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Mistica.Blog - Pagine di mistica e spiritualità a cura di
Antonello Lotti
La mistica islamica (sufismo)
Danza dei
dervisci, Miniatura del XVI secolo
«Tutto il bene
che hai decretato per me in questo mondo, donalo ai tuoi nemici; e tutto
ciò che hai decretato per me nel paradiso, concedilo ai tuoi amici. Io
non aspiro che a te solo.»
Vedi
la
sezione
bibliografica di questo sito per la parte generale ed i seguenti, per una trattazione
specifica:
Seyyed
Hossein Nasr, Il Sufismo,
Rusconi, Milano 1975
TITUS BURCKHARDT, Introduzione alle
dottrine esoteriche dell'Islam, Edizioni Mediterranee, Roma 1987
L.Vittorio
Arena, Il Sufismo,
Mondadori, Milano 1996
Carl
W.Ernst, Il grande libro della sapienza sufi,
Mondadori,
Milano 2000
Gabriele
Mandel, Storia del Sufismo,
Rusconi, Milano 1995
Gabriele
Mandel, La via al Sufismo. Nella spiritualità e nella
pratica, Tascabili Bompiani, Milano 2004 [Nota: contiene
una Bibliografia aggiornata specifica in lingua italiana]
Giovanni
Filoramo (a cura di), Storia delle religioni. Islām,
Laterza, Bari 2005
WILLIAM C. CHITTIK, Il Sufismo (a
cura di Francesco Alfonso Leccese), Einaudi, Torino 2009
Antologie
e testi:
Rābi´a,
I detti di Rābi´a, Adelphi, Milano 1979
al-'Arabî
ad-Darqâwî, Lettere di un maestro sufi, Mondadori, Milano
1998
Ibn
'Atâ' Allâh, Sentenze e colloquio mistico (a cura
di Caterina Valdrè), Adelphi, Milano 1981
AL-HUSAYN
IBN MANSUR AL-HALLĀJ, Il Cristo dell'Islam.
Scritti mistici, Mondadori, Milano 2007
Idries
Shah, La strada del sufi, Ubaldini, Roma 1971
Idries
Shah, Cercatore di verità, Ubaldini, Roma 1995
Leonardo
Ancona (cur.), Il canto del derviscio,
Mondadori,
Milano 1993
Giuseppe
Scattolin, Esperienze mistiche
nell'Islam:
-
Vol.1:
I primi tre secoli, EMI, Bologna 1994
Gabriele
Mandel, La saggezza dei Sufi,
Rusconi, Milano 1999
(contiene una bibliografia adeguata)
AA.VV.,
Salmi Sufi. Canti della spiritualità musulmana, Icone, Roma
2004
Nota
introduttiva e cenni di storia
La
parola Sufi deriva dall'arabo suf (= lana) e sta ad indicare
proprio la lana
usata per il rozzo vestiario indossata per secoli dagli asceti del Vicino
Oriente. Frequente è stata anche la proposta di far derivare la parola
dall'idea di "purezza" (safa') o dal sostantivo suffa,
che ricorda una categoria di poveri e pii personaggi che il Profeta aveva
ospitato sotto un portico (suffa) adiacente alla sua casa di
Medina. Secondo un'altra spiegazione i sufi sono stati chiamati così
perché sono, davanti a Dio, al primo rango (saff). L'attestazione
del termine è già sul finire dell'VIII secolo, in cui sufi indica
un devoto di Kufa e attorno alla metà del IX secolo compare l'uso di
definire con questa espressione coloro che si dedicavano con particolare
intensità alle discipline spirituali. Di poco successivo, il termine
arabo che traduciamo con Sufismo è tasawwuf
(grammaticalmente, il masdar di quinta forma della radice s-ù-f:
lana) il cui
significato è "il processo di diventare un sufi" o
"professare di essere un sufi". Άbd
al-Karim al-Qushayri definisce il Sufismo con queste parole (cfr. Carl
W.Ernst, op.cit., p. 40):
«Sufismo
è entrare in un comportamento esemplare e allontanarsi da un
comportamento spregevole. Sufismo significa che Dio ti fa morire a
te stesso e ti fa vivere in lui. Il Sufi è unico nell'essenza;
nulla lo cambia, né egli cambia alcunché».
e
ancora:
«Il
segno del vero Sufi è che egli si sente povero quando è ricco, è
umile quando ha potere, e resta nascosto quando ha fama. Sufismo
significa che non possiede nulla e che non sei posseduto da nulla.
Sufismo significa affidare l'anima a Dio altissimo per qualsiasi cosa
egli desideri. Sufismo significa afferrare le realtà spirituali e
rinunciare a quel che le creature possiedono. Sufismo significa
inginocchiarsi alla porta dell'Amato, anche se ti scaccia. Sufismo è
uno stato in cui le condizioni dell'umanità scompaiono. Sufismo è un
fulmine che illumina e divampa.»
Il
termine Sufi è comunque usato ormai ovunque nella letteratura del X sec.
Il movimento era in crescita e serviva ad identificarlo. Non è facile
ricostruire la storia della spiritualità e del misticismo islamico.
I
primi asceti dell'Islam sono ricordati intorno al VII sec. d.C.
Dopo la morte del Muhammad (632 d.C.) l'Islam si espande fino a
conquistare paesi e ricchezze. In un contesto di rivalità fra potere
e ricchezza di piccole fazioni, alcuni musulmani reagiscono
rifacendosi alla vita austera del Profeta e dei suoi primi compagni.
Si dedicano ad una vita ascetica, rinunciando alla vita mondana
presente nelle corti dei califfi e dei principi. Attraverso ritiri,
preghiere prolungate, digiuni, veglie, povertà, penitenze di vario
tipo, si riuniscono in piccoli gruppi o cenobi. Rappresentante di
questo periodo è al-Hasan al-Bashri (morto nel 728 d.C.). In questo
primo periodo, i Sufi si rifanno soprattutto al Corano e alla
tradizione del Profeta.
Nell'VIII
sec. i circoli ascetici continuano ad approfondire i temi
abbozzati nel periodo precedente e fra tutti comincia a prevalere il
tema dell'amore di Dio. La conoscenza di Dio non è tanto frutto della
ragione, quanto di un cuore puro (qalb). Fra i mistici di
questo periodo ricordiamo Rabi'a al-'Adawiyya.
Il
IX sec. è sicuramente il secolo del fiorire del Sufismo,
sebbene inizino da qui le dispute teologiche soprattutto con i sunniti,
l'ortodossia islamica trionfante di allora, la quale si fissa su
determinati canoni di interpretazione dei testi sacri, chiudendo ogni
possibilità di una ricerca personale, individuale. In questo periodo
viene martirizzato al-'Hallag. Oltre al tema dell'amore, ripreso ora
in termini altamente poetici, emergono altri temi, quali
l'annullamento del Sufi (fana'), il suo permanere in Dio (baqa'),
il tema del patto eterno fra Dio e le anime umane, il tema dello
scambio degli attributi fra Dio e l'uomo. Fra gli esponenti di questo
periodo ricordiamo: Du l-Nun al-Mishri (m. 859 d.C.), Harit
al-Muhasibi (m. 857), Abu Yazid al-Bistami (m. 874), Al-Nuri (m.
907), Al-Gunayd (m. 910), Al-Hallag (m. 922).
Nel
periodo fra il X e l'XI sec. troviamo molti esponenti di grande
rilievo culturale nel mondo islamico. Dopo la morte di al-Hallag, in
molti ambienti Sufi si avvertì la necessità di una revisione
dell'esperienza Sufi del passato soprattutto per chiarire i motivi
dello scontro con l'ortodossia ufficiale. Nasce una corrente di
apologetica del Sufismo, teso a giustificare la sua esistenza
all'interno della società islamica e rimettendolo nell'ordine di una
teologia imperante. Alcuni affermarono che il Sufismo era
l'espressione più pura ed autentica della fede islamica. Durante
questi secoli l'Islam completò la fissazione delle sue strutture
fondamentali di legge e di pensiero, stabilendo le letture possibili
del Corano, la raccolta degli hadith (detti e fatti della vita
del Profeta) autentici. Anche il Sufismo dunque si adegua al clima di
canonizzazione attraverso le forme di comunicazione letteraria. Furono
fissate in due: la forma dei trattati su di un soggetto particolare (risala)
e la forma della biografia (tabaqat). Fra gli esponenti di
questo periodo, ricordiamo: Abu l-Qasim al-Qushayri (m. 1074), autore
del "Trattato sulla scienza del sufismo" e Abu Hamid
al-Gazzali (m. 1111), autore del trattato sufi "La
rivivificazione delle scienze religiose".
Il
XIII sec. fu il dilagare dei Mongoli con una serie continua di
invasioni, distruzioni, annientamenti e uccisioni. Fu questo il secolo
in cui Jalal al-Din Rumi vive e scrive. Nel rifugiarsi in Turchia,
fonda l'Ordine Sufi dei Mevli (o Mevlevi), noti anche come i dervisci
giranti. Solo nel XV sec. vennero fondate le grandi
Congregazioni Sufi. Il Sufismo si espande alla penisola balcanica,
giunge in Indonesia e in Cina. Il periodo coloniale delle potenze
europee dal XVIII sec. al XIX sec. diede un colpo
mortale a tutto l'Islam e quindi anche al Sufismo
Terminologia
usata negli scritti
Alcuni
termini usati non solo nell'ambito Sufi che si possono incontrare nella
lettura dei testi sono i seguenti (per un glossario più esteso cfr. Gabriele
Mandel, Storia del sufismo, op.cit.):
abad: preeternità
'abid:
deriva da 'abd, schiavo, significa devoto oppure pio adoratore oppure
adoratore solitario
adab: rispetto delle regole
e delle convenzioni
'alim
[pl. ulama]: studioso, maestro di conoscenze religiose
àkhira: vita ultima
'àrif (pl. 'irfàn,
'àrifùn): iniziato, gnostico; colui che
possiede la conoscenza
'àshiq: amante, innamorato
baht: stupore
baqa':
è il risultato dell'annientamento di sé (fana': annullarsi,
sparire) per cui il Sufi sussiste in Dio soltanto come nuova modalità
di esistenza
bast: esansione; uno stato
spirituale
batin:
indica ciò che è interno, nascosto, ad es., per indicare il senso
profondo e interiore del testo sacro
dhàkir: colui che esegue il
dhikr (v.), l'invocante
dhikr (pronuncia:
zikr):
ricordo, ricordare, è l'esercizio della ripetizione continua del nome
di Dio e delle espressioni del Corano. Rammemorazione Logos, esercizio
spirituale in cui si porta all'immagine intima la presenza o la
realtà di Dio. Esercizio complesso (pronuncia-invocazione ritmica di
Nomi divini, e iperossigenazione dei ventricoli cerebrali)
dhull: stato di
abbassamento
faqir,
fakir, derwish: povero; il Sufi è il povero non solo perché non
possiede nulla, ma soprattutto perché non possiede il suo stesso
essere che egli riceve continuamente da Dio
fiqh: diritto musulmano,
legge religiosa
ghaib:
assenza, il mistero, ciò che è nascosto, propriamente di Dio che è il
Mistero assoluto
ghalaba: impresa;
rapimento, estasi
ghayb: mondo nascosto;
mistero divino
ghinà: ricchezza
hikma:
maestro della sapienza metafica
hakìm (pl.
hukamà):
saggio, sapiente
hàl (pl. ahwàl):
stato spirituale momentaneo; esperienza mistica; illuminazione
transitoria; estasi indottrinante
hubb:
amore, intendendo l'amore puro ed assoluto per Dio solo con esclusione
di ogni altro fine
ikhlas:
retta e pura intenzione, in quanto il Sufi deve dirigere la sua
intenzione a Dio solo con esclusione di ogni altro intento, anche se
buono
'ilm:
apprendimento religioso
jadhb:
forza di attrazione dell'energia divina
karamat:
grazie, miracoli
majdhub:
lett. ebbri, quanti sono in preda all'estasi; si usa anche il termine:
muwallih, rapito in estasi
ma'rifa:
conoscenza speciale, o gnosi che trascende la razionalità quotidiana;
il depositario di questa conoscenza viene chiamato 'arif,
gnostico o conoscitore, si dice del Sufi perché possiede la
conoscenza immediata di Dio
mawlana:
lett. "il nostro maestro", è riferito ai Sufi e agli
studiosi della religione
mukhasaba:
esame di coscienza
mushahada:
visione, contemplazione. Alla fine del suo cammino, il Sufi giungerà
a vedere Dio in tutto e tutto in Dio: è questo l'atto della
contemplazione. La contemplazione del volto dell'Amato è aspirazione
di ogni Sufi, anche in questa vita
muhibb,
'ashiq:
amante anche col significato di amico: infatti, gli epiteti più
comuni per i mistici Sufi erano tratti dal vocabolario dell'amore e
dell'affetto
murid:
discepolo o aspirante (le aspirazioni vengono dette murad);
i discepoli migliori vengono scelti per fungere da successori o vicari
(khalifa) o da rappresentati del maestro (muqaddam)
tariqa:
via o sentiero; mentre il viaggio, usato come metafora dai Sufi viene
detto suluk, mentre il viaggiatore, anche in ambito spirituale,
è detto salik
salih:
giusto, santo; si usa anche il termine: wali [pl.
awliya']
shayk:
lett. vecchio, si usa per indicare il maestro
siddiq:
uomo sincero
wara':
osservanza scrupolosa nell'evitare cibi e doni contrari alla legge
zahid:
asceta, lett. "colui che prova disgusto"
zuhd:
indica l'ascetismo, la fuga dai piaceri del mondo; la persona ascetica
viene comunemente chiamata zahid (v.)
Si
seguiranno, per accennare alle basi del misticismo Sufi, alcune
indicazioni date da Seyyed Hossein Nasr, nel libro citato
nella
bibliografia di
questa pagina. Il libro di G.Mandel, La via al Sufismo, è
sicuramente più ampio ed articolato, anche se più tecnico e di difficile
comprensione per i più.
1.
LA PERENNITÀ DELLA RICERCA MISTICA
La
religione in generale e la ricerca mistica in particolare sono dati
permanenti quanto lo è l'esistenza umana, poiché l'uomo non può restare
uomo senza ricercare l'infinito e senza provare la necessità di
trascendere se stesso. Essere uomo significa appunto voler trascendere la
mera umanità. La ricerca mistica è perenne perché si trova nella natura
delle cose, e la società umana è sana nella misura in cui tale ricerca
è stata riconosciuta quale elemento basilare della vita della
comunità.
Quando
una collettività, o una società, non riconosce più limitato il numero
di coloro che seguono la vocazione alla via mistica, la collettività
stessa crolla per il peso della sua struttura o viene distrutta da
malattie psichiche che essa non è in grado di curare per il semplice
fatto di aver negato ai suoi membri l'unico cibo spirituale che può
saziarne l'anima. Alcuni uomini continueranno ancora a cercare e a seguire
la via mistica, ma la società alla quale appartengono non sarà più
capace di trarre totale beneficio dalla presenza illuminante di coloro
che, appunto per il fatto di ricercare quanto è sovrumano, permettono si
loro simili di rimanere almeno al livello umano, e provvedono la società
stessa degli unici veri criteri di valutazione della sua importanza e del
suo valore.
Il
Sufismo è una via posta da Dio allo scopo di offrire la possibilità di
una realizzazione spirituale ai credenti islamici. Il Sufismo è il
cammino che conduce dal particolare all'universale, dalla molteplicità
all'unità, dalla forma all'essenza sopraformale. La sua funzione è
quella di porre l'uomo nella condizione di realizzare l'unità divina, la
verità che è eterna. Svolge essenzialmente la funzione di ricordare
all'uomo chi egli è realmente, ossia di risvegliarlo da quel sogno che
egli definisce vita comune e di liberare la sua anima dai confini della
prigione illusoria dell'ego (che ha la sua controparte oggettiva in
ciò che si chiama, in termini religiosi, "mondo").
Il
Sufismo ricorda all'uomo che deve cercare dentro di sé quanto gli
abbisogna, deve strappare le proprie radici dal mondo esteriore e
immergerle nella natura divina che risiede nel centro del suo cuore. Il
Sufismo parla di tre elementi: della natura di Dio, della natura dell'uomo
e delle sue virtù spirituali, le uniche che rendono possibile la
realizzazione di Dio e di far diventare l'uomo la teofania totale dei nomi
e delle qualità (attributi) di Dio.
Comprendere
la dottrina Sufi significa possedere l'intuizione intellettuale (dhawq),
che è un dono di Dio. Ma accettare di seguire un metodo, rendersi conto
della sua necessità e volersi sottomettere alla disciplina di un maestro,
come agli obblighi della Legge Divina, la Shari'ah, occorre un
altro dono che è la fede (iman). Se una persona è dotata di
questa fede e vuole sottoporsi al necessario esercizio spirituale sotto la
direzione di un autentico maestro, allora è rinato nel mondo spirituale
con i suoi orizzonti infiniti ed è liberato dalla cattività della
contingenza e della finitudine del mondo terreno.
La
maggior parte dei trattati Sufi è dedicata alla descrizione degli stati
spirituali dell'adepto, ossia i vari passaggi attraverso i quali procede
lungo il cammino sulla via (tariqah) che conduce a Dio. Occorre
tenere presente però che il fine del Sufismo è il raggiungimento di Dio,
la Verità (al-haqq), non certo l'acquisizione di uno stato
particolare. Nel Sufismo esistono diversi Ordini. Ogni Ordine è un
gruppo di persone con proprie regole provenienti da un ricco itinerario di
esperienze di maestri e discepoli di molti anni anche se all'origine di
ogni dinastia Sufi c'è sempre il Profeta. Ogni Ordine ha i suoi metodi di
pervenire a Dio, verità. Quindi non è facile tracciarne un percorso
comune.
4.
LE TAPPE PER DIVENIRE UN MISTICO
Non
si può ovviamente tracciare una metodologia pratica; infatti, è
essenziale nell'ambito del Sufismo, anzitutto appartenere al mondo
islamico ed essere credente, inoltre vivere un rapporto da discepolo con
un maestro che guidi la persona attraverso un percorso, che sviluppa le
virtù spirituali dell'anima umana facendo compiere il viaggio per
giungere alla divina presenza e conseguire la vera immortalità.
Colui
che desidera entrare in un Ordine deve rivolgersi a un Maestro (shaikh).
Questi è colui che rende attuabile l'evoluzione spirituale: attraverso
un'evoluzione del Sé non solo di natura psicologica; un'istruzione sui
valori e sui segreti della Verità assoluta; l'insegnamento pratico di
esercizi di "ricordo di Dio" (dhikr), in grado di far
pervenire ad una sorta di estasi. Gli esercizi, sotto la guida del
Maestro, vanno compiuti collettivamente e individualmente allo scopo di
raggiungere questi stati di comprensione. Il maestro Sufi deve possedere
tre virtù basilari: l'umiltà (khushu'), la generosità (karàm)
e la veracità (sidq).
Il
discepolo (murid) è sottoposto ad una prova iniziatica che di
solito è un digiuno in un posto particolare che va da tre a quaranta
giorni. Dopo questo ritiro (khalwa) l'adepto viene iniziato a
ricevere la kirka che può consistere, a seconda degli Ordini, in
un mantello, un abito, un segno, un emblema o anche solo un nome. Ad ogni
grado corrispondono sia un'iniziazione sia una kirka
particolari.
Il
dhikr consiste nel recitare spesso, con tecniche particolari, uno
dei 99 nomi di Dio contenuti nel Corano o formule speciali di cui ogni
Ordine è depositario. Le tappe di questo viaggio, in cui il Sufi
sperimenta la discesa del Divino nella creazione e percorre
contemporaneamente la risalita verso il Divino, variano da sette a
dieci.
LE
TAPPE MISTICHE SECONDO AL-QUŠAYRĪ
Così
come Giuseppe Scattolin evidenzia, nel libro citato in
Bibliografia, le tappe del "Trattato sulla scienza del Sufismo"
di
Abū
l-Qāsim al-Qušayrī possono essere viste secondo
l'ottica dei tre momenti fondamentali di un cammino ascetico-mistico come
in altre pagine (Concetti
fondamentali di vita spirituale) abbiamo avuto modo di vedere: la
purificazione (via purgativa), l'illuminazione interiore (via illuminativa),
l'unione con Dio (via unitiva).
1.
VIA PURGATIVA (purificazione)
L'inizio
del cammino sufi è la conversione che consiste in un profondo
cambiamento interiore. Comporta un pentimento sempre più profondo
delle colpe passate.
La
speranza è la seconda tappa ed indica il motivo di fondo che
dà forza al mistico nel suo cammino. Fonte della speranza è il
pensiero della misericordia, bontà e generosità di Dio e della sua
inesauribile disponibilità al perdono.
L'altro
atteggiamento in cui il sufi deve entrare è la rinuncia al
mondo. In tal modo egli proclama che solo Dio è il suo signore,
entrando in un rapporto nuovo con le cose. La rinuncia non è solo nei
confronti delle cose illecite, come prescritto, ma anche da quelle
lecite in quanto possono distrarre l'anima da Dio.
La
povertà è l'espressione più chiara della rinuncia. Essa
indica l'atteggiamento fondamentale del sufi che ha piena coscienza di
non possedere nulla, in quanto solo Dio è il possessore di tutto e di
tutti. Il sufi riceve la sua esistenza e i mezzi di sopravvivenza non
dalle creature, ma direttamente dai tesori inesauribili del Creatore.
Tale povertà, accettata nel modo più radicale, invece di portare
alla paura o all'angoscia, crea nel sufi una profonda fiducia,
sicurezza e gioia.
Le
prove che il sufi dovrà sopportare sono disposte dalla sapienza e
dalla misericordia di Dio per rendere sempre più salda la sua fede e
la fiducia in Lui solo. La pazienza è l'atteggiamento di chi
sa che tutto è nelle mani di Dio.
Il
sufi che ha lottato nello stadio della purificazione, riceve ora delle
grazie particolari da parte di Dio che lo illuminano e lo trasportano
sempre più vicino a Lui. Dalla pazienza, che è uno stato passivo di
accettazione delle prove della vita, si passa alla confidenza,
che è un atteggiamento più positivo e attivo. Il sufi si abbandona
fiduciosamente nelle mani di Dio accettando ciò che vorrà disporre.
Nell'abbandono totale, nulla lo angoscia e niente lo turba.
L'atteggiamento
che segue è quello del compiacimento: il sufi prova intima
gioia nell'accettare le disposizioni di Dio a suo riguardo, anche le
più dolorose. Segue a questo la riconoscenza e il ringraziamento,
in tutto e per tutto, perché ogni cosa è sua grazia, dono della sua
bontà e generosità.
Il
cuore del sufi può dunque essere invaso dalla presenza continua di
Dio. Il perseverare nel suo ricordo è uno strumento per ogni
tentazione, in cui il sufi cresce anche nel suo desiderio e nell'amore
per Dio. La pratica del ricordo di Dio, fatta sia con la lingua che
col cuore, praticata sia singolarmente che in comunità, costituisce
la caratteristica fondamentale e più visibile del mondo mistico del
sufi.
La
sincerità assoluta costituisce il punto d'arrivo del cammino
di illuminazione. Il sufi deve orientare tutto il suo essere, la sua
volontà e il suo pensiero a Dio solo, allontanando da sé ogni altra
intenzione. Egli cerca Dio per se stesso, senza curarsi del mondo
presente o futuro, senza paura dell'inferno o desiderio del paradiso.
La purezza interiore deve essere totale, non in quanto si è sforzato
di essere sincero, ma in quanto è stato reso sincero da Dio stesso.
3.
VIA UNITIVA
L'amore
apre le porte della vicinanza di Dio e della sua amicizia. Il sufi è
orientato unicamente verso Lui e l'amore di Dio diventa un fuoco
ardente che tutto brucia e in cui l'essere umano è immerso ed
annientato. Inoltre l'amore riempie il cuore del sufi di un desiderio
ardente di incontrare il suo unico amato, Dio stesso.
Il
sufi entra in un rapporto nuovo con Dio, diventando il suo amico,
il suo confidente, il suo intimo. Gli amici di Dio vivono nel segreto
di Dio e possono ottenere tutto da lui, compreso il potere di compiere
prodigi, in quanto Dio opera in loro.
Nell'intimità
il sufi conosce Dio e gli viene donata una conoscenza interiore,
diretta e particolare, che è al di là di tutte le scienze esteriori:
si tratta della gnosi sufi. Dio si fa conoscere direttamente al
suo amico. Abbagliato dalla luce della conoscenza divina, il sufi
perde sempre più coscienza di se stesso e delle proprie qualità
particolari, del suo "io".
Analogie con la mistica cristiana
Alcune
cose accomunano la mistica islamica (sufismo) a quella
cristiana, altre le separano. Leggendo i testi dei Sufi ci si apre ad un orizzonte meraviglioso,
dando un respiro sconosciuto alla
nostra mente e alle nostre emozioni. Secondo quanto scrive Giuseppe Scattolin,
nell'introduzione al suo primo volume citato in
bibliografia:
«L'uomo
è il pellegrino dell'Assoluto. L'uomo è quell'essere inquieto
che nulla appaga. L'uomo è quell'essere che porta dentro di sé una
domanda di senso che mai esaurisce e che continuamente lo incalza.
L'uomo è quell'essere destinato a trascendere se stesso. Il suo punto
di riferimento è un orizzonte lontano, che sta al di là di
tutto ciò che da vicino lo circonda. Pur lontano, quell'orizzonte in
realtà tutto avvolge ed in tutto è presente. Prendere sul serio
l'aspirazione fondamentale dell'essere umano verso l'Assoluto,
verificarla nel proprio esistere quotidiano, scommettere su di essa la
propria vita: questo significa entrare nella dimensione mistica.
Mistico indica ciò che è segreto, nascosto nel più profondo
dell'essere umano, ciò che non è esposto né disponibile per essere
manipolato dalla curiosità indiscreta e dagli interessi superficiali
del pubblico. Il termine mistico significa ciò che è reale, anzi ciò
che vi è di più vero e reale nel segreto del cuore umano: là
dove l'uomo incontra l'Assoluto e con Lui celebra le vere nozze. Molti
sono i sentieri su cui l'Assoluto ha fatto percepire all'uomo la Sua
presenza per attirarlo a Sé, per tenere vivo in lui il desiderio
dell'incontro, per dar forza al suo cammino verso di Lui. Molti pure
sono i nomi con cui l'uomo ha cercato di dare un volto all'Assoluto:
Essere, Uno, Luce, Altissimo, Sapienza, Niente, ecc. [...] Anche l'Islam
porta in sé una testimonianza dell'Assoluto.»
Rābi´a
al-´Adawiyya
(713-801)
Rābi´a
al-´Adawiyya
Originaria
di Bàssora, nell'Iraq meridionale, si conosce poco della sua vita. In
gioventù è stata una schiava, suonatrice di flauto che, ottenuta la
libertà per le sue doti spirituali, si fa eremita nel deserto. Solo in
seguito ritorna nella sua città, vivendo in povertà assoluta,
frequentata da molti che vedono in lei una guida spirituale. L'esperienza spirituale di Rābi´a
si riassume in un unico punto: l'amore per Dio solo. E poiché Dio è
l'assoluto, l'amore per lui non può che essere assoluto. Ogni altra
realtà, come ricchezza, matrimonio, amicizie e perfino le realtà
religiose sono ostacoli alla purezza di tale amore e devono pertanto
essere tolti. L'amore perfetto per Dio esclude anche il pensiero della
ricompensa o del castigo. Anzi, un tale amore non non può essere appagato
se non con la visione dell'amato stesso, Dio.
Un
giorno un gruppo di giovani la vide correre in gran fretta con del
fuoco in una mano e dell'acqua nell'altra. Le chiesero dunque dove
stava andando. Disse: «Sto andando in cielo, per gettare il fuoco nel
paradiso e versare l'acqua nell'inferno; non resterà così né l'uno
né l'altro, e apparirà Colui che si cerca. Allora coloro che gli
rendono culto volgeranno lo sguardo verso Dio, senza speranza e senza
timore, e lo serviranno così. Se non ci fosse più speranza del
paradiso e timore dell'inferno, non lo adorerebbero forse il verace e
non gli ubbidirebbero?»
Un
uomo le disse:«Ho commesso molti peccati e molte trasgressioni: ma se
mi pento, Dio mi perdonerà?». Rispose: «No. Tu ti pentirai se egli
ti perdona».
Un
giorno una persona la interrogò: «Qual è il bene con cui il servo
può avvicinarsi a Dio?». Rispose: «Non possedere che lui, in questo
mondo e nell'altro».
Disse:
«Ho posto Te nel mio cuore come il mio confidente, e ho lasciato il
mio corpo in colloquio con i miei interlocutori. Il mio corpo sta in
familiarità con chi mi parla, ma l'Amato del mio cuore è, nel mio
intimo, il mio confidente».
Diceva:
«O mio Dio! Se ti ho adorato per paura dell'inferno, bruciami nel suo
fuoco. Se ti ho adorato per speranza del paradiso, privami di esso. ma
se non ti ho adorato che per te solo, non privarmi della
contemplazione del tuo volto».
Si
racconta che Rābi´a
fosse malata. Quando le fu chiesto che cosa l'avesse colpita, rispose:
«Questa notte, poco prima dell'aurora, il mio cuore ha desiderato il
paradiso. E Dio mi ha colpito per indurmi al timore!».
Uno
dei sapienti di Bàsora andò a far visita a Rābi´a
e cominciò a parlare delle gioie di questo mondo. Disse Rābi´a:
«Ohimé, è chiaro che tu ami questo mondo. Perché chi ama una cosa,
la ricorda spesso: se uno vuole acquistare delle vesti, ne parla
molto. Se hai rinunciato completamente a questo mondo, perché mai ti
preoccupi dei suoi beni e delle sue gioie?».
Le
fu chiesto: Che cosa pensi dell'amore? Disse Rābi´a:
Fra l'amante e l'amato non c'è separazione. Non c'è parola che in
forza del desiderio, né qualificazione se non dal gusto. Chi ha
gustato, ha conosciuto; e chi qualifica è colui che è stato
qualificato. Davvero puoi qualificare qualcosa tu, che ti perdi al suo
cospetto, che sei sempre alla tua presenza, che scompari nella sua
testimonianza, che sei ebbro della sobrietà di lui, tu che sei pieno
del tuo vuoto per lui, fuori di te per la tua gioia in lui! La
venerazione rende muta la lingua; lo stupore trattiene il cuore
dall'esibizione; il fervore distoglie lo sguardo dalle creature; la
meraviglia impedisce alla mente la sicurezza. Non c'è che meraviglia
continua, necessità di stupore, intimità nascosta, rapimento del
cuore, corpi consunti, e l'amore, con la sua intransigente potenza,
arbitro dei cuori.
Abū
l-Qāsim al-Qušayrī (986-1074)
Nato
a Ustuwā,
nell'attuale Iran orientale da una famiglia agiata. La sua fu
un'educazione completa secondo gli usi nobili del tempo. Fondamentale fu
l'incontro con il Sufi Abū ‘Alī al-Daqqāq (morto nel 1021
ca.). Divenne suo discepolo e si dedicò ad una vita di studio e di
pietà. Sposato con la figlia del suo maestro, da cui ebbe sei figli, non
fondò mai una scuola, pur essendo spesso contornato da persone che si
consideravano suoi discepoli. Fra le opere più importanti compare il
"Trattato sulla scienza del sufismo", composto intorno al 1046
che divenne uno dei manuali più importanti del sufismo. Egli struttura il
trattato in quattro parti, in cui espone dapprima la biografia di molti
maestri sufi, la spiegazione di alcuni fra i termini fondamentali del
sufismo, successivamente descrive il cammino spirituale del sufi in
cinquanta tappe fra stazioni e stati spirituali, a partire dalla
conversione fino a giungere all'amore. L'ultima parte contiene una serie
di consigli spirituali.
La
conversione (tawba)
La
conversione è la prima tappa di coloro che progrediscono sul cammino
sufi ed è la prima stazione di coloro che cercano (l'incontro di
Dio). Il senso preciso della parola conversione è quello di
"ritornare". La conversione è quindi il tornare indietro da
ciò che è riprovato nella legge a ciò che è lodevole in essa.
L'inviato di Dio ha detto: «Il pentimento è la conversione (cioè
pentirsi è già convertirsi)». I dotti, cioè coloro che sono ben
versati nei principi della tradizione hanno detto che per essere
valida la conversione deve soddisfare tre condizioni: 1) il pentimento
per le trasgressioni passate; 2) il lasciare immediatamente le azioni
peccaminose; 3) il fermo proposito di non ritornare ai peccati
trascorsi. Questi sono i principi fondamentali che sono assolutamente
necessari, affinché la conversione sia valida.
Il
primo passo della conversione è quando il cuore si sveglia dal sonno
della dissipazione e la persona prende coscienza dello stato in cui si
trova. Tutto ciò gli avviene perché gli è concessa la grazia di
prestare ascolto con il suo cuore ai richiami di Dio, suscitati
nell'intimo. Quando uno riflette nel suo cuore al male compiuto e pone
davanti ai suoi occhi le azioni cattive da lui fatte, sorge nel suo
cuore il desiderio di pentirsi e di allontanarsi dalla sua cattiva
condotta. Allora Dio gli concede la grazia della ferma e retta
decisione di incamminarsi sulla buona via del ritorno e la
disposizione ad usare i mezzi per la conversione. Ciò si attua
mediante la continua considerazione delle promesse di Dio: questa
aumenta il desiderio di conversione e gli procura continuamente motivi
per portare a compimento la sua decisione, rafforzando la sua speranza
e la sua paura. Se continuerà a camminare secondo il suo proposito e
metterà in pratica ciò che ha deciso, allora veramente otterrà la
grazia della riuscita.
La
speranza (rağā´)
La
speranza significa che il cuore è attaccato a qualcosa che ama e che
accadrà nel futuro. Sulla speranza si basa la vita e la libertà dei
cuori. C'è differenza fra lo sperare e il puro desiderare (o
augurarsi): il puro desiderare rende la persona pigra, sicché essa
non si mette sulla via dello sforzo e dell'impegno; al contrario di
questo è la persona cha ha speranza.
È
stato detto che la speranza è la sicura fiducia nella munificenza di
colui che è il Generoso e il Benigno. Inoltre, che la speranza è
vedere la maestà di Dio con l'occhio della sua bellezza che attira. E
anche che la speranza è la vicinanza del cuore al tocco gentile del
Signore. E che la speranza è la gioia del cuore per la bella
promessa. E ancora che la speranza è guardare alla vastità della
misericordia di Dio. La speranza è il trovare la gioia per la
presenza del favore di Dio. Essa è la pace dei cuori alla vista della
generosità di Colui in cui essi sperano.
La
rinuncia
(zuhd)
La
rinuncia al mondo è ridurre la speranza in esso, non il mangiare
frugale o il vestire il mantello di lana.
La
rinuncia deriva dalla parola di Dio (C 57, 23): «Affinché non siate
nel dispiacere per ciò che vi è sfuggito e non vi rallegriate per
ciò che vi è stato dato». L'asceta infatti non si rallegra per i
beni che possiede in questo mondo né si affligge per quelli che gli
sono sfuggiti.
La
rinuncia significa che tu abbandoni questo mondo senza darti pensiero
per chi lo possederà.
La
rinuncia è quando il cuore si dimentica di preoccuparsi dei mezzi per
il sostentamento e le mani si liberano dai beni che possiede.
Il
desiderio (šawq)
Il
desiderio è l'ansia del cuore per l'incontro con l'amato;
l'intensità del desiderio è proporzionale all'intensità dell'amore.
Il desiderio si placa con l'incontro e la visione di Dio.
Fu
chiesto a un sufi: «Provi desiderio?» Rispose: «No! Il desiderio è
per ciò che è assente... Lui invece è presente!»
I
cuori di coloro che sono pieni di desiderio per Dio sono illuminati
dalla sua luce. Quando il loro desiderio si muove la sua luce illumina
tutto ciò che c'è fra cielo e terra. Allora Dio li presenta agli
angeli dicendo: «Questi sono coloro che sono pieni di desiderio per
me. Vi prendo come testimoni che il mio desiderio per loro è ancora
più grande!»
Coloro
che sono giunti al desiderio per Dio posso essere divisi in tre
categorie: 1) alcuni desiderano ciò che Dio ha promesso ai suoi
amici, cioè la sua ricompensa, la sua generosità, la sua grazia, il
suo compiacimento; 2) altri lo desiderano come il loro amato a causa
del loro intenso amore per Lui, della loro insofferenza per la vita
presente e del loro desiderio di incontrarlo; 3) altri hanno
contemplato la vicinanza del loro Signore come presente, non assente e
il loro cuore è stato inondato dal suo ricordo.
Gialâl
ad-Dîn Rûmî (1207-1273) *
[ * a cura di FEDERICO
CHIAPPETTA ]
NOTA BIOGRAFICA
Per
quanto concerne una breve indicazione biografica sono preziosi i
seguenti testi:
I mistici musulmani di Marjan Molé (Adelphi, 1965);
Storia della filosofia islamica di Henry Corbin (Adelphi,
1991);
l’introduzione di Alessandro Bausani a Poesie mistiche, un
florilegio dal vastissimo canzoniere di
Rûmî.
Poeta
mistico, sufi, maestro spirituale, Rûmî nasce nel 1207 a Balkh
nell’odierno Afghanistan settentrionale. Il padre, al-Dîn Walad, è
anch’egli mistico e uomo eruditissimo. Nel 1220 la famiglia di
Gialâl deve migrare (vi sono diverse ipotesi sulle motivazioni);
Baghdad, Damasco, la Mecca e infine Qonya. A Damasco Gialâl incontra, ma
rimangono dubbi in proposito, il filosofo Ibn al’Arabi che per un
periodo è suo maestro. Ibn al’Arabi è il grande teorizzatore della
wahdat al-wujûd (“unità dell’essere”). Nel 1244/45 giunge a
Konya un misterioso personaggio: Shams al-Din Tabrizî, noto anche come
“il Sole di Tabrîz”. Shams è un derviscio errante (‘derviscio’ è la
traslitterazione di un termine semitico che significa qualcosa come
“povero”, “spoglio”) ed esponente del sufismo cosiddetto “ebbro”, molto
lontano dall’insegnamento del dotto padre. Rûmî ne ha fin dal primo
incontro profonda venerazione, lo considera suo ‘maestro’ (ruolo assai
più decisivo nella mistica sufi di quanto un occidentale possa pensare),
adotta la sua forma di estasi mistica il samâ (letteralmente
“ascolto”), questa danza spirituale, accompagnata dal suono di un flauto
(si confronti a proposito il prologo del Masnavî), diventa fulcro
della vita contemplativa dell’ordine. Un giorno il derviscio di Tabrîz
scompare, Rûmî decide di partire per andarlo a cercare ma di lì a poco
“il Sole di Tabrîz” resterà ucciso in un tumulto popolare (non è da
escludere qualche responsabilità di un figlio di Rûmî che evidentemente
mal sopportava la grande venerazione del padre per il ‘maestro’).
Gialâl
ad-Dîn Rûmî
OPERE PRINCIPALI
Le sue opere principali sono due: Dîvân-i
Shams-i Tabrîz (Il
Canzoniere di Shams-i Tabrîz), raccolta di poesie mistiche e Masnavî-yi
Ma'navî, un poema lungo a rime baciate di oltre 26000 versi doppi (per
farsi un’idea si pensi che l’intera Commedia di Dante conta
14.233 versi). Nel Canzoniere si avverte maggiormente l’influenza
spirituale e, per così dire, l’”ebbrezza” di Shams a cui è dedicata
l’opera (in realtà è proprio come se Rûmî ritenesse i suoi ghazal
composti da Shams in persona; si ritorna a quel discorso già accennato
sul complicato rapporto ‘maestro’-allievo). Il Masnavî è invece
la sua opera “maggiormente ibn-arabiana” (Bausani), una immensa rapsodia
mistica che i sufi amano chiamare il Corano persiano.
Le seguenti
note sulle principali caratteristiche della poesia del Canzoniere
di Rûmî (non si prenderà in esame il Masnavî spirituale) si
basano sui testi già citati, sulla bibliografia generale della pagina a
cui si aggiungano Il sufismo di W.C. Chittick (Einaudi, 2009. In
particolare il sesto capitolo) e due articoli: Il sufismo, il
“nocciolo” dell’Islam di Marina Borgetti e San Francesco e Rûmî,
ossia: Francescanesimo e Sufismo, una meravigliosa parentela spirituale
di Gabriele Mandel; entrambi disponibili sul sito
www.gianfrancobertagni.it.
«Sulle ali del più alto entusiasmo religioso, che adora, oltre tutte le
forme esteriori delle religioni positive, l’Essere eterno astraendolo
nel modo più completo da ogni traccia sensibile e terrena, come la fonte
più pura della vita eterna, Maulânâ (“nostro signore”)
Rûmî si libra
non solo, come altri poeti lirici oltre i Soli e le Lune, ma anche oltre
il Tempo e lo Spazio, oltre la Creazione e il Destino, verso
l’Infinito…» (J. von Hammer, 1818)
«La sua opera
lirica è una delle imprese più prodigiose nel campo della poesia. Per la
veemenza estatica di emozioni e visioni che sorgono a ondate, le sue odi
sorpassano qualsiasi altra cosa sia stata scritta in poesia persiana»
(J. Rypka, 1968)
COMMENTO ALL'OPERA
In diversi
componimenti contenuti nel florilegio Poesie mistiche curato da
Alessandro Bausani si può riscontrare quanto Corbin afferma a proposito
del Masnavî, il
Maulânâ «rimprovera ai filosofi il loro asservimento alla dialettica e
alla logica, la loro incapacità di vedere le realtà spirituali. (…) a
loro manca il senso del soprasensibile». Ad esempio già nel componimento
n. 1 “L’uomo di Dio” (i titoli sono di Bausani) - presente nella pagina
del sito dedicata alla poesia mistica – si legge «L’uomo di Dio è per
Realtà sapiente, / l’Uomo di Dio non ha dottrina di libro».
Rûmî avverte
anche i limiti stessi del suo cantare e spesso il suo canto si sostanzia
proprio di questo avvertimento del limite, dell’impossibilità di far
poesia delle Verità soprasensibili attingibili soltanto dopo un faticoso
itinerario di preparazione ed esercizio spirituale sotto la guida di un
‘maestro’. Ad esempio nel componimento n. 10 «Che dir dovrei dunque? Che
cosa sapere? Che questo racconto è storia troppo alta pel nostro
limitato potere.». Anche i versi conclusivi dello splendido componimento
n. 26 «Quando vede che si sta per dirlo, il Suo nome fugge talmente / che
non riesci neppure a dire: ecco il tale mi sfugge! / E a te sfuggirà in
tal maniera, che se ne tracci l’immagine / l’immagine volerà dalla tela,
fuggirà dalla mente il ricordo!». Oppure il n. 32 «Dice Dio al messo
della Ragione - Vattene via! -». È essenziale, per il nostro poeta,
riconoscersi lontano dal Vero, è necessario ammettere la propria
inadeguatezza. Comprendere la propria inadeguatezza è comprendere la
propria nullità, povertà (faqr). Il sufismo stesso è il
riconoscimento della povertà davanti a Dio, nulla esiste infatti
all’infuori di Dio. Questa pena, questa sofferenza dell’amante separato
è necessaria per l’anelito alla cura, al risanamento. «Senza dolore il
viaggio non può avere inizio» (Chittick).
Per esprimere
questo anelito amoroso che sgorga dalla pena per la separazione quale
strumento migliore del canto, della poesia? E il flebile suono di un
flauto oltre a dettare il tempo della danza (e Chittick a proposito
osserva che la vera danza non è quella visibile, come la vera musica non
è quella udibile, bensì la danza del cuore del sufi) ha proprio la
funzione di risvegliare nell’uomo la nostalgia per la sua Origine, di
risvegliare la sua passione d’amore. Rûmî è proprio il cantore
dell’esperienza dell’Amore, il senso dell’esistenza è dimenticare se
stessi per riconoscersi in Lui, per riconoscersi Lui (molto interessante
su questo punto il Trattato dell’Unità di Ibn al’Arabi); lungo è
il sentiero per tornare all’Amato, fino allo smarrimento, fino al
non-luogo dell’anima; smarrimento per aver trovato Tutto, per
l’abbraccio dell’Amato. Il n. 43 recita così «Per lunga era fosti
pietra, per altra fosti bruto, / e ancora un’era anima fosti, diventa
Amato, diventa Amato» (contiene anche un accenno all’antico concetto di
evoluzione mistica, si vedano anche il n. 2 e il n. 11. La poesia sufi,
attraverso il suo linguaggio immaginoso (ben lontano da quello della
scienza del Kalâm o teologia dogmatica), sempre evoca e celebra
la presenza di Dio. Leggiamo a proposito quanto è scritto nel ghazal
n.12 «Lascia il fiore, perché tu sei il Tutto, sei colui che ordina, la
divina Parola/ Se gli altri non ti conoscono, io ti conosco, perché sei
me!», in quest’ode Rûmî immagina che Dio si rivolga al mistico per
ricondurlo a Sé, alla Verità (haqîqa). Un monito a trovare Dio in
ogni cosa e in ogni cosa Dio, secondo un duplice movimento, ecco perché
può affermare nel Masnavî, con un’immagine di grande poeticità,
«Ogni rosa pregna di interno profumo narra i segreti del Tutto», al
darsi fenomenico delle cose si assomma un’interiorità celata, più Vera e
necessaria al mistico per compiere il suo cammino (tariqa).
Affrontiamo
ora la tematica dell’amore per giungere a quella della creazione e
infine a Dio. Rûmî ritiene centrale per il sufismo la nozione (che deve
diventare più di una nozione, un’esperienza) di creazione per amore. Dio
crea per amore, per amore vuole farsi conoscere. L’Amore non si
definisce, è la forza motrice dell’attività creativa di Dio; Dio
attraverso l’amore produce la molteplicità che riempie l’Universo,
l’amore non cessa, come non cessa la creazione (occasionalismo); Dio è
infatti causa diretta di tutte le cose. Nel componimento n. 18
«Inebriati dunque d’Amore, perché Amore è tutto quello che esiste». Dio
crea le cose traendole ex-nihilo. Dio lavora nel Nulla,
«l’officina di Dio è il Nulla». Dio è l’Operaio, il creato è l’Opera.
L’Opera tesse un velo attorno all’Operaio, Dio è celato. Può essere
visto solo nell’Opera e per l’Opera. In questo Bausani rinviene
un’indicazione morale (non soltanto metafisica), se Dio crea dal Nulla,
l’uomo deve farsi nulla «per essere ricreato ad una vita spirituale più
elevata». I fenomeni sono soltanto cenni di realtà più vere che guidano
l’uomo, che ne sa decifrare i profondi significati, verso l’Unità del
Tutto, verso Dio. Il mondo serve per l’ascesi, il sufismo è il cammino
dell’umiltà estrema. La parabola della vita umana e della vita di ogni
cosa, del sasso, della pianta, della falena, comincia nella preesistenza
e come un circolo in essa deve ritornare dopo aver conosciuto l’amore di
Dio manifesto nel creato e nella Sua volontà di essere conosciuto;
leggiamo il ghazal n. 3 «Io ero, nel tempo in cui non erano i
Nomi, e nessuna traccia v’era d’esistenza d’esseri. / E il ricciolo
dell’Amico eterno era l’unica traccia di vero / e l’unico oggetto era
Dio! / E tutti gli oggetti e i nomi promanarono da Me, in quell’attimo
eterno quando né Me né Noi v’era! […] E l’occhio mio, capace solo di Dio,
non vedeva altro che qualità e forme estranee all’Eterno. / E, infine,
fissai lo sguardo nel cuore, ed ecco, là io Lo vidi, / in nessun altro
luogo che là, Egli era». Il sentiero per tornare all’Amato è lungo e
faticoso, ma la realizzazione dell’uomo sta proprio nel ritorno alla
fonte divina. Ecco quanto scrive Rûmî in alcune splendide quartine
(ultimo componimento dell’antologia): «Provengo da quella Vita che è
vita alle vite / vengo da quella Città che è il Paese dell’Infinito. / La
via per giungervi è senza fine / parti dunque senza motivo e ragione: son
là motivo e ragione!. / Se cominci ad andare, ti si aprirà innanzi la
Via; / se ti fai nulla, sarai trasformato in essere puro; / se ti fai
basso e abietto, non entrerai più nel cosmo / e allora, fuori di te,
sarai mostrato a te stesso!».
Dio è il
nulla dell’esser dato, per questo è trascendente. Dio per Rûmî è un “Io”
supremo; oltre anche alla fede e all’empietà; infatti anche Satana
(esempio riportato da Bausani) ha nostalgia di Dio. Anche Satana ebbe
“carezze da lui”, fu “nel giardino della sua approvazione”. Dio è un Dio
artista, brutto e male sono suoi strumenti per disegni misteriosi; Dio
supera la Sua propria trascendenza (ecco perché non è soltanto il
Trascendente o l’Absconditus) attraverso l’Uomo di Dio (si legga
il componimento alla pagina di poesia). L’Uomo di Dio è il ‘maestro’, è
il segno dell’unità divina, Shams per Rûmî è simbolo di questa Unità, ma
questo simbolo (rovesciando in parte quanto è creduto dall’occidente
cristiano) è più realtà della realtà fattuale delle cose,
dell’esistenza. Il Santo, il ‘maestro’, il profeta, garantisce la
dialettica “Dio-uomo”, cosi che Dio trascenda la sua stessa
Trascendenza; Shams è «simbolo della persona trascendente di Dio» (Bausani).
L’uomo perfetto è colui che, per usare un’immagine biblica, “cammina con
Dio”, l’Uomo di Dio è sempre con Dio, è suo riflesso è “il divino Sole
del mondo” che partecipa non per speculum et in aenigmate alle
Verità sovraessenziali divine. È dallo smarrimento in Dio, attraverso
Dio, che il mistico «assapora le beatitudini della vita futura» (Chittick).
Mausoleo di Gialâl
ad-Dîn Rûmî a Konya-Turchia
n. 7
«O Compagno
mio, o mia Caverna, o Amore che il cuore mi divori!
Compagno tu
sei, caverna tu sei, Signore! Proteggimi, guardami!»
n. 8
«Mi sono
liberato al fine dalla carne e dalla passione: il Vivo è dolore, il
Morto è dolore,
Vivo e Morto
non sono mia patria, mia patria non è che la grazia di Dio!
Mi son
liberato infine da questi versi (…)
O silenzio!
Tu sei il mio midollo, la mia melodia dolce e profonda (…)
Specchio son
io, specchio son io; niente parole, niente parole,
potrai vedere
l’estasi mia, se si fa occhio l’orecchio tuo!
Agito a danza
le mani come albero, turbino in tondo come la luna (…)
Sono
silenzioso, la gola ho stanca, parla tu, eloquente Iniziato,
tu hai
l’alito dolce di David ed io sono fuscello che vola a quell’alito!»
n. 33
«In Te
l’anima è dissolta, con Te è mescolata:
ecco io
carezzo la vita solo perché profuma di Te!»
NOTA: Per le seguenti
liriche ci
si attiene alla raccolta "Poesie mistiche", Rizzoli, Milano
1980, curata da Alessandro Bausani.
L'uomo
di Dio
L'Uomo
di Dio è, senza vino, ubriaco.
L'Uomo
di Dio è pazzo e stupito,
L'Uomo
di Dio è re sotto il saio,
L'Uomo
di Dio non è d'aria e di terra,
L'Uomo
di Dio è mare senza sponde,
L'Uomo
di Dio ha cento lune e cieli,
L'Uomo
di Dio è per Realtà sapiente,
L'Uomo
di Dio è oltre fede e non-fede
L'Uomo
di Dio è cavaliere venuto dal Nulla,
L'Uomo
di Dio è Shams ad-Dîn nascosto,
Annegarsi
in Dio
Ieri
all'alba passando mi disse l'Amato:
Il
mio volto fa invidia alla rosa e pur tu gli occhi hai riempito
Dissi:
«O tu, davanti alla cui snella statura il cipresso pare un arbusto,
O
tu, che hai tutti sconvolti i cieli e la terra,
Disse:
«Son io l'anima tua e il tuo cuore: perché tu sei stupefatto?
Dissi:
«O tu che all'anima e al cuore hai strappato la pace
«Tu
sei del mio oceano la goccia: a che più parli ancora?
Il
giorno della morte
Quando
il giorno della morte, si muoverà la mia bara,
Non
piangere per me, non dire ahimé!, ahimé!,
Quando
vedrai il mio feretro non dire è partito lontano!
E
quando mi deporrai nella tomba non dire addio, addio!
Hai
visto lo sprofondamento, contempla la resurrezione:
A
te sembra tramonto mentre invece è un'aurora;
Qual
seme mai sprofondò in seno alla terra che non germinò poi?
Qual
secchio scese nel pozzo che non tornò pieno d'acqua freschissima?
Chiudi
la bocca da questa parte e riaprila dall'altra parte del cosmo,
Ibn
Άţā Allāh
(+
1309)
Ibn
Άţā Allāh
Allievo
di Abū
´Abbās al-Mursī visse nella città di Alessandria
insegnando diritto e sufismo. Il suo incontro col maestro avvenne in modo
casuale. Invitato a fargli visita senza molta convinzione, ebbe invece da
quell'incontro un'illuminazione, trovando che al-Mursī «possedesse
la verità e che l'attingesse dallo straripare del mare divino». Aveva
timore però di lasciare i suoi studi e le sue ricerche. Il maestro lo
rassicurò dicendogli: «Quando diventa nostro adepto un commerciante non
gli diciamo: "Lascia il tuo commercio e vieni". E a un artigiano
non diciamo: "Lascia la tua arte e vieni". E a chi cerca la
scienza non diciamo: "Lascia la tua ricerca e vieni". Ma poniamo
ciascuno in ciò in cui Dio lo ha posto». Per dodici anni gli fu dunque
vicino, apprendendo dalla profondità spirituale di al-Mursī. Si
trasferì poi al Cairo per essere egli stesso maestro. "Le
Sentenze" è una delle sue opere giovanili più famose, vero e
proprio breviario di mistica sufi.
Questo
è prova della potenza di Lui, lodato Egli sia: che Egli si nasconde a
te per mezzo di ciò che non esiste con Lui. Come pensare che qualcosa
Lo veli, Lui che svela tutte le cose? Come pensare che qualcosa Lo
veli, Lui che si rivela mediante tutte le cose e in tutte le cose?
Come pensare che qualcosa Lo veli, Lui che si rivela a tutte le cose?
Come pensare che qualcosa Lo veli, Lui che si rivela prima
dell'esistenza di tutte le cose? Come pensare che qualcosa Lo veli,
Lui che è più manifesto di tutte le cose? Come pensare che qualcosa
Lo veli, Lui che è unico e insieme al quale niente esiste? Come
pensare che qualcosa Lo veli, Lui che è più vicino a te di tutte le
cose? Come pensare che qualcosa Lo veli, Lui senza il quale nulla
esiste? Quale mistero! Che l'essere appaia nel nulla, e che
l'accidente sussista insieme a Chi ha l'attributo dell'eternità?
Il
vero viaggio è distanziarti dallo spazio di questo mondo, così da
vedere l'Altro più vicino a te di te stesso.
Non
ti è amico se non chi lo è pur conoscendo la tua miseria. E tale non
è se non il tuo Signore, il Generoso: il migliore dei tuoi amici è
colui che cerca te per te, e non per qualcosa che da te va a lui.
Chi
conosce il Verace Lo vede in ogni cosa; chi si annienta in Lui,
allontana ogni cosa; chi Lo ama, nulla preferisce a Lui.
Chi
parla basandosi sul bene che fa, il suo fare il male lo taciterà. Chi
parla basandosi sul bene che Dio fa a lui, non dovrà tacere quando
farà il male.
Quando
non essere accolto da parte della gente o essere oggetto della loro
malevolenza ti fa soffrire, ritorna alla scienza che Dio ha di te. E
se non ti basta la scienza di Lui, la tua sventura di non
accontentarti della Sua scienza è peggiore della tua sventura per
quanto soffri da parte loro.
Egli
ti fa soffrire da parte loro [la gente] affinché tu non riposi in
loro: vuole strapparti da ogni cosa, perché nessuna cosa ti distragga
da Lui.
Se
non hai contemplato il Creatore, sei con le creature; se Lo hai
contemplato, le creature sono con te.
La
sventura delle sventure è che tu sia liberato dalle distrazioni e
non ti diriga poi verso di Lui; e che siano diminuiti i tuoi ostacoli
e tu non parta poi verso di Lui.
Talvolta
la vita ha lunga durata ed è povera di grazie; talvolta la vita è di
breve durata ed è ricca di grazie. Chi nella sua vita è stato
benedetto, in poco tempo accumula tali doni di Dio - esaltato Egli sia
- che nessun discorso li può esprimere e nessuna allusione li può
dire.
Mio
Dio, cercami con la Tua misericordia, perché giunga a Te. Attirami
con la Tua grazia, perché possa lanciarmi verso Te.
Il
tuo capitale consiste nel tuo cuore e nel tuo tempo. Il tuo cuore si
perde in preoccupazioni e dubbi, e il tempo lo perdi occupandoti di
cose che non ti riguardano. Che guadagno avrai perdendo così il tuo
capitale? ('Abd al-Wahhab al-Sha 'rani)
Se
conosco chi sono, il terrore mi perderà; se conosco Chi è, la Sua
grazia mi salverà. (Gabriel Mandel khan)
Tu
non otterrai nessun grado fra i santi finché non avrai oltrepassato
sei ostacoli: il primo: che tu chiuda la porta
dell'abbondanza ed apra quella della strettezza; il secondo:
che tu chiuda la porta dell'onore ed apra quella del disprezzo; il terzo:
che tu chiuda la porta del riposo ed apra quella della fatica; il quarto:
che tu chiuda la porta del sonno ed apra quella della veglia; il quinto:
che tu chiuda la porta della ricchezza ed apra quella della povertà;
il sesto: che tu chiuda la porta della speranza in
questa vita ed apra quella della preparazione alla morte. (Ibrahim
Ibn Adham)
Il
mio cuore era pieno di desideri; in Te si sono riversati, da quando il
mio occhio Ti vide. Ora mi invidiano quelli che io invidiavo, signore
sono di tutte le tue creature, ora che Tu sei il mio Signore. A causa
Tua mi hanno rimproverato i miei amici e nemici, ma nulla sapevano
della mia angoscia. Ad altri ho lasciato il loro mondo e la loro
religione, il Tuo amore mi ha occupato, o mio mondo e mia religione. (Al-Hallag)
O
tu che mi rimproveri di amarLo, quanto sei noioso! Se tu sapessi ciò
che intendo non mi rimprovereresti. Alcuni vanno in pellegrinaggio
(alla Mecca), io vado verso la Sua abitazione. Essi là offrono
sacrifici, io offro a Lui la mia vita e il mio sangue. Vi sono degli
uomini che girano attorno al Tempio (la Ka'ba) non con i loro corpi,
perché attorno a Dio essi girano in processione: Egli li ha
dispensati dal Tempio santo. (Al-Hallag)
Ogni
atomo dei cieli e della terra parla della Sua onnipotenza, e grazie a
Dio i mistici sentono come tutto proclama la Sua santità, canta le
Sue lodi e confessa la propria impotenza con linguaggio perfettamente
chiaro. (Abu Hamid al-Ghazali)
Vendi
questo mondo per quello a venire, li guadagnerai entrambi; ma non
vendere il mondo a venire per il presente: li perderesti entrambi.
Agisci per questo mondo come se non esistesse e per il mondo a venire
come se non dovesse mai cessare. È saggio chi considera il mondo
presente un nulla e in tal modo cerca l'altro mondo; invece di
considerare un nulla l'altro mondo nella ricerca del mondo presente.
Chi si accontenta senza esigere nulla, e chi ha ricercato la
solitudine lontano dagli uomini, troverà la pace. Chi ha calpestato i
suoi desideri carnali, troverà la libertà. Chi si è liberato
dall'invidia, troverà l'amicizia. Chi ha pazienza per un po' di
tempo, si troverà pronto per l'Eternità» (Al-Hasan al-Bashri).
O
mio Dio, il mio argomento presso di te è il mio bisogno di te; la mia
risorsa per venire a te è la mia povertà; il mio mezzo per
raggiungerti è il dono della tua grazia per me; il mio intercessore
presso di te sono i tuoi benefici per me. O mio Dio, come gioire, dato
che ti ho offeso? Come non gioire, dato che ti ho conosciuto? Come
invocarti, dato che sono peccatore? Come non invocarti, dato che tu
sei il Generoso? (Yahya Ibn Mu'had al-Razi).
Non
nutrire tutto ciò che nasce dal tuo cuore, ma gettalo lontano da te e
non curartene dimenticando il tuo Signore, come fa la maggior parte
degli uomini, che vagano ed errano e si smarriscono dietro un
miraggio. Se comprendessero, direbbero: che cosa straordinaria il
cuore, che in un istante genera innumeri figli, gli uni legittimi, gli
altri illegittimi e altri ancora che non si sa come siano. Ma in che
modo potrebbe essere disponibile per il suo Signore colui che
s'affanna a nutrire tutti quei figli? Che pena, questo figlio d'Adamo
che cancella il mondo sin quando non ne resta traccia, e che il mondo
cancellerà a sua volta sin quando non ne resterà traccia, tranne un
po' d'odore che svanirà in un istante... (al-'Arabî ad-Darqâwî).
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