
universalmente tutte le cose che esistono e quelle che non esistono, e in
un modo conosciuto e ineffabile, per quanto all’uomo è possibile,
sollevatevi verso la unione con Colui che è al di sopra di tutta la
natura e la conoscenza». Fin qui il Santo.
Dunque
occorre abbandonare ogni essere creato, tutto ciò che è sensibile, tutto
ciò che è intelligibile, affettivo, e finalmente tutto quel che è e
quel che non è, per sommergersi nell’amoroso seno di Dio, perché egli
ci restituirà tutto ciò che avremo lasciato, insieme a nuova forza ed
efficacia per amarlo più ardentemente; il cui amore ci manterrà in
questo santo e felice silenzio, che vale più di tutti gli atti insieme.
Dice San Tommaso: «È molto poco quel che l'intelletto può attingere di
Dio in questa vita; ma è molto quel che la volontà può amarne».
Quando
l'anima giunge a tale stato, deve raccogliersi dentro se stessa, nel suo
puro e profondo foro, dove si trova l'immagine di Dio. Là sono
l'attenzione amorosa, il silenzio, l'oblio di tutte le cose,
l'applicazione della volontà con perfetta rassegnazione, ascoltando e
conversando con Lui così da soli, come se in tutto il mondo non
esistessero altri che loro due.
Giustamente
dicono i Santi che la meditazione opera con travaglio e con frutto; la
contemplazione senza fatica, con serenità, pace, diletto e molto maggior
frutto. La meditazione semina e la contemplazione raccoglie; la
meditazione cerca e la contemplazione trova; la meditazione rumina il
cibo, la contemplazione lo gusta e se ne nutrisce.
IL
SILENZIO INTERIORE E MISTICO
Tre
sono le modalità per il silenzio interiore: la prima è di parole, la
seconda di desideri e la terza di pensieri. Nella prima, di parole, si
raggiunge la virtù; nella seconda si consegue la quiete e nella terza
l'interiore raccoglimento. Non parlando, non desiderando, non pensando si
giunge al vero e perfetto silenzio mistico, nel quale Dio parla all'anima,
si comunica e le indica nel suo più intimo fondo la più perfetta e alta
sapienza.
A
questa interiore solitudine e silenzio mistico chiama e conduce l'anima
quando le dice che le vuole parlare da sola, nel più segreto e intimo del
cuore. In questo silenzio mistico devi entrare se vuoi udire la soave,
interiore e divina voce. Non ti basta fuggire dal mondo per raggiungere
questo tesoro, né rinunciare ai suoi desideri, né distaccarti da tutto
il creato, se non ti distacchi da ogni desiderio e pensiero. Riposa in
questo mistico silenzio e aprirai la porta perché Dio ti si comunichi, ti
unisca a sé e ti trasformi.
La
perfezione dell'anima non consiste nel parlare, né nel pensare molto a
Dio, ma nell'amarlo molto. Si raggiunge questo amore per mezzo della
rassegnazione perfetta e del silenzio interiore. Tutto è opera; l'amore
di Dio ha poche parole.
L'UOMO
ESTERIORE E L'UOMO INTERIORE
Vi
sono due tipi di persone spirituali: le une interiori, esteriori le altre.
Queste cercano Dio da fuori, per mezzo del discorso, immaginazione e
considerazione; procurano con grande sforzo, per raggiungere le virtù,
molte astinenze, macerazione del corpo e mortificazione dei sensi; si
abbandonano alla rigorosa penitenza, si vestono di cilici, castigano la
carne con discipline, procurano il silenzio e portano la presenza di Dio,
formandoselo presente nella loro idea o immaginazione, ora come pastore,
ora come medico, ora come amoroso padre e signore; si deliziano a parlare
continuamente di Dio, facendo molto spesso ferventi atti di amore, e tutto
ciò è arte e meditazione.
Per
questa via desiderano d'essere grandi a forza di volontarie ed esteriori
mortificazioni; vanno in cerca dei sensibili affetti e fervorosi
sentimenti, sembrando loro che solo quando li posseggono risiede Dio in
essi.
Questo
è cammino esteriore e da principianti, e quantunque sia buono, non si
arriverà mai per esso alla perfezione, né vi si darà un passo, come
dimostra l'esperienza in molti, che dopo cinquant'anni di questo esteriore
esercizio si trovano vuoti di Dio e pieni di se stessi e di spirituali
hanno soltanto il nome.
Vi
sono altri veri spirituali che sono passati per i principi dell'interiore
cammino che quello che conduce alla perfezione ed unione con Dio, al
quale li chiamò il Signore per la sua infinita misericordia da quel
cammino esteriore nel quale si esercitarono dapprima. Costoro, raccolti
nell'interno delle proprie anime con vero abbandono nelle mani divine, con
oblio e totale nudità anche di se stessi, vanno sempre con spirito
sollevato alla presenza del Signore, per fede pura e senza immagine,
forma, né figura, ma con grande sicurezza fondata sulla tranquillità
interiore e sulla quiete, nel cui infuso raccoglimento attira lo spirito
con tanta forza da far rifugiare là dentro l'anima, il cuore, il corpo e
tutte le corporali forze.
Jeanne Guyon
Jeanne
Marie Guyon
Bouvier de la Motte
(1648-1717)
Nasce
nel 1648 a Montargis (Parigi) dal secondo matrimonio dei suoi
genitori, entrambi vedovi e con altri figli. Vive un'infanzia difficile
nell'ambiente familiare e viene spesso affidata ad istituti monastici
(orsoline, benedettine, domenicane).
Forse per sfuggire a ciò, sposa a
soli quindici anni un uomo più vecchio di lei, Jacques Guyon, ricco
possidente. Rimasta vedova con tre figli, a ventotto anni comincia a
vivere con intenso trasporto una vita interiore cui già si era
sentita attratta negli anni del matrimonio. Da allora infatti aveva
coltivato una vita di preghiera e di meditazione.
Donna molto colta,
anche influenzata dal suo direttore spirituale p. F. Lacombe, comincia a scrivere libri con un serio intento apostolico e
diviene ispiratrice di molte anime ad una vita interiore fondata sull'orazione
semplice. Alcuni suoi libri, per un presunto semiquietismo, e in forza del
clima teso di quegli anni, le valgono persecuzioni, processi, l'esilio e
perfino la detenzione.
Viene
difesa da Fénelon (v. oltre) ed avversata da Bossuet. Lei, comunque,
si proclama sempre innocente e sempre si sottomette all'autorità della
Chiesa, che alla fine la scagiona completamente. Scrive nella sua vita
vissuta fino al 1717 moltissime opere
(si parla di 40 volumi su argomenti anche disparati). In particolare, sono
importanti i seguenti:
Metodo
semplice per l'orazione
(Le
moyen court et autres écrits spirituels, pubblicato per la prima
volta a Grenoble nel 1685), in cui introduce il lettore all'orazione
interiore, invitandolo all'ascolto di Dio presente in ogni anima;
Torrenti
spirituali
(Les torrents spirituels, pubblicato per la prima
volta nel 1682), che costituisce il seguito della prima opera e che
invita tutti ad andare più avanti nel cammino interiore verso Dio;
Commento alla
Sacra Scrittura
(in 20 libri) e in particolare il Commento mistico al Cantico dei
Cantici (Commentaire au Cantique des cantiques de Salomon,
pubblicato nel 1688), in cui si propone di condurre l'anima, nutrita con
l'orazione, svuotata di ogni volontà propria e bruciata dall'amore
divino, alle nozze spirituali o "unione essenziale" in cui Dio diviene
il principio delle azioni e delle parole di quest'anima;
Poesie
spirituali
(in 5 libri) ed un'Autobiografia (Vie de
Madame Guyon, ecrite par elle-même, pubblicata in 3 volumi a Parigi,
nel 1791).
Capisaldi
della sua spiritualità sono il puro amore di Dio e l'abbandono alla
divina volontà al fine di giungere all'unione con Dio mediante
l'annientamento di sé (aspetto negativo, di purificazione) e di docile
sottomissione all'azione dello Spirito Santo (aspetto positivo, di
elevazione). Nell'opera Torrenti, Guyon parla di tre tappe, in cui
si dovrebbe sviluppare la vita spirituale di un'anima: ruisseaux
(meditazione), fleuves (orazione semplice o semplificata), torrents
(contemplazione attiva e passiva). Solo in quest'ultima fase si
raggiunge il culmine dello stato mistico. Ella afferma anzitutto che non
si può raggiungere Dio con la sola razionalità e l'orazione deve essere
più opera del cuore che della testa. le pratiche devozionali sono
positive, ma non occorre viverle con spasimi o ambizioni velleitarie o
aspirazioni inadatte. L'agire è importante e occorre determinazione in
ciò, ma non in quanto sforzo intellettuale, quanto piuttosto come
risposta ad una mozione che viene dall'alto.
Guyon,
che peraltro non conosceva né la persona né l'opera di Molinos, si
ispira sicuramente a Francesco di Sales e ad altri importanti
personaggi spirituali che l'hanno preceduta. L'accusa di quietismo,
avanzata da Bossuet, era probabilmente una sorta di ricatto nei
suoi confronti dovuta alla sua decisione di non dare in sposa (con
relativa cospicua dote) una sua figlia al nipote dell'allora arcivescovo
di Parigi François de Harlay de Champvallon. Sembra che il prelato
non si fece scrupolo di ricorrere a calunnie, false denunce e addirittura
falsificazioni di scrittura, pur di raggiungere il suo scopo.
BREVE
ANTOLOGIA DI MADAME GUYON
Metodo
semplice per
l'orazione Brani scelti
«Tutti
sono adatti all'orazione ed è una disgrazia terribile che quasi tutti si
mettano in mente di non esservi chiamati. Siamo tutti chiamati
all'orazione, come tutti siamo chiamati alla salvezza. L'orazione non è
altro che affetto del cuore e amore. Amare Dio, occuparsi di lui è cosa
assolutamente necessaria. Convengo, però, che non tutti possono meditare
e pochissimi vi sono adatti. Così non è questa l'orazione che Dio
chiede, né quella che si vuole da voi. Bisogna dunque imparare a fare
un'orazione che possa farsi in ogni tempo, che non distolga dalle
occupazioni esteriori, che tutti possano fare. Non è l'orazione della
mente, ma l'orazione del cuore. Non può essere un'orazione di pensiero,
perché lo spirito dell'uomo è così limitato che se pensa a una cosa,
non può pensare a un'altra. Ma è l'orazione del cuore, quella che non
può essere interrotta dalle occupazioni dello spirito. Nulla può
interrompere l'orazione del cuore se non gli affetti sregolati. E quando
una volta si è gustato Dio e la dolcezza del suo amore, è impossibile
gustare altra cosa che lui. Nulla è così facile come l'avere Dio e
gustarlo. Egli è più presente in noi di noi stessi. Ha più lui il
desiderio di donarsi a noi che noi di possederlo. Solo la sua ricerca è
facile e naturale quanto l'atto del respirare.
Vi
sono due modi per introdurre le anime nell'orazione: uno è la
meditazione, l'altro la lettura meditata. La lettura meditata non consiste
in altro che nel prendere alcune verità forti per la speculazione e la
pratica, leggerne due o tre righe, digerirle e gustarle, cercando di
coglierne il succo e di rimanere fermi su ciò che si sta leggendo
fino a quando vi si trova gusto e non passare oltre fino a che quel punto
non sia diventato insipido. Non è la quantità della lettura che porta
giovamento, ma il modo di leggere. L'altro mezzo è la meditazione: dopo
essersi messi alla presenza di Dio con un atto di fede viva, bisogna
leggere qualche cosa di sostanzioso e soffermarcisi dolcemente, non con il
ragionamento ma solo per fissare lo spirito, ricordando che l'esercizio
principale deve essere la presenza di Dio, e che il soggetto deve essere
piuttosto il fissare lo spirito che l'esercitarlo con il ragionamento.
Il
secondo grado di orazione è chiamato da alcuni contemplazione, da altri
orazione di semplicità. Quando l'anima si è esercitata per qualche
tempo, ella sente che a poco a poco le viene data la facilità di
affezionarsi a Dio. Ella comincia a raccogliersi più facilmente.
L'orazione le diviene più facile, dolce e gradevole. Capisce che è la
strada per trovare Dio e sente il profumo dei suoi unguenti. Non appena si
mette alla presenza di Dio con fede e si raccoglie, rimanga per un certo
tempo in questo stato in rispettoso silenzio. È di grande importanza che
l'anima vada all'orazione con coraggio, e che vi porti un amore puro e
privo di interesse. Che non vi vada mai per ottenere qualcosa da Dio, ma
solo per piacergli e fare la sua volontà. Un servitore infatti che non
serve il padrone che in vista della ricompensa, è indegno di essere
ricompensato. Andate dunque all'orazione non per voler godere di Dio, ma
per esservi com'egli vuole. Questo farà sì che sarete uguali nelle
aridità come nello stato di ricchezza e che non vi stupirete mai né dei
rifiuti di Dio né delle aridità.»
I
Torrenti Brani scelti
Quest'opera viene scritta di getto, come ispirata da Dio. La stessa
Madame Guyon ne riferisce affermando, nella sua autobiografia: «Quando
presi in mano la penna, non sapevo assolutamente quello che volevo
scrivere. Mi misi a scrivere senza sapere come e mi accorsi che tutto
scorreva con strano impeto. Quello che mi stupiva di più era che tutto
fluiva come dal fondo, senza passare dalla mente. Non ero abituata a
questo modo di scrivere. Scrissi tuttavia un intero trattato di tutta la
vita interiore sotto la metafora dei fiumi e dei torrenti. Sebbene sia
abbastanza lungo e il confronto sostenuto fino in fondo, non ho mai dato
forma ad un pensiero, né mai fatto attenzione a dove ero rimasta.
Nonostante le continue interruzioni, non ho mai riletto nulla, se non
verso la fine, quando ho dovuto rileggere una o due righe a causa di una
parola lasciata a metà. E, ancora, credetti di aver compiuto
un'infedeltà.»
«Quando
un'anima è stata toccata da Dio e la sua conversione è vera e sincera,
dopo la prima purificazione operata dalla confessione e dalla contrizione,
Dio le dà un certo istinto per tornare a lui in modo più perfetto e per
unirsi a lui. Questo istinto è dato ad alcune anime in modo molto forte e
ad altre meno, secondo i piani di Dio; ma tutte hanno un'impazienza
amorosa di purificarsi e di adottare le vie e i mezzi necessari per
tornare alla propria sorgente o origine, simili ai fiumi, che dopo essere
usciti dalle loro sorgenti, con una corsa continua vanno a precipitarsi in
mare. Lei sa anche che di tutti questi fiumi, alcuni hanno un'andatura
grave e lenta, altri più veloce; ma che vi sono fiumi e Torrenti che
corrono con un impeto spaventoso e che nulla può arrestare. Lo stesso
vale per le anime. Le une vanno dolcemente verso la perfezione e non
arrivano mai al mare o solo molto tardi, accontentandosi di perdersi in
qualche fiume più forte e più rapido che le trascina con sé in mare; le
altre, le seconde, vi vanno in modo più forte e più pronto delle prime.
Portano con sé anche molti ruscelli; ma sono lente e pigre in confronto
alle ultime, che si precipitano con tanto impeto, che non sono neppure
idonee per molte cose. Non si ha il coraggio di navigare su di loro, né
di affidare loro alcuna merce, se non in alcuni punti e in alcuni momenti.
Sono acque folli e temerarie che sbattono contro le rocce, che con il loro
rumore spaventano e che non si fermano davanti a nulla; le secondo al
contrario sono più gradevoli e utili: la loro gravità piace, sono
cariche di merci e vi si va senza timore e senza rischio.
Le
prime anime sono quelle che, dopo la loro conversione, si dedicano alla
meditazione, alle opere di carità; fanno qualche sacrificio esteriore;
infine cercano poco a poco di purificarsi, di correggere certi peccati
gravi, ed anche dei veniali involontari. Esse tendono, secondo le loro
povere forze, a progredire gradualmente, ma debolmente e poco.
Le
secondo anime sono come quei grandi fiumi che procedono a passi lenti e
gravi. Esse scorrono con pompa e maestà. Il loro corso si distingue, ha
un ordine. Sono cariche di merci e possono arrivare direttamente al mare
senza unirsi ad altri fiumi; ma non vi arrivano che tardi, essendo la loro
andatura grave e lenta. Inoltre, ve ne sono alcune che non vi arrivano mai
e la maggior parte si perde in altri fiumi più grandi, oppure sfociano in
qualche braccio di mare. Queste sono le anime che si trovano nella via
passiva della luce. La loro sorgente è molto abbondante. Sono cariche di
doni, di grazie e di favori celesti.
Per
le anime del terzo grado, che cosa possiamo dire, se non che sono come dei
torrenti che escono da Dio stesso e che non hanno un attimo di riposo
senza che siano perdute in lui? Nulla le ferma. Così non portano alcun
carico. Sono completamente spoglie e procedono a una velocità che fa
paura ai più arditi. Questi torrenti scorrono senza alcun ordine, come
folli, qui e là, ovunque trovino luoghi adatti a creare loro un
passaggio. Non hanno né il loro letto regolare, come gli altri, né
un'andatura secondo l'ordine. Li vedete correre ovunque loro capiti, senza
fermarsi a nulla. Si spezzano contro le rocce. Fanno delle fragorose
cadute. S'insudiciano, a volte, passando per terre non solide, e
trascinandole a causa della loro rapidità. A volte si perdono in burroni
ed abissi, per cui per un po' non si trovano più; poi riappaiono, ma solo
per precipitarsi di nuovo in un'altra voragine più profonda e più lunga.
Ma finalmente, dopo molti precipizi e molti abissi, dopo essersi perduti e
ritrovati, dopo essere stati ben sbattuti dalle rocce, si rincontrano in
mare, dove si perdono felicemente, per non ritrovarsi più. Ed è là che
questo torrente, quanto più è stato povero, misero, inutile e spoglio di
merci, tanto più viene meravigliosamente arricchito. Esso non è infatti
ricco della sua ricchezza, come gli altri fiumi, che non contengono che
una certa quantità di merce o certe rarità; ma è ricco delle ricchezze
del mare stesso. Esso porta su di sé le navi più grosse. È il mare che
le porta, e questo torrente con il mare, poiché essendo perduto in lui,
è diventato una stessa cosa con lui.»
François Fénelon
François de Salignac Fénelon (1651-1715)
Nasce
da una famiglia nobile ai primi del 1651. Frequenta
l'Università e si forma con studi umanistici e filosofici. Ordinato
sacerdote nel 1677, inizia il suo ufficio di predicatore.
Conosce e diventa amico di Bossuet. Nel 1688 incontra per la
prima volta Madame Guyon al castello di Beynes. Altri incontri li
avrà l'anno successivo, e da questi nascerà una grande
amicizia.
Nel
1693 è accademico di Francia e nel 1695 viene
consacrato vescovo di Cambrai, alta carica che comunque gli viene
attribuita per liberarsi di lui e in particolare per evitare che venga
nominato (cosa molto probabile) arcivescovo di Parigi. Scrive alcuni
libri di formazione pedagogica, molto importanti e all'avanguardia per
i suoi tempi.
Nel
suo libro Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore,
pubblicato nel 1697, entra nella polemica con Bossuet
difendendo le tesi di Jeanne Guyon. Il 12 marzo 1699, il papa
Innocenzo XII emana il breve Cum alias ad apostolatus, in cui
si censurano 23 proposizioni tratte dal libro. Questo atto completò
l'opera di rimozione della mistica dal centro della vita cristiana che
si era iniziata pochi anni prima con il processo e la condanna di
Miguel de Molinos.
Fénelon
comunica di essersi sottomesso alla decisione del papa, il quale non
solo emette un Breve estremamente elogiativo nei suoi
confronti, ma addirittura avrebbe voluto, condizionamenti politici
permettendo, nominarlo cardinale. Ritirato nella diocesi di Cambrai,
il vescovo Fénelon vi morì il 7 gennaio 1715, dopo aver
distribuito, nel corso di questi ultimi anni, tutti le sue cospicue
rendite ai poveri della diocesi.
Nell'opera
più importante ai fini della trattazione del quietismo, Fénelon non fa
che riportare la tradizione cristiana in merito alla vita spirituale,
citando molti autori e non proponendo una propria dottrina. I temi
principali dell'opera Spiegazione delle massime dei santi sulla vita
interiore sono i seguenti:
quello
dell'indifferenza, ripreso dall'apátheia della
filosofia greca e pervenuto nel Medioevo cristiana attraverso l'opera
di Dionigi Areopagita, Evagrio del Ponto, Massimo il Confessore,
Gregori di Nissa e Cassiano. Così la descrive Fénelon: «Quando si
è fondato l'amore puro, che non ha più interesse per se stesso, che
non teme né spera più per se stesso né beni né mali eterni, che si
perfeziona per obbedire a Dio e non per l'interesse alla propria
perfezione, si è tagliata la radice di tutti i desideri. È la santa
indifferenza di san Francesco di Sales»;
fondo
dell'anima: giunta dai mistici renano-fiamminghi (Eckhart,
Taulero, Suso) è il luogo senza modo, abisso profondo senza
profondità in cui opera l'unione con l'essenza divina che deve essere
concepita come un "nulla" eterno.
Le
tesi qualificanti l'amore puro di cui si è fatto cenno e che è la
tematica principale dell'opera in questione, sono:
tutte
le vie interiori che portano alla perfezione tendono all'amore puro e
disinteressato;
le
prove incontrate nella via verso la santità sono finalizzate alla
purificazione dell'amore;
la
contemplazione, anche nella fase più elevata, non è altro che il
dolce esercizio di questo amore puro e disinteressato;
lo
stato più elevato della perfezione, quello che viene chiamato via
unitiva o stato passivo, non è che la pienezza di qu4esto
amore o stato abituale di questo amore.
Il
testo non è altro che un'interpretazione dei 34 articoli di Issy,
firmati il 10 marzo 1695. Tutto nasce dalla decisione di Madame Guyon di
farsi esaminare, attraverso i suoi scritti, al fine di mettere fine a
varie voci calunniose nei confronti di quello che pensava e dei suoi
costumi. Il testo dei 34 articoli di Issy tendeva a precisare alcuni
concetti ed era un compromesso fra tesi divergenti: da un lato Bossuet e
dall'altro Guyon, appoggiata da Fénelon. In quest'opera,
Fénelon si propone sia di difendere la Guyon, sia di confutare gli errori
quietisti, cui era profondamente avverso. In particolare, gli errori erano
la confusione delle tentazioni comuni con quelle delle prove estreme, la
confusione fra passività e inerzia, la credenza di una separazione intera
e durevole delle parti superiore e inferiore, l'idea che l'orazione di
quiete basti sempre contro la carne e che il peccato sia necessario per
procurare l'umiliazione.
Dopo
un importante Avvertimento, Fénelon espone i diversi amori con
cui si può amare Dio, riconducendoli a cinque:
un
amore servile per i doni di Dio distinti da lui;
un
amore di pura concupiscenza per il quale si ama Dio solo come mezzo
per ottenere la felicità;
un
amore di speranza nel quale il motivo della propria felicità prevale
ancora su quello della gloria di Dio;
un
amore in cui la carità è mescolata con l'interesse proprio;
un
amore puro o di perfetta carità.
A
ciò seguono quarantacinque articoli che trattano alcune materie tra cui:
l'abbandono, le prove, la mortificazione, l'orazione, la lettura, la
meditazione, la contemplazione, lo stato passivo, l'unione a Dio, le vie
interiori.
BREVE
ANTOLOGIA DI FRANÇOIS FÉNELON
tratta
da: Spiegazione delle
massime dei santi sulla vita interiore
Avvertimento
(Brano scelto)
«Tutte
le vie interiori tendono all'amore puro e disinteressato. Questo amore
puro è il più alto grado della perfezione cristiana. È il termine di
tutte le vie conosciute dai santi. Il disinteresse non può mai escludere
la volontà di amare Dio senza limiti né per quanto riguarda il grado né
per quanto riguarda la durata dell'amore; non può mai escludere la
conformità alla volontà di Dio, che vuole la nostra salvezza e che vuole
che noi la desideriamo con lui per la sua gloria. Questo amore
disinteressato, sempre inviolabilmente legato alla Legge scritta, compie
tutti gli atti ed esercita tutte le virtù distinte dell'amore
interessato, con l'unica differenza che le esercita in una maniera
semplice, pacata e lontana da ogni motivo di interesse personale. La santa
indifferenza tanto lodata da san Francesco di Sales non è che il
disinteresse di questo amore, che è sempre indifferente e senza volontà
interessata per se stesso, ma sempre determinato e desideroso in maniera
positiva di tutto ciò che Dio ci fa volere tramite la sua Legge scritta e
tramite l'attrazione della sua grazia. Per arrivare a questo stato bisogna
purificare l'amore, e tutte le prove interiori non sono che la sua
purificazione. Perfino la contemplazione più passiva non è che
l'esercizio pacato e uniforme di questo puro amore. Si passa
insensibilmente dalla meditazione, in cui si fanno degli atti metodici e
discorsivi, alla contemplazione, i cui atti sono semplici e diretti, nella
misura in cui si passa dall'amore interessato a quello disinteressato.»
Articolo
VIII, Vero "L'abbandono" (Brano scelto)
«La
santa indifferenza, che non è altro che il disinteresse dell'amore,
diventa nelle prove più difficili ciò che i santi mistici hanno chiamato
abbandono; cioè l'anima disinteressata si abbandona totalmente e
interamente a Dio per tutto ciò che riguarda il suo interesse proprio, ma
non rinuncia mai né all'amore, né a nessuna delle cose che riguardano la
gloria e la volontà del beneamato. Quest'abbandono non è altro che
l'abnegazione o rinuncia a noi stessi che Gesù Cristo ci chiede nel
Vangelo (Mt 16,24-25) dopo che abbiamo abbandonato tutto
all'esterno. Questa abnegazione di noi stessi non è relativa che
all'interesse proprio e non deve mai impedire l'amore disinteressato che
dobbiamo a noi stessi come al prossimo per amore di Dio. Le prove estreme
in cui questo abbandono deve essere esercitato sono le tentazioni con le
quali Dio geloso vuole purificare l'amore, facendogli vedere che non c'è
nessuna possibilità né speranza per il suo interesse proprio, neanche
eterno. Di solito è la resistenza segreta delle anime alla grazia con bei
pretesti, e il loro sforzo interessato e desideroso di conservare i
sostegno sensibili di cui Dio vuole privarle, a rendere le loro prove
così lunghe e dolorose: infatti Dio non fa soffrire la sua creatura per
farla soffrire inutilmente. Lo fa soltanto per purificarla e per vincere
le sue resistenze. Le tentazioni che purificano l'amore da ogni interesse
proprio non hanno niente a che fare con le altre tentazioni comuni.»
Articolo
XXX, Vero "Stato passivo"
(Brano scelto)
«Lo
stato passivo di cui tutti i santi mistici hanno tanto parlato, è passivo
come lo è la contemplazione passiva, cioè esclude non gli atti pacati e
disinteressati, ma soltanto l'attività o gli atti inquieti e solleciti
del nostro interesse proprio. Lo stato passivo è quello in cui un'anima,
non amando più Dio di un amore misto, fa tutti i suoi atti deliberati con
una volontà piena ed efficace, ma tranquilla e disinteressata. A volte fa
gli atti semplici e indistinti che chiamiamo quiete o contemplazione,
altre volte fa gli atti distinti delle virtù convenienti al suo stato. Ma
compie gli uni e gli altri in maniera ugualmente passiva, cioè pacata e
disinteressata. Questo stato è abituale, ma non completamente
invariabile. Giacché, oltre al fatto che può decaderne in maniera
assoluta, l'anima commette in questo stato delle colpe veniali. Questo
stato passivo non presuppone alcuna ispirazione straordinaria. Non
racchiude che una pace una docilità infinita dell'anima nel lasciarsi
muovere da tutti gli impulsi della grazia. Una piuma ben asciutta e molto
leggera, come dice Cassiano, è mossa senza resistenza dal minimo soffio
di vento e questo soffio la spinge in ogni senso con rapidità, mentre, se
fosse bagnata e appesantita, il suo peso la renderebbe meno mobile e meno
facile da sollevare. L'anima, nell'amore interessato che è il meno
perfetto, ha ancora una rimanenza di timore interessato che la rende meno
leggera, meno docile e meno mobile, quando il soffio dello spirito
interiore la spinge. L'acqua che è agitata non può essere chiara né
riflettere l'immagine degli oggetti vicini, ma un'acqua tranquilla diventa
come il vetro puro di uno specchio. Essa riflette senza alterazione tutte
le immagini dei differenti oggetti e non ne conserva alcuna.»
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